Lingua di cultura, il futuro dell’italiano nel mondo

Lingua di cultura, il futuro dell’italiano nel mondo

“Tutto nasce da un’affermazione di Umberto Eco del 2015 all’apertura dell’Expo di Milano, quando l’illustre intellettuale interrogandosi sul futuro della nostra lingua, parlava dell’italiano medio, quello dei social, quello che avrebbero parlato le generazioni future, i frequentatori di Facebook o Instagram. Questo in Italia, ma all’estero? Quale sarà l’italiano di domani nel mondo, quello che milioni di stranieri studieranno per necessità o per diletto? Per rispondere a questa domanda – “Avvenire” ne ha già dato conto – autorevoli studiosi, manager, esperti di settore, giornalisti, comunicatori e specialisti della scienza linguistica si sono riuniti lo scorso lunedì intorno al grande tavolo delle conferenze internazionali della Farnesina in occasione della terza edizione degli “Stati Generali della Lingua e della Creatività italiane nel mondo””.

A scrivere è Alessandro Masi, Segretario Generale Società Dante Alighieri, che fa il punto della situazione sulle pagine del quotidiano della Cei.


“Nei saluti d’apertura, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha fatto appello alla forza trainante della nostra cultura quale volano fondamentale per un’azione più incisiva nelle politiche di diffusione dell’italiano nel mondo. “Non più solo lingua – ha detto Mattarella – ma anche creatività e impresa”, figlie legittime di una tradizione “italica” (concetto tanto caro a Piero Bassetti) che nel corso di più di un millennio ha fatto del nostro Paese non un’espressione geografica, come asseriva ironicamente il principe austriaco Klemens Von Metternich, ma un sistema complesso di valori connessi secondo una scala che va dall’arte alla cucina.


Cosa vuol dire dunque parlare oggi di lingua italiana nel contesto di una globalizzazione avanzante e soprattutto di una pandemia, quella da Covid-19, che da due anni ci perseguita e ha sopravanzato le cronache di tutto il mondo? Proviamo a snocciolare qualche dato fornito dagli uffici della Farnesina. Si tratta di numeri importanti che sfiorano gli oltre 2 milioni di studenti impegnati nei corsi organizzati dagli 84 Istituti Italiani di Cultura (68.850 studenti) e dalle 8 Scuole statali all’estero, le 42 paritarie, le 72 sezioni di italiano dislocate presso le scuole straniere, le 10 sezioni in quelle europee (33.000 studenti), senza contare quelli organizzati dai Comitati della Società Dante Alighieri (57.018 studenti) che con i loro 400 Comitati coprono un’area d’interesse pressoché globale. Il resto lo fa il privato.


Divisa per spicchi, la percentuale geografica è questa: il 41% della richiesta di studio proverrebbe dall’Unione Europea, a cui farebbe seguito l’America del Nord e del Sud con il 21%, poi l’Asia e l’Oceania con il 19%, il Mediterraneo con il 9%, l’Europa non Ue con il 9% e infine, fanalino di coda, l’Africa con il solo 1%.
E le cifre di questo impegno? 2.500.000 euro vanno a 264 contributi alle università straniere di 71 Paesi, 5.500.000 a mille studenti di 95 Paesi coinvolti, 523.879 euro per il sostegno alla traduzione di libri italiani, 119.254 euro di investimenti annui per materiale per scuole straniere, 130.000 euro per acquisto libri e altri spiccioli al resto, per un totale di 8.773.133.


Troppo o troppo poco?
Il solo British Council ha oltre 130 miliardi di sterline ogni anno per l’anglofonia, poco meno hanno la Germania e la Francia per loro istituti, seguiti dalla Spagna con i 70 milioni di euro elargiti al Cervantes e il Portogallo con il dignitoso Camoes a 16 milioni.
I sostegni del Pnrr permetteranno certamente di affrontare le sfide del futuro con più serenità, ma occorre analizzare, studiare, calcolare le mosse per non perdere quei risultati raggiunti negli ultimi anni con il podio conquistato ai primi posti tra le lingue più studiate nel mondo.Non una lingua “per gli affari” come l’inglese o “veicolare” come lo spagnolo o il mandarino, o figlia della storia “coloniale” come sono quelle francese e portoghese, ma una lingua “di cultura”, espressione di un patrimonio e retaggio secolare di una tradizione fatta di arte, musica, letteratura, canto, paesaggio e cucina.


Quale sarà dunque il futuro della nostra lingua?”. 

Redazione Radici

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