Enrico Franceschini: la forza di non arrendersi mai

Enrico Franceschini: la forza di non arrendersi mai
 di Stefania del Monte

 Enrico Franceschini è un giornalista e uno scrittore ma, prima ancora, è un cittadino del mondo. Corrispondente per il quotidiano la Repubblica da oltre trentacinque anni, la voglia di avventura lo ha condotto da Bologna a New York, dove tutto è cominciato. In seguito ha vissuto a Washington, Mosca, Gerusalemme e, dal 2003, si è stabilito definitivamente a Londra, ma senza mai dimenticare la sua adorata Romagna.

Ad intervistarlo è stata Stefania Del Monte per “Ciao Mag”, magazine online che lei stessa dirige.

Dagli incontri con Gorbaciov alle cene a Buckingham Palace con la regina Elisabetta, dalle memorabili interviste a personaggi che hanno fatto la storia dell’ultimo secolo al pomeriggio trascorso bevendo birra con Charles Bukowski, l’affascinante universo di Enrico Franceschini è raccontato nei suoi reportage ma anche, e soprattutto, nelle pagine dei suoi libri.

Lo abbiamo raggiunto per parlare dei suoi tanti progetti e abbiamo trovato una persona gentile e disponibile: un acuto e curioso osservatore della società che, nonostante sia stato testimone di alcuni tra i più drammatici avvenimenti della storia contemporanea, non rinuncia a sognare – e a farci sognare – attraverso i suoi romanzi.

D. Enrico, partiamo subito dal tuo nuovo libro: Un gioco perfetto. Di cosa parla?

R. È una commedia romantica ambientata nella New York di oggi. Maggie, una italoamericana 35enne, squattrinata, madre divorziata di due figli, non ha mai trovato l’uomo giusto ma ha un grande amore: il baseball, sport di cui è convinta di sapere più di ogni altro. Uno zio ricchissimo muore lasciandole in eredità, a sorpresa, la squadra di baseball più famosa di New York che però si trova in crisi nera, e lei per risollevarla finisce per allenarla, diventando la prima donna sulla panchina di una squadra professionistica nella storia del baseball Usa. Maggie ha tutti contro: la squadra e la stampa – tranne Henry, un giornalista che le diventa amico, non si capisce se per fare uno scoop o per vero amore – e i tifosi. Tra Little Italy e i grattacieli di Manhattan, tra il ponte di Brooklyn e il villaggio di pescatori di Montauk in fondo a Long Island, come finirà? Nel baseball, come talvolta nella vita, all’ultimo minuto può cambiare tutto.

D. La tua straordinaria carriera ti ha portato, da giovane giornalista sportivo a Bologna, a ricoprire il ruolo attuale di corrispondente estero de la Repubblica a Londra. Un percorso di oltre tre decenni, che hai rievocato in un inserto di otto pagine sul quotidiano. Qual è il tuo ricordo più bello, a livello professionale?

R. Il ricordo professionale più emozionante è stato farcela a New York, dove arrivai a 24 anni, senza un soldo e senza un contratto di lavoro, finendo per essere assunto come corrispondente di ‘Repubblica’ e rimanendoci a vivere per un decennio. Ma il ricordo più importante è stato essere testimone del crollo dell’Urss e in particolare l’intervista che feci a Gorbaciov al Cremlino, subito dopo le sue dimissioni da ultimo presidente sovietico.

D. Il tuo libro La fine dell’impero. L’ultimo viaggio in URSS, pubblicato un anno fa, racconta proprio la sfida della perestrojka e il graduale collasso dell’Unione Sovietica. Da profondo conoscitore di quella realtà politica e culturale, quali riflessioni ti senti di fare rispetto alla drammatica situazione attuale?

R. Per brevità ne dico solo una: che gli imperi totalitari prima o poi sono destinati a crollare. È accaduto all’Urss, un giorno succederà anche alla Russia di Putin.

D. Hai ricoperto incarichi a New York, Washington, Mosca, Gerusalemme e oggi Londra. Quanto possiamo ritrovare, di queste esperienze, nei tuoi romanzi?

R. Molto. Quasi tutti i miei romanzi hanno un giornalista come protagonista, anzi direi proprio tutti tranne uno. E ho ambientato romanzi a New York, a Mosca, a Gerusalemme, a Londra. Seguo il consiglio di Hemingway: ‘Scrivi di ciò che conosci’.

D. Il tuo primo romanzo è uscito nel 1988. Da allora hai pubblicato oltre venti titoli, tra narrativa e saggistica. Cosa ti ha spinto a scrivere libri?

R. Leggerne tanti, cosa che ho cominciato a fare da piccolo, senza mai smettere. L’amore per la lettura, suppongo, ha ispirato la voglia di scrivere: ho cominciato a scrivere raccontini e sui giornalini quando andavo alle elementari e non ho più smesso.

D. Quali sono, secondo te, le qualità di un bravo giornalista e quali, invece, quelle di un bravo scrittore?

R. Un bravo giornalista deve trovare notizie ed essere veloce a scrivere. Un bravo scrittore deve avere fantasia e, se vuole produrre buoni risultati, in genere deve scrivere lentamente, ovvero riscrivere, riscrivere, riscrivere. Ma confesso che io sono piuttosto veloce anche a scrivere libri.

D. Lo scorso dicembre è uscito il tuo libro A Los Angeles con Bukowski. In passato hai anche curato la traduzione di tre libri di poesie dell’autore. Cosa rappresenta, per te, Bukowski? Quanto ha influenzato la tua scrittura?

R. Per me, che ho anche avuto la fortuna di incontrarlo e passare un pomeriggio a bere birra con lui nella sua casa di Los Angeles, come racconto nel libro, Bukowski rappresenta due cose. Primo, la forza di non arrendersi mai: il successo per lui è arrivato solo dopo i cinquant’anni, al termine di una esistenza in miseria. Secondo, la capacità di scrivere in modo semplice, comprensibile da tutti, ma sapere ugualmente emozionare e commuovere.

D. In questi anni hai incontrato e intervistato moltissimi personaggi. Ce n’è uno che ti ha lasciato qualcosa in più, rispetto ad altri?

R. Forse Neil Armstrong, il primo uomo sbarcato sulla luna, per la sua umiltà e il suo straordinario coraggio. Gli domandai quando pensò alla celebre, poetica frase che disse appena messo piede sulla luna, ‘un piccolo passo per un uomo, un grande balzo per l’umanità’, o chi gliela avesse suggerita. Mi rispose che gli venne in mente soltanto poco prima di scendere dalla scaletta, perché mentre il modulo lunare scendeva verso la luna qualcosa si guastò, c’era un 50 per cento di probabilità di sfracellarsi sulla luna e aveva dunque ben altro a cui pensare.

D. Tra le tue tante attività, curi il podcast Bassa marea per il sito di La Feltrinelli. Di cosa parli?

R. Parlo ogni giorno, per due minuti, di un fatto che mi ha colpito, avvenuto generalmente non in Italia ma da qualche altra parte nel mondo. E ogni fatto di cui parlo è legato a un libro, di cui consiglio la lettura.

D. Nuovi progetti in arrivo? Sogni da realizzare?

R. A luglio pubblicherò un giallo, il terzo di una serie che si svolge sulla Riviera romagnola, che è un po’ la mia patria adottiva perché da bolognese ci sono andato in vacanza tutta la vita. Quanto ai sogni, sono un uomo fortunato: li ho realizzati tutti, al di sopra di tutte le mie aspettative. Scrivere per i giornali e scrivere libri: se me lo avessero pronosticato da ragazzo, avrei detto che era come vincere la lotteria”.

Redazione Radici

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