Sezze, ruderi di una villa romana: tracce di storia

Sezze, ruderi di una villa romana: tracce di storia
I ruderi visti dall'esterno

Di Chiara Fiaschetti

tra storia e leggenda

“Setia plena bonis gerit albi signa leonis” Così riporta la cornucopia del leone sullo stemma in riferimento al paese, introducendo la sua leggenda.
La nascita di Setia, antica colonia latina, affonda le sue radici nella leggenda.
L’eroe fondatore, Ercole, sarebbe giunto a Setia dopo aver combattuto e sconfitto i Lestrigoni, un popolo leggendario di giganti antropofagi. Una volta giunto a Setia, Ercole si unì con una vergine del posto dando così alla luce il Faustus, forse un eroe minore.
Sul corpo dell’eroe si posava il manto del leone Nemeo, scuoiato da Ercole che prima tentò di trafiggerlo con arco e frecce.

I resti di una villa romana del I secolo a.C: Il fascino storico

Nell’antica colonia sono molteplici le tracce storiche. È una memoria tangibile, ma che rischia di essere dimenticata.
In quasi tutto il territorio sorsero svariate ville d’età Romana, e una di queste risale al I secolo a.C.

I resti si trovano lungo una strada poco trafficata, che reca segni visibili di degrado come dimostrano le fitte sterpaglie ai lati, rami secchi e spinosi, accompagnati da varie tipologie di rifiuti che incorniciano il percorso.
L’erba incolta e disordinata distoglie l’attenzione dall’importante testimonianza archeologica e rendono l’ingresso difficoltoso e rischioso.
Il sole e il caldo erano insopportabili. Era un primo pomeriggio di un’estate non ancora inoltrata, ma ugualmente appiccicosa.

Mi trovavo su quella strada deserta – a tratti inquietante – per una corsa, nonostante il sole cocente. Forse non fu una brutta idea; arrestandomi su strada, per riprendermi un po’, tra quel groviglio di arbusti disordinati, scorsi i resti della villa e decisi di attraversare la strada. Arrivata dall’altro lato mi accorsi che attraversare quell’erba altissima poggiata su grossi cumuli di terra instabili era praticamente impossibile, ma ci provai ugualmente.
Il sito è abbandonato, senza neppure un divieto d’accesso, e così sembra essere l’intera zona, dove non passa mai nessuno. Il calore che si alzava dall’asfalto bollente rendeva quei momenti quasi surreali, forse per la vista annebbiata.

Decisi quindi di addentrarmi lì in mezzo, attraversando la natura che si erge senza sosta. Faticai moltissimo, rischiando molte volte di scivolare chissà dove, ma durante il cammino quel sentiero si faceva sempre più percorribile, le sterpaglie erano di meno, anche se non del tutto assenti. La parte più difficile fu entrare da uno degli archi a tutto sesto che danno vita in tutto a dodici ambienti. La villa presenta due piani ed è costituita da terrazze. All’interno, i corridoi sembrano interconnessi e comunicanti.

Il corridoio comunicante

 

Vista dall’interno

 

Dalle finestre ad arco a tutto sesto della villa si può osservare l’intera pianura:

«Pendula Pomptinos quae spectat Setia campos»
(Marziale, Epigrammi, XIII)

Camminando in quei corridoi si può respirare aria d’antichità. Si tratta di un posto incontaminato, lontano da qualsiasi forma di impurità nonostante lo stato di abbandono. La natura che cresce incontrollata e senza sosta dona quasi un aspetto magico e fiabesco.


I raggi del sole che filtrano tra i lunghi rami che nel tempo hanno circondato quei resti di storia creano intorno al visitatore un’atmosfera di rara suggestività e suscita impressioni profonde, difficile da poter scrivere, sono vaghe, forse indefinite. Il suo abbandono non lo rende degradante, tralasciando il sentiero che dovrebbe essere più agibile e più facile da raggiungere.
Dal corridoio principale si può accedere a una delle camere quadrangolari caratterizzata da nicchie lungo le pareti.

Anche qui la natura cresce rapida, attraversando le crepe di quelle pareti antichissime.
Non è certo a chi la villa sia appartenuta, forse ad Augusto. Ciò che è certo è che nei secoli successivi subì delle modifiche.

I ruderi si trovano alle pendici del paese “alto” e sembrano adornare la collina.
Allo stato attuale la villa presenta solo due piani e non sappiamo di quanti piani fosse composta all’epoca della prima costruzione. Alcuni credono non si tratti neanche di una villa e hanno identificato i ruderi come terme appartenute allo stesso Augusto.
Probabilmente la villa, situata in una zona strategica, venne realizzata per la coltivazione della vite da cui si produceva il Cecubo, di cui scrisse Orazio e poi Plinio.

Ho scoperto i ruderi solo qualche anno fa e solo per caso mentre mi trovavo su quella strada frequentata da pochissimi che pure un tempo doveva avere la sua importanza storica per il territorio dell’antica colonia Setia.
Dista dalla mia abitazione solo pochi minuti a piedi, eppure non ci avevo mai fatto caso, forse per ignoranza o per pigrizia, e non solo mia, ma dell’intera collettività che rischia di cancellare memorie come queste.
Ad attirare la mia attenzione sono state sicuramente le grandi finestre ad arco collegate ai lunghi corridoi. Mentre li si attraversa ogni direzione appare uguale all’altra e con le stesse dimensioni. Solo le grandi terrazze illuminano l’ambiente interno e solo in una giornata estiva come quella o, comunque, soleggiata.

Camminare e percorrere fino in fondo  quei corridoi bui e poco illuminati è suggestivo, ma a tratti anche fastidioso per i sensi. L’aria è pesante, ma si accompagna alla leggera aria fresca che passa attraverso l’imponente struttura antica e che fa rumore mentre spinge sulle pesanti pareti.
Dopo un po’ ci si abitua a quella sensazione e la mente si rilassa, nonostante il caldo e l’afa che lì sotto fa respirare quasi a fatica mentre senti l’eco del tuo stesso respiro. Si può avvertire un senso di solitudine lì dentro, in quel posto a cui nessuno fa caso. Ammetto che quella solitudine può essere utile, soprattutto se avvertita in un posto da un fascino così sottile, che dà piacere ai sensi dell’anima.

L’aria sembra non passare sotto gli alti, profondi e scuri corridoi e così sembra non passare nemmeno il tempo. Le ore si arrestano e tutto appare immobile, i minuti si cristallizzano sotto l’aria bollente e umida.
Mentre i vestiti diventavano un tutt’uno con la pelle e la carne, non mi rendevo conto delle ore e del mondo lì fuori quelle mura antiche che continuava a scorrere, mentre io me ne stavo lì a pensare.
Mi resi conto di dover tornare, non perché mi sentivo sola, ma perché l’idea dell’oscurità mi terrorizza, soprattutto in un posto sperduto, ma vicino, come quello.

Conclusioni

Sono sicura che tutti ricerchino, talvolta, la solitudine. Un posto dove non hai bisogno di sforzarti per poter non ascoltare le voci della gente, le grida e le risate o le auto rumorose. Tutti abbiamo bisogno di un posto, un posto dove addirittura puoi riascoltare l’eco dei tuoi stessi passi.
Allo stesso tempo, credo che posti come questi vadano riscoperti e non solo dagli introversi e dai solitari come me. Credo che vadano valorizzati per rispetto nei confronti di una memoria storica collettiva che rischia di essere occultata – non solo dal degrado – e abbandonata. Pensare che posti così siano sconosciuti alla maggior parte delle persone è sconvolgente. Non parlo solo del posto da me visitato, ma tutti i resti archeologici che arricchiscono il resto del territorio, comprese altre ville, templi o terme di epoche antiche.

Redazione

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