La Turchia rifugio per dissidenti e oligarchi russi

La Turchia rifugio per dissidenti e oligarchi russi
© Ali Balli / Anadolu Agency / Afp - Lo yacht My Solaris intestato a Roman Abramovich attraccato a Mugla Province in Turchia

La decisione del governo turco di non applicare le sanzioni economiche contro la Russia ha reso la Turchia una delle poche mete a disposizione dei russi che hanno deciso di lasciare il Paese

 La decisione del governo turco del presidente Recep Tayyip Erdogan di non applicare sanzioni economiche nei confronti della Russia e lasciare aperto lo spazio aereo ha reso la Turchia una delle poche mete a disposizione dei russi che hanno deciso di lasciare il Paese.

Tra questi, circa 15 mila nelle prime tre settimane da quando è iniziato il conflitto in Ucraina, vi sono dissidenti, giornalisti, accademici, ma anche oligarchi tradizionalmente vicini al presidente russo Vladimir Putin.

Ha suscitato scalpore la notizia di due yacht registrati alle Bermuda e intestati al magnate Roman Abramovich, noto ai più per i massicci investimenti che hanno portato la squadra inglese del Chelsea alla ribalta del calcio europeo.

Proprio la vicinanza di Abramovich al presidente russo Vladimir Putin ha spinto il presidente ucraino Zelensky a chiedere alla Casa Bianca di bloccare le sanzioni nei confronti dell’oligarca, nella convinzione che si tratti di un personaggio in grado di mediare con il Cremlino.

Abramovich ha messo in vendita il club londinese promettendo che i proventi sarebbero stati devoluti ai profughi ucraini, salvo poi assistere al blocco delle procedure di cessione, conseguenza delle sanzioni scattate in Inghilterra nei suoi confronti.

Acquistata nel 2003 per appena 60 milioni di sterline, Abramovich ha da allora immesso nella società capitali per circa 2,3 miliardi di euro solo per l’acquisto di (circa 500) calciatori, oltre ad aver compiuto massicci investimenti nello stadio e nelle infrastrutture del club.

Secondo il sito Lloyd’s Intelligence List lo yacht My Solaris intestato al patron del Chelsea, 140 metri per un valore di 780 milioni di euro, avrebbe abbandonato il porto di Barcellona l’8 marzo scorso.

Si trovava al largo della Sicilia due giorni dopo, quando sono entrate in vigore le sanzioni della Gran Bretagna, per poi attraccare il 12 marzo a Tivat, in Montenegro e da là prendere il largo verso il porto di Bodrum, nel sud della Turchia. Lo yacht ha seguito una rotta che senza mai entrare in acque greche gli ha permesso di evitare le sanzioni europee, scattate il 15 del mese.

L’altro yacht, Eclipse, 140 metri, due piste per atterraggio elicotteri e un mini sottomarino annesso, valore totale superiore agli 800 milioni di euro, e è partito dalle Antille il 3 marzo per poi giungere in Turchia, nel porto di Marmaris, il 22 del mese, attraverso un percorso che gli ha permesso di evitare le sanzioni.

Al contrario il Sea Rhapsody, del valore di ‘appena’ 80 milioni di euro, di proprietà del numero uno della Banca russa VTB Andrej Kostin, ha abbandonato la Turchia il 18 febbraio per attraccare alle Seychelles il 3 marzo, al termine di un viaggio attraverso il Mar Rosso, con scalo in Oman.

Discorso a parte merita la vicenda di Anatoly Chubais, da sempre vicinissimo a Putin, che il Kommersant segnala a Istanbul, pubblicando una foto di un uomo che somiglia all’oligarca presso un bancomat della metropoli turca.

La fuga di Chubais sarebbe la conseguenza delle frizioni con il presidente russo in seguito all’attacco all’Ucraina, frizioni che ne hanno determinato il licenziamento da consigliere e rappresentante del Cremlino.

Chubais affianca Putin dal 1990. Al presidente russo ha consigliato riforme e manovre economiche, è stato vicepremier e sottosegretario alle finanze, oltre ad essere la mente delle privatizzazioni avvenute in Russia dopo il collasso dell’Unione Sovietica.

Rappresentante speciale del presidente dal 2020, tra il 2008 e il 2019 è stato a capo della Rusnano, compagnia statale creata per lo sviluppo delle nanotecnologie.

Sull’eventualità di una fuga in Turchia il Cremlino ha commentato di non essere interessato ai movimenti di Chubais, sottolineando che l’oligarca non riveste più incarichi ufficiali. Ankara negli ultimi mesi ha intensificato il proprio sforzo diplomatico per cercare di far sedere al tavolo Putin e Zelensky.

Dall’altro lato non sono mancate le pressioni per spingere la Turchia, membro Nato e candidato a entrare nell’UE, ad applicare le sanzioni. Pressioni cui però Erdogan ha risposto picche cercando al contrario di spingere l’occidente verso una posizione che faciliti il dialogo e la diplomazia.

Le motivazioni economiche e geopolitiche della Turchia determinano il no di Ankara e tolgono forza al blocco occidentale, ma trovano riscontro negli ottimi rapporti intrattenuti sia con Mosca che con Kiev, che hanno permesso a Erdogan di tentare una mediazione che va avanti tuttora.

Il no alle sanzioni è motivato anche dalla crisi economica, la peggiore degli ultimi 20 anni, che attanaglia il Paese, cui questa guerra è costata già più di 50 miliardi di dollari. Prospettive poco edificanti alla luce delle cruciali elezioni del 2023. La Turchia non ha mai creduto alle sanzioni economiche e quando è stata costretta ad applicarle è finita nel mirino degli Usa; è il caso del 2013 quando è emerso che la banca statale Halk aggirava le sanzioni all’Iran seguendo lo schema ‘oro per petrolio’ che portò alla carcerazione del faccendiere Reza Zarraf e del banchiere Hakan Atilla, vicinissimo a Erdogan.

Un precedente che ora pone sotto la lente di osservazione movimenti di capitali di oligarchi e compagnie russe che potrebbero approfittare presto dei fortissimi legami economici e finanziari tra Turchia e Russia per incrementare investimenti nel sistema bancario e nel settore energetico, e utilizzare la Turchia come portale per fare affari con il resto del mondo.

Investimenti che sarebbero ben visti da Ankara, alla luce della necessità di valuta straniera delle casse turche, ma anche perché a differenza di quanto avvenuto con l’Iran, Washington al momento non prevede provvedimenti nei confronti di chi non applichi le sanzioni e difficilmente lo farà, considerando che insieme alla Turchia anche Israele ha detto no alle sanzioni nei confronti della Russia.

AGI

 

Redazione Radici

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