Tradizione e folklore slavo: I casi di vampirismo tra storia e leggenda

Tradizione e folklore slavo: I casi di vampirismo tra storia e leggenda

Di Chiara Fiaschetti

 

Upyr

Secondo la credenza slava il vampiro continuava a vivere tra il mondo dei morti e quello dei vivi, trovandosi così in una condizione intermedia. L’Upyr (termine slavo), si trovava, quindi, tra due punti distin ti nel tempo e nello spazio, ma ugualmente connessi.
Il vampiro spesso abbandonava la dimora d’oltretomba e di notte si riaffacciava sulla vita terrena tormentando gli uomini. Per ucciderlo era necessario un paletto di biancospino che secondo la tradizione era in grado di scacciare le impurità, allontanando gli influssi negativi, oppure occorreva decapitarlo.

Il caso di Jure Grando tra storia e fantasia

Jure Grando fu la prima persona ad essere riconosciuta come vampiro.
La storia dell’uomo, che visse in Corazia nel XVII secolo, compare nei documenti storici e si tratterebbe, almeno finora, della prima persona reale “affetta” da vampirismo.
La sua leggenda venne diffusa da Johann Weichard von Valvasor attraverso il libro, del 1689, Die Ehre des Hertzogthums Crain.
Grando morì nel 1656 per malattia, ma nonostante fosse morto da sedici anni, secondo la leggenda continuava a perseguitare gli abitanti del villaggio di Corridico, dove era vissuto. Valvasor nella sua opera colossale suddivisa in ampi capitoli, in uno di questi, narra che Jure, di notte, si mostrò al parroco che lo aveva seppellito sedici anni prima a notte fonda e in modo “irregolare”.
La storia di Grando venne ripresa da Johann Joseph von Gorres, uno storico e pubblicista tedesco. In “La mystique divine, naturelle et diabolique”del 1855.
Gorres parla di un “vampiro di nome Jure Grando, che infestò per lungo tempo il paese di Coridiggo, in Istria”.
La storia di Gorres, diversamente da quella di Valvasor, è ricca di particolari aggiunti probabilmente per rendere la trama ancora più interessanti.

Secondo Gorres, Grando sarebbe entrato persino nel letto di sua moglie, la quale descrisse il marito defunto come un cadavere che in volto mostrava un inquietante sorriso e respirava affannosamente:

sorridente, facendo diversi movimenti, come se fosse lieto di respirare l’aria fresca”

Il parroco successivamente radunò gli abitanti del villaggio che circondarono la creatura sollevando pesanti croci e in fine Jure venne trafitto con un paletto di biancospino, ma tutto fu vano, Jure Grando riuscì a fuggire con il paletto conficcato non abbastanza in profondità.
I paesani, insieme alla moglie del vampiro, che Gorres chiama Ivana, si recarono al cimitero accompagnati dal parroco. Alcuni presero coraggio e scoperchiarono la tomba trovando all’interno “un corpo rosato e vermiglio, che li accolse ridendo”.

Stipan Milasich, un abitante del villaggio, anche se terrorizzato, riuscì a decapitarlo. Dal corpo di Jure Grando iniziò a schizzare sangue, ma dalla notte della decapitazione non tornò più al villaggio.

Probabilmente si tratta di un racconto di fantasia. Nell’Europa dell’Est e nei Balcani erano – e sono – molto diffuse superstizioni legate ai vampiri. Tale superstizione si diffuse moltissimo nei secoli, tanto da far scatenare una sorta di isteria collettiva che spinse addirittura a piantare paletti nei cadaveri o ad accusare persone di vampirismo.
Nell’Europa dell’Est il vampiro viene rappresentato come un cadavere in putrefazione, simile quindi agli umani. Questo potrebbe spiegare la leggenda di Jure Grando.

Redazione Radici

 

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