Nuovi lavori, nuovi migranti

Nuovi lavori, nuovi migranti
“Attrarre talenti e nuove professionalità. È seguendo questa linea direttrice che un Paese, oggi, può restare davvero competitivo sui mercati globali. Non a caso, da tempo, alcuni governi hanno attuato politiche migratorie di tipo strategico, indirizzate a calamitare e a trattenere i profili più richiesti a livello lavorativo. Da un recente studio pubblicato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), nelle nazioni più sviluppate vivono circa 120 milioni di cosiddetti “migranti economici” (a fronte dei 78 milioni nel 2001): provengono non solo da zone in via di sviluppo, ma anche da territori ricchi, e cercano di migliorare le proprie condizioni, nella carriera e per quanto riguarda il conto in banca”.
A scriverne è Giorgio Moreni, in questo articolo pubblicato sul “Corriere dell’Italianità”, versione online del Corriere degli Italiani, edito a Zurigo.

“La maggioranza dei “migranti economici” è originaria dell’Europa (41,5 milioni), seguita da Asia (31 milioni) e America Latina (30). Appena 12 milioni arrivano da Stati africani. Gli esperti dell’Ocse, inoltre, hanno lanciato anche un “indice di attrattività”, per individuare i punti di forza e debolezza delle nazioni più avanzate nella capacità di richiamare i cosiddetti “cervelli stranieri”. Sette i parametri analizzati: opportunità offerte, reddito e tasse, prospettive future del Paese, possibilità di ricongiungimento familiare, sviluppo di infrastrutture e ricerca, qualità della vita e apertura verso l’immigrazione.

A ottenere i migliori punteggi, mettendo insieme tutte le categorie, sono Australia, Svizzera, Svezia, Nuova Zelanda, Canada, Irlanda, Stati Uniti e Paesi Bassi.

Nelle ultime posizioni, invece, figurano Italia (maglia nera per “reddito e tasse”, il principale parametro che funge da deterrente per i migranti più qualificati), Grecia e Turchia. Per quanto riguarda, nello specifico, la Penisola, come emerge dal nono Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione della Fondazione Leone Moressa, è tornata a essere terra di emigrazione: nell’ultimo decennio ha perso quasi 500 mila italiani (considerando il saldo tra partenze e rientri), di cui quasi 250 mila giovani (15-34 anni), per una perdita stimata dalla Fondazione pari a 16 miliardi di euro, oltre 1 punto percentuale di Pil: è questo il valore aggiunto che i giovani emigrati potrebbero realizzare se fossero occupati nello Stivale.

IL VOLANO DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE


Nel quadro appena tracciato, relativo ai flussi migratori guidati dal desiderio di avanzare in campo professionale e rimpinguare il proprio patrimonio, potrebbe essere interessante aggiungere anche i risultati di un’indagine portata avanti in Svezia. Secondo la ricerca in questione, pubblicata sul quotidiano “Dagens Nyheter” e condotta dall’Istituto svedese per la valutazione del mercato del lavoro e la politica dell’istruzione, almeno 30 delle attuali professioni scompariranno nei prossimi anni grazie all’intelligenza artificiale. Dal report risulta come la tecnologia dell’AI stia gradualmente iniziando a svolgere sempre più funzioni, che in futuro porteranno alla stratificazione della società in termini di salari in diverse aree di attività. Rispetto a studi precedenti, emerge che i processi automatizzati andranno a rimpiazzare sempre di più non solo personale non qualificato, ma anche alcuni medici, tra cui i radiologi, come ha spiegato Max Gordon, chirurgo ortopedico dell’ospedale di Danderyud, aggiungendo che si tratta di settori in cui già da ora, nella sua struttura, si registra una carenza del personale.

L’intelligenza artificiale ha già imparato a identificare diversi tipi di fratture e in futuro sarà in grado di consigliare il trattamento. Oltre all’ortopedia, la tecnologia può essere introdotta in settori come il pronto soccorso, la ginecologia e l’infermieristica. E, al di là del comparto sanitario, l’AI potrebbe andare a sostituire, in futuro, tanti altri profili specializzati come contabili, fotomodelle, operatori di macchine nel settore della stampa, della lavorazione del legno, delle industrie chimiche e metallurgiche, in agricoltura, e ancora, cassieri e venditori, addetti alle pulizie, macchinisti, montatori, personale amministrativo junior, saldatori, muratori, agenti, autisti, guardaboschi e postini.

OPPORTUNITÀ E SFIDE HIGH TECH
Ma a che cosa facciamo riferimento, esattamente, quando parliamo di intelligenza artificiale? Si tratta di dispositivi altamente high tech che rivoluzionano il modo con cui l’uomo interagisce con la macchina e la maniera in cui le macchine “comunicano” tra di loro. L’obiettivo finale è rendere i robot capaci di compiere azioni e “ragionamenti” complessi, imparare dagli errori, e svolgere funzioni fino a questo momento prerogative esclusive dell’intelligenza umana. Nell’uscita dalla crisi dovuta alla pandemia da Covid-19, gli strumenti di AI sono ritenuti una leva strategica per la ripresa dell’economia. Convergono in questa direzione anche numerose risorse destinate dal Piano Nazionale Ripresa e Resistenza italiano, ovvero il documento che il governo tricolore ha predisposto per illustrare come intende gestire i fondi europei Next generation Eu rispetto a sei ambiti principali, tra cui digitalizzazione, salute e transizione ecologica. Resta fondamentale, ovviamente, che gli algoritmi lavorino realmente per il benessere delle persone: a tal fine devono essere posti una serie di paletti a tutela della sicurezza e creare nuove professionalità in grado di gestire la trasformazione tecnologica. È quanto è emerso anche dal convegno “L’intelligenza artificiale nell’Italia post pandemia” organizzato a Roma dall’Osservatorio AI dell’ANSA, in collaborazione con aziende come Deloitte Italia (partner principale), Almawave, Kaspersky e Atex. La sottosegretaria allo Sviluppo economico Anna Ascani ha spiegato che l’intelligenza artificiale aiuterà le piccole e medie imprese italiane ad aumentare la propria competitività, garantendo che il lavoro dell’esecutivo sulla strategia nazionale in quest’ambito è incentrato sul “parlare alla realtà delle imprese”.

POTENZIALI RISCHI DELL’IPERTECNOLOGIA
Accanto a innegabili opportunità e ambiziose sfide legate all’AI, il ministro italiano dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha messo in luce un fattore critico quale è la mancanza di figure professionali, soprattutto intermedie, sottolineando la necessità di investire nelle persone, in particolar modo considerando il fatto che attualmente, nella Penisola, ci sono ancora pochi laureati in materie scientifiche. Dal canto suo il direttore dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale, Roberto Baldoni, ha posto l’accento sulla scarsità di esperti nell’ambito della sicurezza, un’area nella quale si è registrata una fuga di tecnici in Italia negli ultimi trent’anni. Altro fronte potenzialmente pericoloso è quello decisionale. Come ha osservato la presidente del Comitato Nazionale Ricerche (Cnr), Maria Chiara Carrozza, non si può prescindere dall’ambito di applicazione: “La sostituzione della decisione umana, soprattutto in campo militare, è un dibattito che attraversa i confini e richiederà accordi internazionali, perché in quei casi l’intelligenza umana non è sostituibile. Rendere automatico il riconoscimento del nemico, ad esempio, è pericoloso”. Per quanto riguarda il livello individuale, invece, occorre stare attenti a fenomeni come il microtargeting, che ha frantumato le identità della persona, ormai frazionata nelle sue differenti “anime” di consumatore, risparmiatore ed elettore, quest’ultimo a rischio di essere orientato nel suo voto, secondo quanto ha sottolineato osserva il presidente dell’Autorità garante della privacy, Pasquale Stanzione. In generale le varie parti coinvolte nel dibattito hanno giustamente rimarcato che gli sforzi devono essere fatti affinché l’AI crei e sviluppi nuove professionalità, senza andare a sostituire la forza lavoro tradizionale e il valore aggiunto di donne e uomini, rispettando confini etici, ma anche emozionali, dove nemmeno la macchina più all’avanguardia può sostituire l’essere umano.

Nella Confederazione non c’è (in parte) l’immigrazione italiana di una volta.
Una nuova ondata di immigrazione italiana- diversa da quella storica arrivata negli anni 60 e 70- raggiunge la Svizzera negli ultimi anni. Prima erano soprattutto lavoratori poco o per nulla qualificati, provenienti per la maggior parte dal sud della Penisola, ad arrivare nella Confederazione. Essi venivano impiegati nei cantieri, nelle fabbriche e nei ristoranti.
Negli ultimi anni, invece, più della metà di coloro che si trasferiscono nel Paese elvetico ha una laurea e spesso anche una specializzazione. Insomma, ora arrivano tantissimi nuclei familiari giovani e in genere persone di entrambi i sessi molto qualificate, che cercano una professione dove poter mettere a frutto le proprie competenze. Zurigo è una delle mete più gettonate, amata dai professionisti dei generi più disparati, dagli ingegneri agli accademici fino a chi sceglie professioni artistiche. Ovviamente, in base alle proprie competenze e alla conoscenza della lingua, si può avanzare di più o di meno nella carriera. In ogni caso persiste una categoria di lavoratori molto simile a quella tradizionale: persone con nessuna conoscenza specifica, alla ricerca di qualsiasi tipo di occupazione”.

Redazione Radici

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