La sporca arma degli stupri sui soldati prigionieri è ancora un tabù

La sporca arma degli stupri sui soldati prigionieri è ancora un tabù
© ROBERTO SCHMIDT / AFP

Le violenze e gli abusi sessuali sugli uomini sono un tema intoccabile anche nel mondo accademico e presso gli organismi che se ne devono occupare, tra cui la stessa Onu e i tribunali di guerra: c’è reticenza ad accettarlo, ma gli abusi sessuali su vittime maschili esistono e ignorarli vuol dire favorire la prosecuzione di queste brutalità

È uno tra gli incubi di ogni guerra e se ne torna a parlare con l’invasione russa dell’Ucraina: la violenza sessuale sui nemici catturati. Un crimine atroce di cui tuttavia si racconta poco rispetto ad altre violenze sui civili o sulle donne. Lo studioso Thomas Osorio, Senior research associate all’Università di Leuven in Belgio e ricercatore dell’Onu in materia di diritti umani, ricorda in un ampio servizio della Bbc che “lo stupro è accaduto, in un modo o nell’altro, in tutti i conflitti armati del mondo nel corso della Storia. Sebbene atroce, si tratta di un atto comune che coinvolge sia Paesi molto democratici sia autocratici”.

Lo stupro degli uomini però, secondo Osorio, è considerato ancora un tabù anche nel mondo accademico e presso gli organismi che se ne devono occupare, tra cui la stessa Onu e i tribunali di guerra: c’è reticenza ad accettarlo, ma gli abusi sessuali su vittime maschili esistono e ignorarli vuol dire favorire la prosecuzione di queste brutalità, ammonisce Osorio, che per la prima volta si occupò del tema nella primavera ’93, quando indagava sul conflitto nell’ex Jugoslavia.

Lo studioso ha intervistato da allora decine di vittime maschili della guerra nei Balcani: “Una volta che si prendono i prigionieri, comincia la spirale di crudeltà che arriva fino allo stupro o a innumerevoli altre forme di tortura fisica e psicologica utilizzando il sesso come arma, che si tratti di umiliazione, flagellazione genitale, penetrazione con oggetti, incesto forzato, castrazione e sterilizzazione”, dice Osorio, che ha presentato i suoi studi sulla violenza sessuale nei conflitti bellici all’ateneo di Leuven.

La professoressa Janine Natalya Clark, dell’Università britannica di Birmingham, afferma che la violenza sessuale contro gli uomini è un’arma del conflitto perché colpisce profondamente il nemico nella sua mascolinità. L’obiettivo è disumanizzarlo, umiliarlo, punirlo, anche per ottenere informazioni attraverso la tortura.

Osorio riferisce che la maggioranza degli stupratori in Bosnia ed Erzegovina e Croazia erano poliziotti o riservisti che vestirono l’uniforme di soldato e vedevano nei prigionieri di guerra i traditori della patria. Secondo le sue indagini, oltre la metà dei soldati catturati nel conflitto dell’ex Jugoslavia soffrì sevizie di carattere sessuale, addirittura l’80% di quelli finiti nei campi di prigionia.

Secondo la ricercatrice Valorie K. Vojdik, dell’università statunitense del Tennessee, nei territori orientali del Congo il 20,3% degli uomini dichiararono di essere stati trattenuti come schiavi sessuali dai nemici durante la guerra che insanguinò il Paese tra il 1998 e il 2003.

Ancora: nella guerra in Iraq, i combattenti reclusi nella prigione di Abu Ghraib furono obbligati a restare nudi con la testa incappucciata assieme ai cani, perché, spiega Osorio, “una caratteristica culturale per la gente del Paese è avere molta paura di questi animali e perciò per loro fu tremendo”.

Secondo Vojdik, ad Abu Ghraib le truppe statunitensi abusarono dei detenuti obbligandoli a ballare nudi e a masturbarsi davanti ai compagni, nonché a essere fotografati in esplicite posizioni sessuali. Un rapporto del 2017 dell’Unhcr, l’Agenzia Onu per i rifugiati, rivelò che tra il 19,5% e il 27% degli uomini tra Kurdistan iracheno, Giordania e Libano ammisero di avere subito violenza sessuale. Un giovane soldato, sequestrato e recluso durante la guerra civile nello Sri Lanka tra il 1983 e il 2009, raccontò alla ricercatrice Heleen Touquet, della facoltà di Scienze sociali nell’ateneo di Leuven, di essere stato violentato da diversi uomini nello stesso tempo.

Le conseguenze psicologiche su chi ha sofferto simili esperienze comprendono la perdita della funzionalità sessuale, infertilità, ansia e depressione. Per giunta, in alcuni casi la vittima è fatta oggetto di stigma sociale, e ciò spiega il frequente silenzio di chi è stato stuprato, che tuttavia acutizza il trauma sofferto e talora trasforma le vittime in futuri autori di violenze.

La riluttanza dei governi ad affrontare il problema genera una cultura dell’impunità, che contribuisce al silenzio dei superstiti e impedisce di conseguenza una sufficiente documentazione del fenomeno, inficiando secondo Osorio anche gli strumenti per combattere le violenze sui prigionieri di guerra.

Contribuiscono alla reticenza certe culture locali e gli Stati omofobici, come molti tra gli africani, per cui è frequente registrare dichiarazioni come quella fornita da uno srilankese a Heleen Touquet: “Neppure la mia famiglia può sapere dello stupro che ho subito. Se ne venisse a conoscenza, sarei escluso dalla mia comunità”. La violenza sessuale sugli uomini è un tabù per cui le vittime temono il giudizio collettivo e perciò “la maggioranza dei medici”, conclude Osorio, “consiglia di non rendere noto l’accaduto”.

AGI

Redazione Radici

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