Promuovere la connessione tra gli italo-americani: a colloquio con Basil Russo

Promuovere la connessione tra gli italo-americani: a colloquio con Basil Russo

di Silvia Giudici

“Sono cresciuto in casa con i miei nonni immigrati italiani: hanno avuto un impatto molto importante sulla mia vita. Nessuno dei due aveva un’educazione formale, ma mi hanno insegnato più cose importanti nella vita di qualsiasi scuola o università che abbia frequentato”.

Nato a Cleveland, Ohio, avvocato italoamericano, politico del Partito Democratico e giudice, Basil Russo ha trovato il modo di onorare il patrimonio culturale che la sua famiglia gli ha trasmesso. Infatti, non solo dal 2014 opera come presidente nazionale dell’Italian Sons and Daughters of America – una delle due maggiori associazioni italoamericane degli Stati Uniti – ma ha anche assunto la presidenza della Conferenza dei presidenti delle maggiori organizzazioni italo-americane COPOMIAO”.

Ad intervistarlo è stata Silvia Giudici per “l’Italo-Americano”, magazine diretto a San Francisco da Simone Schiavinato.


“Padre di Anthony e Joe Russo, registi di diversi film di successo dei supereroi Marvel, la missione primaria di Basil, non appena è diventato presidente di COPOMIAO nell’ottobre 2020, è stata quella di trovare un modo per unificare gli italoamericani di tutto il Paese.

“Tutti i nostri gruppi storicamente operano indipendentemente l’uno dall’altro. Spesso sono stati poco collaborativi tra loro, e questo è stato dannoso per la nostra comunità perché ci ha frenato e ci ha impedito di avere una voce veramente influente a livello nazionale, qualcosa che altri gruppi etnici nel Paese sono stati invece in grado di ottenere.


D. Russo, qual è stata la sua prima azione per raggiungere una maggiore unità?


R. Nel febbraio di quest’anno, ho ospitato il primo summit nazionale italoamericano online. Non abbiamo invitato solo i 52 membri della Conferenza dei Presidenti, ma abbiamo cercato e trovato quanti più contatti possibili di altre organizzazioni, logge e gruppi italoamericani. Alla fine hanno partecipato 354 organizzazioni, abbiamo riunito tante realtà. In quell’incontro ho spiegato l’importanza di lavorare insieme e di aiutarci a vicenda a realizzare le nostre rispettive missioni.


D. Come sta andando?


R. Quando mi sono iscritto, tre anni fa, c’erano 35 organizzazioni nella Conferenza dei Presidenti, la maggior parte delle quali si trovavano sulla costa orientale, nella città di New York e nel New Jersey. Come vicepresidente, volevo riunire le associazioni di tutto il Paese. Così abbiamo portato le principali organizzazioni da Chicago alla California. Abbiamo la Società Italo-Americana di Sacramento, che è un gruppo ombrello che guida molti gruppi italoamericani in California. Abbiamo anche il Museo Italo-Americano di Los Angeles. Abbiamo portato gruppi dall’Arizona, dal New Mexico, dalla Louisiana. Ho portato 15 nuovi gruppi, e oggi abbiamo 50 membri: associazioni, organizzazioni educative italoamericane e organizzazioni di beneficenza.


D. Qual è la cosa più rilevante che ha fatto da presidente?


R. Abbiamo formato sei comitati nazionali. Abbiamo un comitato per la lingua italiana per aiutare a promuovere la lingua italiana in tutto il Paese, in modo che sia insegnata in più scuole. Abbiamo un comitato per le attività di beneficenza; uno per i musei e le istituzioni culturali italiane, in modo che tutti possano collaborare tra loro e condividere le loro mostre. Abbiamo anche quello che viene chiamato “comitato pubblico pilota”, in modo che possiamo determinare quali questioni sono importanti per gli italoamericani in tutto il Paese e possiamo lavorare insieme per aiutare a promuovere quell’agenda a nome della nostra comunità.


D. Pensando al futuro, qual è il vostro prossimo obiettivo?


R. Ce ne sono due. Primo: sto cercando di fare in modo che tutte queste organizzazioni si conoscano tra loro, perché è molto importante. Si è sempre più inclini ad avere successo se si lavora con persone che si considerano amiche. In secondo luogo, sostenere il desiderio della nostra comunità di preservare l’immagine di Colombo e proteggere le statue di Colombo, questione molto emotiva nella comunità italoamericana. Ha anche aiutato a riunire gli italoamericani perché siamo molto feriti e offesi dal modo in cui altre persone hanno attaccato la comunità attraverso l’argomento. Molti non sanno del linciaggio di New Orleans del 1891, quando una folla di 5.000 persone linciò e sparò a 11 immigrati italiani nella città di New Orleans. Fu il più grande linciaggio di massa della storia americana, ma non se ne parla in nessun libro di storia americano. E dopo quel linciaggio, ci furono 50 linciaggi documentati di immigrati italiani in tutto il Paese. E di nuovo, non c’è scritto da nessuna parte nei nostri libri di storia. Quindi non vogliamo che la nostra storia venga dimenticata, né vogliamo che venga cancellata la storia degli italiani, degli immigrati italiani e degli italoamericani che hanno dato grandi contributi a questo Paese. Vogliamo che questi contributi siano riconosciuti. Vogliamo che l’eredità e la storia dei nostri antenati siano preservate. Sono molto contento ed entusiasta della quantità di cooperazione e supporto che ho visto tra tutte le organizzazioni italoamericane per preservare la nostra cultura, il Columbus Day e le statue di Colombo come simbolo del nostro patrimonio.


D. Tornando alla sua famiglia e ai giorni della sua infanzia, qual è la cosa più importante che ritiene le abbia insegnato la sua famiglia?


R. Mi hanno insegnato che la prima cosa che devi avere è un forte e costante impegno verso la tua famiglia. Gli italiani e gli italoamericani hanno sempre avuto legami familiari eccezionalmente forti e questo è molto importante nella nostra società di oggi. Dobbiamo preservarlo e dobbiamo insegnare agli altri la sua importanza nella nostra società. In secondo luogo, mi hanno dato la devozione alla fede cattolica. L’Italia è la culla della Chiesa Cattolica Romana. Quindi la fede è molto importante per la nostra cultura ed è intrinsecamente legata ad essa. Infine, mi hanno insegnato l’importanza di avere una forte etica del lavoro e che nulla nella vita è gratis. Dobbiamo lavorare sodo per tutto ciò che realizziamo.


D. Da dove arrivavano i suoi nonni?


R. Tutti e quattro i miei nonni sono nati in tre piccoli paesi di montagna in Sicilia. Uno era di Longi, che è vicino a Sant’Agata di Militello. Un altro di Caccamo, che è vicino a Palermo. La famiglia di mia moglie è abruzzese, entrambi i suoi genitori erano di un paesino vicino a Pescara.


D. Qual è il vostro rapporto con l’Italia?


R. Amiamo l’Italia. Ci andiamo il più spesso possibile. Rafforza il legame con la nostra storia e ci aiuta a definire chi siamo. Probabilmente siamo stati in Italia 20 volte negli ultimi 30 anni. Il miglior viaggio che abbia mai fatto è stato tre anni fa. Abbiamo quattro figli e 13 nipoti. Tre anni fa abbiamo portato i quattro nipoti più grandi in Sicilia e abbiamo visitato le tre cittadine dove sono nati i miei quattro nonni, in modo che potessero vedere le loro case natali, le chiese in cui sono stati battezzati e potessero incontrare i lontani cugini che stanno ancora in quelle città. Questo ha rafforzato il loro legame con le loro radici. Quello è stato il viaggio più importante che io e mia moglie abbiamo fatto in Italia. E ognuno di quei nipoti è stato profondamente influenzato da quell’esperienza.


D. Il cibo fa parte della cultura italiana. Cos’è per lei e quali ricordi ha della sua famiglia?


R. Il cibo è il modo in cui gli immigrati italiani esprimono il loro amore verso le altre persone. Non potevi entrare in casa di mia nonna senza che lei ti facesse subito sedere al tavolo della cucina e andasse in dispensa e in frigorifero per vedere che cibo aveva, in modo da poterti nutrire. Me la ricordo così vividamente, era una cuoca meravigliosa. Faceva il suo pane, la sua pizza e la sua pasta. La generazione di mia madre e quella di mia moglie cercano di emulare, ma sembra che non riescano a fare niente di altrettanto buono, perché a quei tempi non si usava un misurino. Era una manciata di questo, un pizzico di quello. Mentre oggi tutti cercano di misurare questo, di misurare quello… Il sapore è buono, ma mai, mai buono come quello che facevano i nostri nonni”.

Redazione Radici

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