La guerra va di fretta

La guerra va di fretta

Di Daniela Piesco Vice Direttore Radici

La guerra va di fretta, ma ogni singolo atto è irreparabile.Ci sono altre migliaia di persone che attendono, vivono, sopravvivono, e sono i morti di domani, che aspettano di essere parte delle notizie, senza saperlo.

Eppure basterebbe l’immagine di un bambino morto a dire che è troppo, a far riflettere che non ne valeva e soprattutto che non ne vale la pena.

Tutto questo orrore vale il timore di essere circondato dalla Nato, la vita di un bambino sull’asfalto ? Vale, il diritto di scegliersi le alleanze che vuoi?

Si possono ricostruire case e teatri, ponti e ospedali. Ma le vite no.

In questa guerra che corre c’è da considerare anche un altro aspetto molto inquietante che riguarda la cd ‘fabbrica dei figli’. Forse non tutti sono a conoscenza del fatto che ci sono bambini nati in Ucraina, ma attesi non da una guerra. Attesi da qualche coppia in Canada, o in Italia o in Gran Bretagna.Stanno in un bunker a quattordici chilometri da Irpin.

Infatti ci sono tra i 2000 e i 2500 parti l’anno, in Ucraina, per contro d’altri. Vale a dire donne che affittano il proprio corpo a un ovulo e a uno sperma altrui per dare alla luce dei bambini che poi saranno consegnati ai committenti. Adesso i committenti non possono ritirarli, le madri non sempre possono farsi profughe, le anagrafi sono chiuse, gli aeroporti anche.

Adesso ci sono donne che crescono dentro di sé figli da cui non si staccheranno come da contratto, e immagino che sopravvivere insieme sotto le bombe renda tutto più difficile.

La storia avrebbe dovuto insegnarci che una civile Repubblica si può trasformare in una feroce dittatura non a seguito di un sommovimento rivoluzionario, ma con il consenso parlamentare di quegli stessi esponenti politici che avrebbero dovuto difenderla.

Nessuno ha dimenticato che un popolo civile, all’avanguardia, come quello tedesco, si sia fatto incantare dalle deliranti prediche di un artista mancato, di un uomo violento e fanatico come Hitler, al punto da lasciare tutto il potere nelle sue mani per ritrovarsi in una guerra sanguinaria .

E dunque com’è possibile che un popolo civile, all’avanguardia come l’Italia possa oggi condividere l’operato belligerante di un governo che ci sta trascinando in una guerra ?

Com’è possibile che i politici italiani possano farsi incantare dalle deliranti aspirazioni di un banchiere filoamericano fanatico fino al punto da mettere a repentaglio la vita di tutti noi ?

La primavera hitleriana: l’insensatezza della guerra nella poesia di Eugenio Montale

Vale la pena rileggere in questi giorni difficili per l’equilibrio internazionale, “La primavera hitleriana” di Eugenio Montale dove si denuncia l’insensatezza della guerra, il peso delle responsabilità individuali e si annuncia simbolicamente la possibilità di un riscatto dalla storia, con un futuro luminoso.

“La primavera hitleriana”, inserita nella raccolta “La bufera ed altro”, viene scritta in due fasi a ridosso della guerra: nel 1939 e nel 1946. Fu pubblicata per la prima volta sulla rivista fiorentina “Inventario” nel biennio 1946-47.

La condanna del nazifascismo è esplicita, a seguire anche la condanna dell’accoglienza che fiorentini, gerarchi, autorità cittadine riservarono al Fürher. L’occasione del componimento, infatti, è la visita di Hitler nel capoluogo toscano il 9 maggio 1938, presentata come profanazione della civiltà, di cui Firenze è storicamente la culla. Clizia,ricordo,compare come figura salvifica per l’umanità, all’alba di una nuova epoca in cui c’è spazio per la speranza

È appena passato nel centro di Firenze un inviato dell’inferno (Hitler) salutato dai soldati e dalla popolazione in festa. Il Teatro Comunale è addobbato con i simboli nazisti. Chiusi i negozi di alimentari e non, con particolare attenzione per il macellaio di solito intento a preparare il capretto pasquale.

Il fatto è storico: la visita di Hitler a Firenze nel maggio del 1938, con l’invito al Teatro Comunale in pompa magna per assistere in compagnia di Mussolini ad uno spettacolo con le musiche di “Simon Boccanegra” di Verdi.I negozi vengono chiusi perché è un giorno di festa. Nessuno si oppone con un’acquiescenza che Montale stigmatizza così: “sagra di miti carnefici”. Con un ossimoro potente, negativo come il campo semantico riguardante i due dittatori, chiamati “mostri”.

Aggiungo che il lifting del centro storico di Firenze, con annessi e connessi, per la visita di Hitler costò circa 20 milioni di lire nel 1938 (!)Secondo Montale in questo frangente nessuno è senza colpa, vuoi per buona fede, per fede politica o per ignoranza: tutti hanno la loro parte di responsabilità.

Allora non sono serviti a nulla i momenti positivi trascorsi con Clizia, che hanno preceduto il suo rientro negli Stati Uniti? Forse ci sarà riscatto e liberazione.

Montale si riferisce a quando ha assistito insieme ad Irma Brandeis ai fuochi d’artificio il giorno di san Giovanni, patrono di Firenze: quando si sono scambiati pegni e promesse prima dell’addio e quando la luce dei fuochi sembrava promettere un futuro positivo.E Clizia, chiamata con il senhal di eliotropo (girasole) sulla scia del IV libro delle Metamorfosi ovidiane, non si girerà più a vedere il sole? La donna-angelo salvifica, non porterà la salvezza per tutti? Insieme agli angeli che presentano al Signore i meriti umani?

La bufera e altro del 1956 raccoglie testi scritti in un quindicennio intenso e drammatico per Montale cittadino, intellettuale e uomo: quello compreso tra il 1940 e il 1954. Il pensiero del lettore corre inevitabilmente al Secondo Conflitto, la bufera del titolo.

Scrive Montale:

Considero La bufera ed altro come il mio libro migliore (…) in esso è vivo il riflesso della mia condizione storica, della mia attualità di uomo”.

Il dittatore

E perché non ricordare anche una poesia di Gianni Rodari dal titolo “Il dittatore”: una filastrocca per l’infanzia che rappresenta una profonda metafora del nostro tempo.

Oggi come ieri il grande autore per l’infanzia riesce a leggere il nostro tempo con acume intellettuale e una capacità quasi profetica.

Il genio di Gianni Rodari, scrittore e pedagogista, non perde dunque la sua attualità.

Il dittatore è una poesia di Gianni Rodari contenuta nella celebre raccolta Filastrocche in cielo e in terra (Einaudi, 1960).

A un primo sguardo potrebbe apparire una poesia per bambini ma, come del resto la scrittura di Rodari ci ha da tempo insegnato, non è affatto così.

Se letta in questi giorni difficili per l’equilibrio internazionale, Il dittatore appare come un’efficace metafora dei nostri tempi.

Ne Il dittatore possiamo ritrovare un individuo meschino dei tempi andati, ma anche di quelli presenti e, perché no, anche di quelli futuri. Passano gli anni ma la storia si ripete, con tutto il suo carico di eventi, personaggi e situazioni che tornano in un continuo refrain.

Il dittatore descritto da Rodari e il suo diabolico grido “Dopo di me verrà la fine del mondo!” è un copione che la storia umana ha già visto. Dietro quel grido che fa tremare tuttavia c’è anche la certezza che il mondo non finisce, che la vita prosegue il suo corso rifiorendo come una nuova primavera e che, come insegna Gianni Rodari, “il mondo ricomincia daccapo” nonostante questi loschi figuri.

Il dittatore di Gianni Rodari

Un punto piccoletto,
superbo e iracondo,
“Dopo di me” gridava
“verrà la fine del mondo!”.

Le parole protestarono:
“Ma che grilli ha pel capo?
Si crede un Punto-e-basta,
e non è che un Punto-e-a-capo”

Tutto solo a mezza pagina
lo piantarono in asso
e il mondo continuò
una riga più in basso.

Quando scriveva Rodari aveva ancora ben chiaro in mente cosa era stato il fascismo e cosa aveva significato per l’Italia, ma al contempo nutriva nel profondo di sé la consapevolezza, altrettanto solida, che a ogni periodo buio della storia ne succede un altro portatore di rinascita.

Il punto fermo presentato da Rodari è l’emblema della figura del dittatore chiuso nel perimetro ristretto del suo pensiero delirante e del tutto assorbito dalla propria follia distruttiva. Il punto vuole annullare le parole con una pretesa di supremazia assoluta; ma lo scrittore sa, e lo dimostra, che ciò non è possibile.

L’urlo minaccioso lanciato da quel punto “piccoletto e iracondo” – con gli aggettivi Rodari sottolinea la piccolezza umana del dittatore, un concentrato di rabbia e frustrazione , oggi appare di un’attualità sconcertante, in un momento in cui la minaccia, per bocca del presidente russo Putin, si fa drammaticamente più concreta:

Dopo di me” gridava
verrà la fine del mondo!”

Nella chiusa Rodari pone fine al monologo delirante del punto con una frase sferzante: “Non è che un punto a capo” che immediatamente ridimensiona le pretese d’assoluto e di potere del dittatore.

Il mondo continuerà anche senza di lui, osserva il poeta, che del resto non è altro che un “punto a capo” nonostante tutti i suoi sogni di gloria.

Appena una riga più un basso sta per iniziare un’altra storia: un racconto che parla di pace e non di guerra. Punto e a capo, ed ecco che la vita, inarrestabile, riprende il suo corso scrivendo una nuova pagina.

E il mondo continuò
una riga più in basso.

Daniela Piesco 

Redazione Corriere Nazionale

Redazione Stampa Parlamento 

pH Fernando Oliva

https://www.facebook.com/fernando.oliva.1029

Redazione

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