La ripresa economica del Venezuela, un castello di carteĀ 

La ripresa economica del Venezuela, un castello di carteĀ 
di Mauro Bafile

ā€œLā€™economia non ĆØ una scienza certa. Si suole affermare che ā€œle nuove idee nascono come eresie e muoiono come dogmiā€. ƈ quello che accade allā€™economia, quando si assume come veritĆ  incontrovertibile. ƈ per questo che, quando si analizzano i risultati delle politiche dei governi di turno, cā€™ĆØ chi vede il bicchiere mezzo pieno e chi, invece, lo vede mezzo vuoto. Mai che qualcuno riesca a vederlo mezzo pieno e, nel contempo, mezzo vuoto. Contro ogni pronostico, oggi il Venezuela lo permetterebbeā€.

CosƬ scrive Mauro BafileĀ suĀ ā€œLa voce dā€™Italiaā€, quotidiano online di Caracas che lui stesso dirige.

La matematica, tutti sono dā€™accordo, non ĆØ unā€™opinione. I numeri non mentono. Se ciĆ² ĆØ vero, allora il bilancio dellā€™economia venezolana, nel primo trimestre dellā€™anno, puĆ² solo considerarsi positivo.

Innanzitutto, pare aver lasciato definitivamente lā€™iperinflazione alle spalle. Se poi si dĆ  credito alle statistiche della Banca Centrale, organismo che non gode di molta credibilitĆ , e anche a quelle di organismi privati e di analisti, solitamente assai critici nei confronti del Governo, sarebbero giĆ  trascorsi quattro mesi consecutivi con unā€™inflazione mensile di un solo digito. Un vero miracolo.

Allo stesso tempo, pare che lā€™economia, come ā€œaraba feniceā€, stia rinascendo dalle ceneri.
La banca dā€™investimenti Credit Suisse ritiene che la crescita del Prodotto Interno Lordo, nel 2022, possa aggirarsi attorno al 20 per cento, lā€™inflazione possa essere appena del 70 per cento e che, alla fine, potrebbe registrarsi anche un superavit di circa quattro miliardi di dollari nella bilancia dei pagamenti. Se tutto ciĆ² fosse poco, il Credit Suisse prevede un aumento delle entrate in moneta straniera del 40 per cento.

Sono tutti risultati, a quanto pare, incontestabili. Indicherebbero una inversione di tendenza dellā€™economia venezolana. E rivelerebbero anche un nuovo orientamento nella politica del Governo che, senza ammettere gli errori del passato che hanno portato alla ā€œdĆ©bĆ¢cleā€ economica, rinnega indirettamente la narrativa antimperialista e ā€œrivoluzionariaā€ e fa propri molti dei suggerimenti dei critici del ā€œchavismoā€.

Pur mantenendo la retorica populista, le frasi altisonanti e gli slogan antimperialisti, il governo ha cominciato a percorrere il sentiero della politica liberale, antitesi dei ā€œpostulati rivoluzionariā€ che, in materia economica, il ā€œchavismoā€ ha difeso per piĆ¹ di ventā€™anni. ƈ senzā€™altro un brusco risveglio per chi ha sempre creduto, e continua a credere, nella ā€œrevoluciĆ³n bonitaā€.

Dopo aver distrutto il potere dā€™acquisto dei venezuelani, trasformato in cenere lā€™apparato produttivo, moltiplicato la disoccupazione a livelli che non hanno precedenti nella storia democratica del Paese, elevato la povertĆ  a quote inimmaginabili, e provocato unā€™ondata imprevista e imprevedibile di emigranti, in un paese tradizionalmente porto sicuro per migliaia di immigranti provenienti da ogni parte del mondo, il Governo, senza sentirsi nellā€™obbligo di dare spiegazioni, ha deciso una brusca inversione di rotta. Stando agli esperti ha rinunciato a stampare banconote per coprire il deficit delle aziende pubbliche, ha ridotto drasticamente la spesa pubblica, ha aperto il Paese a qualunque tipo di investimento ed importazione e ha promosso la dollarizzazione, archiviando i ferrei controlli di cambio.

Insomma, ha cambiato le regole del gioco e rimescolato le carte in tavola.

Tacitamente, ha inaugurato una politica graduale di restituzione ai vecchi proprietari delle aziende che erano state confiscate ed espropriate, grazie allā€™approvazione di decreti assurdi spesso annunciati in diretta da ChĆ”vez nel corso del suo programma televisivo domenicale. Ha iniziato con quelle agricole, invase a suo tempo da gruppi di ā€œchavistasā€ organizzati e promossi dal partito di governo o espropriate dal Governo stesso, mentre erano prospere proprietĆ  agricole o aziende dedite allā€™allevamento e che oggi sono semi distrutte.

Con questa manovra, spera di poter favorire la ripresa della produzione.

Il governo ĆØ riuscito a ridurre lā€™inflazione permettendo che il dollaro sostituisse il ā€œbolĆ­varā€ nelle grandi transazioni ma anche in quelle della quotidianitĆ . Insomma, che il dollaro, in banconote reali, prendesse il sopravvento sulla moneta nazionale, circoscritta ormai ad una realtĆ  virtuale.

Questa nuova strategia ĆØ stata resa possibile, in un primo momento, dalle rimesse della diaspora venezolana, calcolata in piĆ¹ di sei milioni di venezuelani; e, poi, dagli investimenti stranieri, provenienti soprattutto dal Medio Oriente ā€“ leggasi Iran, Iraq ed Emirati Arabi in particolare -, dalla Cina e dalla Russia. ƈ quanto avevano sempre consigliato i critici del ā€œchavismoā€.
Se quanto esposto mostra il ā€œbicchiere mezzo pienoā€; la totale mancanza di politiche industriali e di lavoro mostrano quello ā€œmezzo vuotoā€.

La restituzione delle aziende ai legittimi proprietari pone industriali, agricoltori ed allevatori di fronte ad una vera e propria sfida. Infatti, la ricostruzione del tessuto produttivo si scontra inevitabilmente con la politica di ā€œporte aperteā€ alle importazioni. I produttori locali devono far fronte al carico impositivo imposto dal Governo mentre gli importatori non pagano nĆ© dazi nĆ© Iva. A questo punto, i produttori locali si trovano ad affrontare una concorrenza impossibile.

Da lƬ lo scetticismo di molti di loro.
In Venezuela, oggi, non si produce; si importa di tutto. Il clima di benessere ĆØ solo apparente. Non cā€™ĆØ creazione di ricchezza, di posti di lavoro e, tantomeno, propensione al risparmio.

Lā€™economia produttiva, ereditata dallā€™estinto presidente ChĆ”vez ad inizio di questo secolo, ĆØ stata sostituita dal settore terziario. Ovvero, da due grandi categorie di attivitĆ : i servizi destinati alla vendita come il commercio, il credito, le assicurazioni, i servizi immobiliari, la sanitĆ  privata; e quelli non destinati alla vendita come lā€™istruzione, la difesa, la pubblica amministrazione, ecc. Grande assente, quindi, ĆØ lā€™economia produttiva.

E cosƬ, crescono come funghi i ā€œbodegonesā€, i grandi supermarket e i grandi magazzini. ƈ lā€™economia parassitaria rifugio di ā€œinvestimenti faciliā€, come quelli realizzati dai grossi capitali stranieri; ma anche dal riciclaggio di denaro sporco, proveniente dalle organizzazioni malavitose. Non mancano, ovviamente, investimenti di gruppi appartenenti allā€™oligarchia del potere o dei suoi satelliti. Quindi, a differenza di qualche anno fa, il mercato venezuelano ĆØ capace di offrire di tutto. Ma, ironia della vita, sono prodotti che, per i loro prezzi, non risultano accessibili al 99 per cento della popolazione.

Il venezuelano comune deve accontentarsi di generi alimentari e medicine di dubbia provenienza e qualitĆ . E di abbigliamenti di pessima qualitĆ , merce residua acquistata allā€™estero a prezzi di saldi e rivenduta in Venezuela al doppio del suo valore.

Il ā€œsogno chavistaā€ resta quello che ĆØ sempre stato: una chimera. E il governo, nonostante la narrativa rivoluzionaria e populista, continua a governare per una oligarchia.

La crescita dellā€™economia, per il momento ĆØ solo apparente. Senza un solido settore produttivo, assomiglia ad un fragile castello di carte che un semplice soffio dā€™aria potrebbe buttare giĆ¹ā€

Redazione Radici

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