Residenza fiscale all’estero:Schirò e porta (pd): l’iscrizione all’aire può non essere sufficiente

Residenza fiscale all’estero:Schirò e porta (pd): l’iscrizione all’aire può non essere sufficiente
“Iscriversi all’Aire può non essere sufficiente per non pagare le imposte in Italia se per il cittadino-contribuente italiano residente anagraficamente all’estero l’Italia continua però ad essere la sede principale dei suoi affari ed interessi economici, nonché dei rapporti affettivi”. È quanto sostengono Angela Schirò e Fabio Porta, parlamentari Pd eletti all’estero, sulla base di quanto ribadito dalla Cassazione in una recente Ordinanza (n. 8286 del 15 marzo 2022).

“Non è la prima volta che la Suprema Corte si esprime in questi termini consolidando così la giurisprudenza in questa materia”, annotano i due parlamentari. La Corte, aggiungono, “ha praticamente affermato che, ai fini delle imposte dirette, deve considerarsi soggetto passivo il cittadino italiano che, pur risiedendo all’estero, stabilisca in Italia, per la maggior parte del periodo d’imposta, il suo domicilio, inteso come la sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali”.
“Nel caso oggetto della pronuncia – spiegano Porta e Schirò – il cittadino residente all’estero aveva ricevuto un avviso di accertamento dell’Amministrazione finanziaria con cui veniva richiesto il pagamento di imposte a titolo di Irpef, addizionali, Iva e sanzioni sul presupposto che il contribuente, pur iscritto all’Aire, dovesse considerarsi fiscalmente residente in Italia sulla base dei riscontri effettuati e del fatto che la documentazione e gli elementi prodotti dal contribuente non dimostrassero la residenza estera nonostante l’iscrizione all’Aire (tali elementi erano ridotti secondo la Corte alla sola menzione degli “attestati di iscrizioni e assidua frequenza a club socio-culturali e ricreativi” all’estero).

In pratica al contribuente sono stati contestati elementi presuntivi della residenza fiscale in Italia quali la locazione di un immobile in una città italiana ad uso abitativo, indicato dal contribuente medesimo quale sede fiscale propria e della propria famiglia; il contratto di locazione, sempre nella stessa città italiana, di due posti auto; le partecipazioni a vario titolo, quali socio rappresentante legale in alcune società aventi sede in Italia; i redditi conseguiti in Italia e risultanti dai modelli 770 dei sostituti d’imposta”.

“La Corte di Cassazione – chiariscono Schirò e Porta – nella sua Ordinanza ha richiamato il disposto dell’art. 2 del TUIR che, ai fini della residenza fiscale delle persone fisiche, attribuisce rilevanza non solo alla residenza anagrafica (che in questo caso era all’estero) ma anche al domicilio, secondo la definizione resa nel codice civile. In particolare, il requisito del domicilio deve essere inteso come la sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali, come emergenti da elementi presuntivi. Ciò che è stato valorizzato dalla Corte di Cassazione (ma anche più volte dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea) è soprattutto la presenza di elementi significativi, quali l’acquisto di beni immobili, la gestione di affari in contesti societari, la disponibilità di almeno un’abitazione nella quale trascorrere diversi periodi dell’anno, e ciò a prescindere anche dall’iscrizione del soggetto nell’AIRE”.

“Tale centro principale degli interessi vitali del contribuente va individuato, sempre secondo la Cassazione, dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi viene esercitata abitualmente e in modo riconoscibile, e quindi – concludono – in maniera permanente e non legata ad eventi occasionali”.

Redazione Radici

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