Xi come Mao, alle stampe il suo “Libretto Rosso”

Xi come Mao, alle stampe il suo “Libretto Rosso”
© Afp - Xi Jinping

Nessuno, dai tempi della Rivoluzione Culturale, aveva tentato mai di replicare l’esperimento, di porsi cioé sullo stesso livello del Grande Timoniere. Chi osa, alla vigilia del terzo mandato da Segretario Generale del Partito Comunista Cinese, è Xi Jinping, l’uomo che è riuscito ad abolire i lacciuoli costituzionali che gli impedivano di restare alla guida del Paese praticamente vita natural durante

Si dice che le Guardie Rosse lo agitassero sopra la testa mentre bruciava la biblioteca di Lao She, l’intellettuale da rieducare, e il poveretto in preda allo sconforto si andava ad affogare in un lago. Ma c’era un libro, fra i cento e i cento dell’autore distopico della “Città di Gatti”, che valesse anche solo una pagina, agli occhi di quei giovani invasati, del Libretto Rosso? No, pertanto che brucino i libri di Lao She come quelli nella Bebelplatz di Berlino: la verità è già tutta in quelle massime. Le si studino a memoria e non ci sarà bisogno di sapere altro.

Nessuno, dai tempi della Rivoluzione Culturale, aveva tentato mai di replicare l’esperimento, di porsi cioé sullo stesso livello del Grande Timoniere: né Jiang Quing, la vedova terribile della Banda dei Quattro, e nemmeno Deng Xiao Ping, che pure fu l’autore della svolta confucian-liberista che fa adesso della Cina Popolare il colosso che guarda l’America dall’alto verso il basso.

Chi osa, alla vigilia del terzo mandato da Segretario Generale del Partito Comunista Cinese, è Xi Jinping, l’uomo che è riuscito ad abolire i lacciuoli costituzionali che gli impedivano di restare alla guida del Paese praticamente vita natural durante. Nessuno come lui è stato potente nella Cina Popolare. Nessuno, tranne Mao Zedong. Inevitabile pertanto il raffronto, ora anche ideologico-propagandistico.

Prime copie nel Guangxi

Le prime copie del Libretto di Xi sono già state stampate e circolano nella sua regione natia, il Guangxi, dopo essere stati messi on line per celebrare la nomina dell’autore a delegato del 20mo Congresso del Partito. L’assise si terrà in autunno, i tempi per la distribuzione sono sufficienti.  Il formato – ed è questo uno dei parallelismi che più colpiscono visivamente – in tutto e per tutto simile: tascabile, dalla comoda lettura e dalla facile consultazione.

Nel Guangxi, a dar retta ai media locali che parlano di un “tesoro posto nel palmo della mano”, le file per ritirarne una copia su carta sono lunghe quanto sono rapide. Chi non fa la fila lo riceve comunque o sul luogo di lavoro, o sul banco della scuola. Foto sui giornali mostrano giovani, vecchi, ragazze e mamme che ruminano sulle riflessioni di Xi, ed anche questo è un deja vu. Come anche le immagini dei contadini che sospendono il lavoro dei campi per apprendere la linea.

Del resto Mao era il teorico della rivoluzione che aveva come soggetto portante la massa agraria, non quella operaia. E se Lin Piao opponeva la campagna del mondo alla città del mondo, Xi in questo modo pare voler riequilibrare un modello ideologico di sviluppo finora tutto pendente verso la seconda. Basteranno, dicono le autorità, 10 minuti al giorno per divenire rapidamente un esperto conoscitore del pensiero di Xi, e così mettersi al passo con i tempi.

Si dice che, dopo la Bibbia, il “Libretto rosso” di Mao sia il libro più venduto di tutti i tempi, più del Corano e più del Capitale. In realtà lo si dice, ad esempio, anche del “Signore degli Anelli”, quindi non è il caso di fare classifiche. Incontestabile però la sua forza incendiaria nella Cina degli anni ’60, e la sua capacità ispiratrice per gli intellettuali europei fino alla fine del decennio successivo. Il che suona a paradosso, essendo esso rivolto proprio contro gli intellettuali, ancorché cinesi; ma la contraddizione non è una categoria dello spirito accettata dal pensatore medio occidentale.

Ad ogni modo: il titolo autentico è “Citazioni del Presidente Mao Tse Tung” e chi lo volle fu il sunnominato Lin Piao, maresciallo dell’Esercito di liberazione popolare, Ministro della Difesa, braccio destro e aspirante successore di Mao. Molto aspirante, anche troppo.

L’intuizione di Mao

Fu lui, nel 1961 a concepire l’idea di una raccolta di massime da far mandare a memoria a tutti i coscritti sparsi per le caserme della Repubblica Popolare. Se un successo va ammesso, è questo: non si fermò ai militari, quel libretto dalla copertina vermiglia, ma passò rapidamente in mano ai contadini e agli operai. Insomma, a tutti.

Ma non portò grande fortuna a chi lo aveva immaginato per primo. Lin Piao infatti nel 1971 morì insieme ai suoi familiari in un incidente aereo molto ma molto misterioso. Si dice che le sue aspirazioni lo avessero spinto a tentare un golpe contro il suo mentore e questi lo avrebbe fatto abbattere mentre tentava di fuggire in Unione Sovietica.

Nel frattempo anche il Libretto aveva subito una sorte di mutazione genetica: da strumento di indottrinamento delle masse operaie e contadine era divenuto testo sacro degli studenti, organizzatisi in Guardie Rosse per combattere la Rivoluzione Culturale. Il fuoco arse per tutta la Cina per dieci anni, le vittime furono centinaia di migliaia, qualcuno azzarda venti milioni. Si spense solo con la morte del Timoniere e la condanna della sua mantide, Jiang Qing la terribile, alla pena capitale.

La massima di Deng Xiaoping

Ma era ormai il 1980 ed un epurato della Rivoluzione Culturale già sedeva al posto di Mao. Si chiamava Deng Xiaoping, e non scrisse nessun libretto di riflessioni. Si limitò ad una massima: “Non importa che il gatto sia bianco o nero, basta che prenda il topo”. E con questo minimo sforzo di carattere ideologico portò la Cina ad essere una potenza economica. Quella che oggi viene guidata da Xi.

Il “Libretto Rosso” si rivolgeva ai giovani cinesi che Mao cercò di mobilitare contro la burocrazia del Partito Comunista cinese che pullulava di oppositori. Mobilitando i giovani, Mao puntò a creare un rapporto diretto di tipo carismatico con i giovani dell’intera Cina. Giovani di ogni parte del paese accorrevano nella Piazza Tienanmen a celebrare la grandezza del Presidente Mao. Federico Rampini riporta, nella pregevole prefazione all’ultima edizione del “Libretto Rosso”, un passo del sinologo Ross Terrill in cui viene descritta questa enorme folla di giovani che osannano Mao indossando “tute militari color cachi con una fascia rossa al braccio e la scritta Guardie Rosse. Ognuno stringeva una copia delle Citazioni. Agitate in aria, tutte quelle copertine rosse facevano apparire la Piazza Tienanmen come una prateria piena di farfalle“.

Grazie al potere galvanizzante di alcune frasi, il “Libretto Rosso” cementò un’intera generazione di cinesi che venivano incitati alla violenza rivoluzionaria (“Il potere politico nasce dalla canna di fucile” oppure “la rivoluzione non è un pranzo di gala ma è un atto di violenza con il quale una classe ne rovescia un’altra”).

Il fascino irresistibile delle citazioni del Grande Timoniere conquistò anche le masse giovanili dell’Occidente. I movimenti studenteschi di tutta Europa adottarono il “Libretto Rosso” come uno dei testi sacri da affiancare a quelli di Marx, Lenin, Marcuse.

© ROD PORTEOUS / ROBERT HARDING PREMIUM / ROBERTHARDING VIA AFP
Libretto rosso di Mao Zedong


C’era l’ingenua speranza che il comunismo cinese fosse diverso da quello sovietico
. Le élites europee videro nella  Rivoluzione Culturale del decennio 1966-1976 l’inizio di una nuova stagione per l’umanità, preludio al definitivo trionfo della giustizia universale. La forza seduttiva del maoismo sulle giovani coscienze non si fermò, quindi, in Cina. Ma la verità che si nascondeva dietro la grande rivoluzione venne rigorosamente occultata.

L’idolatria del Presidente scatenò una dose di fanatismo e di intolleranza che si tradusse in sistematiche violenze, spesso efferate. Nelle campagne, le esecuzioni sommarie dei dissidenti raggiunse una cifra oscillante tra i 750.000 e il milione e mezzo di morti. Le persecuzioni raggiunsero il numero di 36 milioni di persone, tutte condannate ai lavori forzati nei laogai dove i detenuti, ogni mattina, erano obbligati a radunarsi davanti ad un muro su cui era appeso un ritratto di Mao, cantare le citazioni e, tenendo in mano, il “Libretto Rosso”, gridare tre volte “Diecimila anni”, cioè lunga vita al Presidente.

AGI

 

Redazione Radici

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