Bitetto ed il suo straordinario patrimonio storico ed architettonico tutto da vedere

Bitetto ed il suo straordinario patrimonio storico ed architettonico tutto da vedere

Il sito medievale della città di Bitetto corrispondente al Centro antico, un vero scrigno di pregevoli interventi architettonici e artistici, è caratterizzato da una pianta perfettamente circolare la cui circonferenza corrisponde al perimetro murario, oggi distrutto quasi totalmente, ad eccezione di alcune porzioni murarie a completamento della principale porta urbica: Porta Baresana detta anche  “Porta Piscina”, imponente ingresso nord-orientale alla vecchia città.

Da qui si apre la principale arteria stradale della città che collega detto accesso urbico alla Cattedrale. I toponimi della porta e della strada omonima derivano dall’esistenza nell’immediato suburbio extra moenia di alcune cisterne sotterranee, utilizzate per la raccolta delle acque piovane.

La porta urbica presenta l’alto zoccolo realizzato con conci di pietra di Trani, il fornice a tutto sesto, la cui ghiera è evidenziata da una corona di bugne dentellate e dall’enfatizzazione del bolognino in chiave. Al di sopra del fornice insistono un’epigrafe e due stemmi araldici dal tipico scudo angioino a ogiva rovesciata. Il piano superiore presenta la merlatura a dentelli quadrangolari, richiamo della factio guelfa. Sono rare le cattedrali romanico-pugliesi dedicate all’Arcangelo San Michele come quella di Bitetto.

L’impianto della cattedrale di Bitetto è definito dalla tradizionale pianta basilicale orientata a croce latina con transetto estradossato rispetto ai lati lunghi e alle absidi intradossate. La facciata suggerisce la tripartizione interna: lo sviluppo in alzato, la pendenza dei salienti, la collocazione dei tre portali d’accesso, declinati però secondo stilemi già gotici, come nella Cattedrale di Bitonto. Su questo modello, difatti, è plasmata la facciata, tripartita in salienti mediante lesene, che è suddivisa in due registri.

Se la morfologia della facciata emula la vicina fonte iconografica propriamente romanica, i portali si configurano quali preziose manifestazioni della cultura gotica francese, sviluppatasi in Puglia nel periodo della presenza e della dominazione degli Angioini.

L’autore, come si legge nell’epigrafe dedicatoria sull’architrave principale, è Lillo da Barletta, Lillum de Barulo magister , che nel 1335 su committenza del vescovo Giacomo Bonocore ammodernò la vecchia cattedrale romanica di Bitetto.

Gli altorilievi con figure e i partiti decorativi fito-zoomorfici che decorano gli stipiti, l’architrave, la lunetta e le ghiere degli archi ogivali del protiro costituiscono il variegato vocabolario linguistico che soddisfa appieno le esigenze trecentesche di horror vacui. Il programma iconografico segue questo schema: il ciclo neotestamentario si sviluppa entro le formelle degli stipiti, il collegio dell’Apostoleion col Cristo centrale affiancato dai Dodici apostoli si dispiega sull’architrave e nella lunetta ogivale soprastante è collocato l’altorilievo della Madonna Basilissa, assisa sul trono, ed incensata da due angeli reggi turibolo. Il registro centrale è occupato da tre ampie bifore.

L’elegante rosone a dodici raggi conclude il saliente centrale, definendo l’area frontonale. L’interno è suddiviso in tre navate mediante pilastri cruciformi sui quali s’impostano archi a tutto sesto, a loro volta sormontati dai trifori posticci del matroneo. Sia la navata centrale che il transetto sono coperti da capriate lignee. Delle tre absidi si conservano solo le absidiole, in quanto quella centrale nel corso del XVIII secolo fu sfondata per impostare il vano rettangolare del coro.

Lo status quo contemporaneo consta di due cappelloni barocchi, aggiunti in età moderna ai lati delle navate. Degli arredi tardobarocchi di rilevanza sono l’Altare maggiore e la mensa liturgica del Cappellone del Santissimo: entrambi in marmi policromi intarsiati di scuola  napoletana. Sul prezioso altare maggiore si conserva un pregevole dipinto, raffigurante l’Assunta e l’Arcangelo Michele, firmato nel 1656 dal noto pittore bitontino Carlo Rosa.

Pregevole anche  la statua in argento raffigurante l’arcangelo Michele, opera di Andrea De Blasio – custodita nella cattedrale. A pochi passi dalla Cattedrale, sempre nel centro storico della città, troviamo una originale domus turrita stilisticamente riconducibile alla seconda metà del XIII secolo, con impianto a curtis situata in via Leonese, arteria stradale d’interesse per via dell’abbondanza di elementi architettonici della prima fase angioina napoletana (1260-1290).

Casa dei Cavalieri di Malta

L’edificio fortificato è noto, nella tradizione locale, come ’Casa dei Cavalieri di Malta’, tuttavia non ci sono fonti coeve o di poco successive rispetto alla datazione della turris che giustifichino con certezza tale titolazione. La fabbrica si sviluppa su tre livelli, intorno alla curtis interna, formando un impianto ’a tau’. Ascrivibile, per ragioni stilistiche, alla seconda metà del Duecento, contiene diversi elementi di ascendenza francesizzante.

All’ultimo piano si aprono due bifore ogivali, vividi esempi dell’irradiamento del gotico napoletano, una delle quali è composta da archetti trilobati inquadrati nell’archivolto ogivale, che delimita la lunetta traforata a losanga. La cronotassi episcopale scritta dal diacono Riccardo Iacovielli riporta un episodio che, verosimilmente, sarebbe avvenuto nella seconda metà del Duecento: da questo Chronicon si originerebbe la titolatio cavalleresca della domus turrita. Nella fonte, difatti, si parla di un certo cavaliere teutonico, Ioanninus Carapinos, reo di un omicidio avvenuto a Costanza in Germania, che trova rifugio a Bitetto in questa dimora.

Un documento testamentario trecentesco annovera, inoltre, la torre tra i possedimenti delle Terre del Tempio, specificazione che alluderebbe all’ordine cavalleresco templare. L’edifico conserva in facciata il blasone nobiliare della famiglia bitontina Sylos-Labini, a cui è associata l’epigrafe seicentesca col motto cavalleresco “Intrent securi qui querunt vivere puri” (Entrino sicuri coloro chiedono di vivere puri). Di fronte alla Cattedrale troviamo Il Sedile che costituisce il primo tentativo di dotare la città di un luogo simbolico della vita civica: punto di riferimento per l’Universitas in materia amministrativa, giuridica ed economica.

Lo status quo originario persiste nel solo corpo di fabbrica a pianoterra, caratterizzato da tre grandi fornici gotici aperti sull’agorà. Dal Medioevo sino all’Unità d’Italia nell’edificio erano depositate le locali unità di misura e sotto il suo portico venivano indette le aste pubbliche durante le fiere annuali. Nel XVIII secolo l’edificio fu sopraelevato con l’innalzamento del primo piano con la torre campanaria a vela e l’ubicazione della meridiana, trasformata successivamente in un orologio meccanico.

La tradizione orale riferisce che la sede venne adibita a luogo per la pubblica gogna, vista la presenza sulla facciata di un mascherone leonino, richiamo alla giustizia civile. Esternamente alle mura, a ridosso di Porta Baresana, s’imposta il Palazzo Baronale commissionato dalla famiglia Noya, penultima feudataria della città, originaria di Mola di Bari, che nel 1743 aveva acquistato il feudo di Bitetto dal Principe Carmine de Angelis. L’edificio assurge alla duplice funzione di palazzo urbano, essendo appena fuori le mura, e residenza di campagna, per via della cinta fortificata che lo protegge. Esso, difatti, è fortificato da un possente muro di recinzione realizzato in conci lapidei tagliati a punta di diamante, scandito euritmicamente da paraste di ordine tuscanico e colonne su alti plinti in corrispondenza del portale d’accesso, enfatizzato mediante l’innalzamento del muro, a guisa di trapezio.

Lungo l’intero attico del muro di cinta corre un ballatoio generato dall’aggetto della trabeazione fortemente modanata. Sulla corte interna si affaccia il prospetto tardo-barocco del palazzo vero e proprio, che rievoca moduli iconografici ed elementi decorativi vanvitelliani. Il palazzo, essendo situato a ridosso delle mura urbiche, ha inglobato parte del complesso medievale nonché parte del preesistente palazzo cinque-seicentesco dei precedenti feudatari. Il fornice d’accesso alla curtis interna è determinato da un’aggettante cornice dalla sezione mistilinea che corre lungo gli stipiti e la centinatura dai piedritti vezzosamente sagomati, in ossequio alla più stretta osservanza dei capricci stilistici dell’epoca: la ghiera dell’archivolto è interrotta al centro in corrispondenza del cartiglio dedicatorio e della maschera apotropaica.

Nella periferia a sud-ovest della Città sorge il Santuario del Beato Giacomo Varingez, un complesso conventuale occupato dai Frati francescani Minori. La chiesa ha una caratteristica facciata “a volute”, realizzata nel 1761. La zona superiore, conclusa da una cuspide polilobata e terminante con acroteri laterali, è aperta al centro da una monofora nella quale è collocata la statua in pietra della Vergine degli Angeli. Alle estremità del cornicione sono collocate le statue in pietra di san Pasquale Baylon (a destra) e di san Pietro di Alcantara (a sinistra).

Il tema mariano è presente anche nelle campiture della volta della navata centrale, in cui sono state racchiuse i dipinti a tempera del pittore Giuseppe Musso che, nel 1762, vi raffigurò i sei Misteri mariani. Il Santuario è meta di intenso  e continuo  pellegrinaggio per la presenza, in un’urna di cristallo, del corpo straordinariamente incorrotto e taumaturgico del Beato Giacomo. Nella seconda metà del Quattrocento, quando la città è governata dal duca Andrea Matteo Acquaviva d’Aragona, giunge nel Convento francescano, eretto insieme con la chiesa nel 1432, un frate converso dal grande carisma spirituale: Giacomo Varingez (1400-1490), originario di Zara in Croazia, per il quale è in corso il processo di canonizzazione in seguito ai numerosi miracoli a lui attribuiti dal XV secolo ad oggi.

Unica testimonianza artistica dell’edificio quattrocentesco è l’affresco, sulla parete destra di controfacciata, che raffigura la Vergine col Bambino, risalente alla prima metà del XV secolo e ascrivile alla Scuola pittorica di Giovanni di Francia. Nella sagrestia si conserva un’altra preziosa opera tardo-rinascimentale: è la piccola icona attribuita al pittore neobizantino Scupola. Ancora oggi i frati custodiscono con profonda devozione la chiesa, gioiello di architettura barocca, impreziosita da importanti opere artistiche tra cui è notevole il retablo ligneo dell’altare maggiore, intagliato tra il 1651 e il 1657 da fra Giuseppe da Soleto.

Nel cenobio quattrocentesco restaurato è visitabile il “Museo della Devozione e del Lavoro” in cui sono raccolte numerose testimonianze della civiltà contadina e devozionale locale. Completa l’apparato museale una serie di costumi popolari di fine Settecento, realizzati dagli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Bari.
Negli stessi ambienti museali, durante il periodo natalizio, è allestito l’annuale Presepe Vivente, particolarmente curato e originale con la partecipazione corale di tutta la popolazione bitettese.

Segue 2° parte

Giacomo Marcario

Antonio Peragine

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