La Cedu bacchetta ancora l’Italia in materia di violenza domestica

La Cedu bacchetta ancora l’Italia in materia di violenza domestica

Avv. Giovanna Barca – Le Avvocate Italiane

Dopo la vicenda Talpis contro Italia (Corte Edu, sezione prima, sentenza Talpis contro Italia, 2 marzo 2017, ricorso n. 41237/14), la Corte Europea dei diritti dell’uomo è ritornata a bacchettare e condannare l’Italia in tema di violenza domestica con la sentenza Landi contro Italia del 7 aprile 2022.

A differenza della sentenza Talpis, nel presente caso, la Corte sposa nella decisione  i principi giuridici  adottati già nel caso Kurt contro Austria (Corte Edu,Grande Camera, sentenza Kurt c. Austria, 15 giugno 2021, ricorso n. 23452/15), ovvero quelli secondo i quali le autorità devono reagire immediatamente alle accuse di violenza domestica e quando esiste un rischio reale ed immediato per la vita della vittima di violenza domestica, le stesse sono obbligate ad applicare le misure operative preventive, adeguate e proporzionate al livello di rischio identificato.

Nel caso Landi contro Italia, la sig.ra Landi sosteneva che lo Stato italiano avesse violato l’art. 2 della Convenzione, ovvero il suo diritto alla vita e quello dei figli, e che la violazione nei suoi confronti fosse da imputare in parte a un atteggiamento discriminatorio nei confronti delle donne da parte delle autorità.

I fatti avvenivano in Scarperia (Firenze): il 14 settembre del 2018, un uomo N.P., alterandosi per un rumore causato dal figlio e da una telefonata ricevuta dalla sua compagna, impugnava un coltello ed uccideva il figlio di un anno, ferendo in modo grave anche la convivente e l’altra figlia.

C’è da dire che, prima del giorno della tragedia, la donna era stata già aggredita tre volte dal compagno, nel novembre del 2015, nel settembre 2017 e nel febbraio 2018, e che avesse sporto diverse denunce.

Nonostante l’apertura di una procedura per violenza domestica e l’indicazione di un esperto che indicava la pericolosità dell’uomo a causa delle patologie di cui soffriva, consigliandone anche un programma terapeutico, durante l’inchiesta non venne mai presa alcuna misura per proteggere la donna e i suoi figli.

Analizzato attentamente il caso, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per non aver protetto una donna e i suoi figli dalla violenza domestica terminata in tragedia. Nella sentenza si legge che “i procuratori sono rimasti passivi di fronte ai gravi rischi che correva la donna e con la loro inazione hanno permesso al compagno di continuare a minacciarla e aggredirla”.

Lo Stato dovrà versare alla donna 32mila euro per danni morali.

La Cedu, citando le risultanze del Rapporto del Gruppo di esperte sulla violenza contro le donne sull’Italia (GREVIO) pubblicato il 13 gennaio 2020, ha esortato l’Italia a colmare la lacuna legislativa riguardante la mancanza di rimedi civili esperibili avverso qualsivoglia autorità statale che non adotti misure preventive o protettive necessarie in materia di violenza domestica.

Non si è risparmiata nel ricordare che l’Italia ha violato l’art. 2 della Convenzione in quanto a differenza dei carabinieri, che hanno dimostrato di avere svolto un’analisi accurata del rischio, proponendo l’adozione di misure preventive, i procuratori che avevano il compito di esaminare tali proposte non hanno osservato la particolare diligenza richiesta nel dare risposta immediata alle accuse di violenza domestica presentate dalla ricorrente. Seppure informati dai carabinieri, i procuratori non hanno ritenuto che le denunce meritassero un intervento attivo, venendo meno al loro dovere di effettuare una valutazione immediata e proattiva del rischio di recidiva della violenza commessa a danno della donna e dei bambini, adottando misure necessarie per proteggere la loro vita, come il coinvolgimento anche dei servizi sociali e degli psicologi ed il collocamento dei bambini e della ricorrente in un centro antiviolenza. Tali misure, come ribadito dal Grevio, potrebbero e dovrebbero essere adottate dalle autorità indipendentemente dalla presentazione di denunce ed indipendentemente dal fatto che le stesse siano state ritirate o dal cambiamento nella percezione del rischio da parte della vittima.

Infine, relativamente alla violazione dell’art. 14 della Convenzione, la Corte ha invece ribadito i principi giuridici enunciati nella sentenza Opuz c. Turchia (Corte Edu, sezione terza, sentenza Opuz contro Turchia, 9 giugno 2009, ricorso n. 33401/02) e nella sentenza Volodina contro Russia (Corte Edu, sezione terza, sentenza Volodina contro Russia, 14 dicembre 2021, ricorso n. 40419/19). Ha sicuramente promosso le riforme dell’Italia in materia di violenza domestica sostenendo che non è indubbio che l’Italia si sia attivata con provvedimenti volti ad attuare la Convenzione di Istanbul, dimostrando una reale volontà politica di prevenire e combattere la violenza contro le donne e che nel caso de quo non vi sono prove del fatto che i procuratori incaricati del procedimento abbiano agito in modo discriminatorio o con un intento discriminatorio nei confronti della ricorrente. La Corte ha ricordato che vi può essere violazione dell’art. 14 CEDU solamente in caso di inadempienze diffuse derivanti da una chiara e sistematica incapacità delle autorità nazionali di apprezzare la gravità, la portata e l’effetto discriminatorio del problema della violenza domestica sulle donne.

Redazione Radici

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