Nomine alla Corte Suprema: da Trump a Biden

Nomine alla Corte Suprema: da Trump a Biden
di Domenico Maceri
“Mettetemi nel gruppo di quelli che vogliono assicurarsi che una Corte e altre istituzioni somiglino all’America”. Così il senatore repubblicano della South Carolina Lindsey Graham mentre appoggiava il piano di Joe Biden di sostituire il giudice della Corte Suprema Stephen Breyer con una donna afroamericana. Alcune voci di colleghi di Graham si erano sollevate contro l’intenzione di Biden sostenendo che le capacità dell’individuo dovrebbero essere la guida per una nomina e non l’etnia o la razza.

Breyer ha recentemente annunciato che alla fine della prossima sessione estiva della Corte Suprema andrà in pensione e quindi l’attuale inquilino alla Casa Bianca nominerà un nuovo giudice che dovrà poi essere confermato dal Senato.
Al momento la Corte Suprema include 9 giudici, 6 dei quali sono stati nominati da presidenti repubblicani e 3 da democratici. Breyer fu nominato alla Corte Suprema da Bill Clinton nel 1994 e fu confermato dal Senato con un voto schiacciante di 87 favorevoli e 9 contrari. Nei suoi 28 anni nella Corte Suprema Breyer è stato un affidabile giudice liberal ma senza il carisma di Ruth Bader Ginsburg.
Al momento non si sa chi sarà scelto da Biden ma il sostituto non avrebbe molto peso per fare pendere la Corte a sinistra. Non ci dovrebbero essere moltissime polemiche come sono avvenute nelle ultime tre nomine durante l’amministrazione di Donald Trump. Il 45esimo presidente ebbe l’opportunità di nominare tre giudici alla Corte Suprema. Due di loro avvennero per causa di decessi e il terzo per un altro caso di pensionamento.

La prima nomina alla Corte Suprema di Trump fu quella di Neil Gorsuch nel 2017. Il seggio era divenuto vuoto a causa della morte di Antonin Scalia nel mese di febbraio del 2016. Il mese dopo l’allora presidente Barack Obama nominò Merrick Garland, un giudice moderato, credendo che il Senato con la maggioranza repubblicana lo avrebbe confermato come spesso avveniva in passato.

Mitch McConnell, repubblicano del Kentucky e allora presidente del Senato, escogitò un piano atipico per bloccare la conferma. Non permise che la nomina di Garland fosse sottoposta al voto asserendo che in un anno di elezione presidenziale gli elettori avevano il diritto di avere una voce su chi sarebbe il sostituto di Scalia. Non esisteva nessun precedente storico per questa decisione e mancavano più di nove mesi per l’elezione quindi c’era tempo più che sufficiente per le procedure di conferma. Il congelamento della nomina di Garland funzionò alla perfezione per McConnell, perché inaspettatamente Donald Trump fu eletto presidente e scelse Neil Gorsuch il quale fu confermato dal Senato nel 2017. In effetti, McConnell riuscì a “rubare” un seggio alla Corte Suprema che spettava ai democratici.
La seconda nomina di Trump fu tradizionale da una parte, ma molto polemica dall’altra.

Il giudice Anthony Kennedy della Corte Suprema decise di andare in pensione nel 2018 durante il secondo anno di presidenza di Trump. Lo fece in un certo senso per “clonarsi”, come fanno spesso i giudici della Corte Suprema, scegliendo di andare in pensione durante l’amministrazione di un presidente che nominerà un sostituto con simile ideologia. Difatti, Trump nominò Brett Kavanaugh che non avrebbe dovuto essere polemico. Nel corso delle audizioni di conferma al Senato, però, Kavanaugh fu accusato di avere aggredito sessualmente Christine Blasey Ford quando i due erano studenti alla scuola superiore negli anni 80. Dopo molti eventi acrimoniosi Kavanaugh fu confermato (50-48) con i voti dei soli repubblicani, eccetto per un democratico.
La terza nomina di Trump fu polemica per ragioni molto simili a quelle della sostituzione di Scalia.
La giudice Ruth Bader Ginsburg, nominata da Bill Clinton nel 1993, morì nel 2020 all’età di 87 anni. La Ginsburg era divenuta icona dei liberal ma nei suoi anni di servizio nella Corte era anche divenuta grande amica di Scalia nonostante le ideologie diametralmente opposte. La Ginsburg avrebbe potuto andare in pensione durante l’amministrazione di Barack Obama, fin dal primo anno del primo presidente afro-americano (2009) quando lei aveva 76 anni, all’ultimo (2017) quando ne aveva 84. Se l’avesse fatto, Obama avrebbe avuto l’opportunità di nominare un giudice che pendesse a sinistra.

Bader Ginsburg decise però di rimanere in carica sperando, come tanti, che Hillary Clinton sarebbe stata eletta. La vittoria di Trump nel 2016 la costrinse a tenere duro ma il 18 settembre del 2020 morì. Mancavano quarantasette giorni all’elezione presidenziale e difatti in parecchi Stati si era già votato per corrispondenza mediante il voto anticipato. Dunque, considerando l’elezione in corso la stessa logica del caso di Garland 4 anni prima avrebbe dovute reggere. McConnell, però, dopo la nomina lampo di Amy Coney Barrett, fece una conferma immediata, dimostrando ovvia ipocrisia. Come risultato, l’attuale Corte ha 6 giudici con tendenze a destra e 3 a sinistra.
Breyer aveva ricevuto pressioni da gruppi di sinistra per andare in pensione perché si temeva che a 82 anni si sarebbe ripetuto il caso di Ginsburg e che si potesse, dunque, peggiorare la situazione della Corte che già pende a destra. Breyer, dopo avere temporeggiato, alla fine ha deciso di ritirarsi e di farlo con un presidente dello stesso partito che lo aveva nominato. Lo ha fatto all’inizio del secondo anno di presidenza di Biden dandogli tempo per trovare un sostituto con una conferma, anche se i democratici hanno una risicata maggioranza al Senato — 51 a 50 con il voto della vice presidente in casi di votazioni di parità. Una maggioranza fragilissima, come ci rivela il caso del senatore Ben Ray Lujan, democratico del Nuovo Messico, il quale ha recentemente subito un ictus.

Nella campagna elettorale del 2020 Biden aveva avuto poco successo nelle primarie iniziali. Poi nel dibattito in South Carolina giorni prima delle primarie in quello stato il candidato presidente promise che, se eletto, avrebbe nominato un’afroamericana alla Corte Suprema.
Adesso, con le dimissioni di Breyer, l’inquilino della Casa Bianca ha una buonissima opportunità di mantenere la sua promessa. Sembra che una probabile candidata sia J. Michelle Childs, giudice nella South Carolina, lo stato rappresentato da Graham. Va ricordato che Graham è uno degli undici membri repubblicani della commissione Giudiziaria che si incaricherà delle audizioni di conferma prima del voto del Senato. La giudice Childs riceve anche il supporto pubblico di James Clyburn, anche lui noto parlamentare afroamericano della South Carolina, il quale ricopre la carica numero 3 nella leadership democratica alla Camera. La possibile nomina di Childs non sarebbe senza qualche polemica, ma il fatto che Graham, noto senatore fra i repubblicani, ne stia cantando le lodi, ci suggerisce che avrebbe buonissime chance di una conferma rapida. Per Biden si tratterebbe non solo di mantenere una promessa politica, ma anche di una azione di giustizia, perché sarebbe la nomina della prima afroamericana nella Corte Suprema. 

Domenico maceri*
* PhD, professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California

Redazione Radici

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

CAPTCHA ImageChange Image

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.