São Paulo (2) Gli italiani protagonisti dell’economia urbana paulistana

São Paulo (2) Gli italiani protagonisti dell’economia urbana paulistana

di Paola Cecchini

L’esplosione paulistana si accompagna ad una fortissima esigenza di modernità: si desiderano cancellare le caratteristiche urbane che ricordano il passato pacato e provinciale ed i ritmi della vecchia cittadina, evidenziando la somiglianza della nuova São Paulo a città quali New York, Chicago, Londra o Parigi, come la nuova élite dei baroni del caffè esige.
Nel 1886 gli immigrati rappresentano un quarto della popolazione locale e quattro anni più tardi, sono già più di due terzi (di cui 8-10.000 italiani) su una popolazione di 65.000 abitanti.
Il numero degli italiani sale a 45.457 nel 1893 (35%), arrivando a fine secolo alla metà del totale, per poi diminuire dall’inizio del Novecento al primo dopoguerra, fra il 30 ed il 40% . E’ comunque il gruppo più rappresentativo dei residenti stranieri.


Gli italiani prendono parte al processo di modernizzazione in modo totale e dinamico giocandovi un ruolo centrale: riempiono spazi vuoti e soprattutto ne creano di nuovi, spesso estranei ai loro mestieri originari ma assai più diffusi nelle loro aree di provenienza di quanto non lo siano nella São Paulo dell’epoca: ciò consente loro di vantare una familiarità maggiore con molte attività, rispetto a quella che possono attribuirsi i nativi. A seguito della travolgente espansione cittadina, molti di loro si improvvisano muratori e capomastri, arrivando a rappresentare i ¾ dei muratori attivi e la quasi totalità dei capomastri (a Rio de Janeiro questo settore è monopolizzato dai portoghesi e dai loro discendenti).


Si moltiplicano gli esercizi commerciali (trattorie, calzolai, barbieri, camiciai) ed artigianali (produzione di paste alimentari, mobili, cappelli) la cui clientela è rappresentata per buona parte dagli stessi connazionali dei quali si conoscono gusti ed abitudini.
Gli italiani finiscono per diventare protagonisti dell’economia urbana paulistana, dai settori più marginali a quelli più interessanti. Il loro mestiere per eccellenza é comunque, quello del mascate (commerciante ambulante), trasmesso molto tempo dopo ai mediorientali, chiamati sirio-libanenses.


Il mascate attraversa città o villaggi sperduti portando con sé la propria mercanzia (di norma tessuti, capi d’abbigliamento, merceria, bigiotteria) o generi commestibili. In questo caso richiama l’attenzione dei clienti con esibizioni canore ed accompagnamento musicale con mandolino e fisarmonica. Il suo obiettivo é l’apertura di un piccolo negozio.
Italiano é anche il commercio al dettaglio: nel 1882 gli esercizi gestiti dai nostri connazionali in città sono 166; nel 1894 salgono a 8.700 su un totale di 14.000.


Molto minore é la presenza italiana nel commercio di grandi dimensioni, eccezion fatta per quanto concerne i prodotti d’importazione.
Parlano italiano coloro che lavorano nei servizi (camerieri, facchini, cocchieri, sarti, arrotini, spazzini) e nell’artigianato, sia svolto individualmente che realizzato con l’aiuto di un familiare. Si lavora in edifici spesso improvvisati, in capannoni in fondo al cortile o anche in una stanza della propria abitazione.
L’artigianato italiano a São Paulo é in mano a settentrionali e toscani (questi ultimi si dedicano di norma al commercio alimentare), mentre i meridionali sono gli indiscussi protagonisti del commercio ambulante.
I lustrascarpe sono di norma bambini tra i dieci ed i quattordici anni.


Tra le libere professioni gli italiani emergono solo in settori ben delimitati, per esempio in campo architettonico, come Tommaso Gaudenzio Bezzi, progettista nel 1890 dell’imponente palazzo di ispirazione rinascimentale che ospita il Museu Paulista all’Ipiranga; Luigi Pucci, progettista della Chácara do Carvalho (1893), residenza privata del Consigliere Antônio da Silva Prado; Claudio e Domiziano Rossi, collaboratori di Ramos de Azevedo per la realizzazione del Teatro Municipale. Il primo, scenografo, completa anche il palazzo dei Campos Elíseos (1899), su progetto di Matheus Häussler, per la residenza privata della famiglia Pacheco e Chaves, che diventerà nel 1911 il Palazzo di Governo della città.


Tra le opere di Azevedo figurano la Pinacoteca do Estado (antica sede del Liceu de Artes), il Teatro Municipale, il Mercato Municipale, il Palazzo di Giustizia, il Palazzo delle Industrie, il Palazzo delle Poste, il Collegio Sion di São Paulo, il Museo Casa das Rosas, l’insieme degli edifici della Escola Politécnica (attualmente appartenenti al Departamento Histórico da Prefeitura, al Centro Educacional Paula Sousa e alla Faculdade de Tecnologia do Estado (FATEC).


Impossibile dimenticare il lucchese Giuseppe Martinelli, autore del grattacielo che porta il suo nome. La costruzione comincia nel 1924, sulla base di un progetto che prevede quattordici piani. A quell’epoca l’aspetto globale di São Paulo é prevalentemente basso, anche se cominciano a spuntare nelle aree centrali palazzi più alti, fra cui spicca il Sampaio Moreira. Proprio quest’ultimo è probabilmente il motivo principale delle modifiche apportate da Martinelli al progetto iniziale, che finisce col subire successivi aumenti di altezza fino ad arrivare alla versione definitiva di trenta piani, terminati nel 1929. E’ al tempo il più alto edificio in cemento armato del mondo, in un’epoca in cui questa tecnica di costruzione si stava ancora sviluppando.


“Svegliarsi la mattina a São Paolo era come svegliarsi in una città italiana- osserva Zuleika Alvim, autrice di ‘Brava Gente! Os italianos em São Paulo 1870-1920’ – non soltanto nei quartieri italiani, in alcuni dei quali la lingua dominante era proprio l’italiano, ma anche in quelli della classe media come la Consolação, Santa Efigenia ed altri.
Per andare al lavoro –continua – c’erano molte probabilità di prendere un tram guidato da un autista italiano o discendente di italiani; giunti in centro non di rado ci si imbatteva in qualche meridionale che in piazza Antonio Prado si faceva in quattro per distribuire i giornali appena usciti dalle rotative annunciando le notizie con una cantilena che mescolava il portoghese all’italiano. Entrando poi in un ristorante o in un bar per prendere un caffè, quasi sempre si aveva a che fare con un cameriere dall’accento italiano, ugualmente se ci si rivolgeva ad un lustrascarpe…
Erano italiani o loro discendenti diretti coloro che ogni mattina partivano dai quartieri poveri come Brás, Belém o Bexiga per andare di casa in casa a vendere frutta, verdura, pesci, fiori o per riparare ombrelli e pentole.


Se ancora per caso, si fosse voluto far riparare un orologio o un paio di scarpe, farsi confezionare un abito, tentare la sorte in una lotteria, farsi una fotografia, andare dal barbiere o comprare dei sigari, si sarebbe dovuto capire un idioma che potremmo chiamare “portuliano”, una mescolanza di portoghese e italiano in cui ”l’andove” sostituiva “laddove”, il “tegno” era messo al posto di “ho” e il “mio Deuse”, simile al portoghese “meus Deus”, era impiegato al posto di “mio Dio”.

Alte percentuali di italiani si riscontrano nel proletariato di fabbrica, così come nella manodopera addetta alla costruzione di strade ferrate. A São Paulo gli italiani superano sempre il 60% del totale della classe operaia tra il 1900 e il 1915 ed in alcuni settori (tra i tipografi) ne rappresentano quasi la totalità.
Per quanto concerne il settore industriale, gran parte dei connazionali lavora in quello tessile e dell’abbigliamento dove è impiegata un’alta percentuale di manodopera femminile (34% secondo il censimento del 1920) e minorile (17% nel 1919).


Prevalenza del cottimo e paghe bassissime (talvolta coincidenti in tutto o in parte in buoni da spendere nello spaccio aziendale) caratterizzano la vita degli operai. L’orario di lavoro è pesante; le aggressioni fisiche anche e non mancano i turni notturni per donne e bambini. Le tensioni si risolvono nel licenziamento degli operai, immediatamente sostituiti da altri.


A São Paulo la presenza degli italiani è determinante nella nascita e durante le prime fasi del movimento operaio. Nel 1906 l’organo della Federazione Sindacale della città si intitola ‘La lotta proletaria’: è scritto quasi totalmente in italiano, così come è italiana la lingua parlata durante le riunioni e nel corso della propaganda, nonostante venga adottata nel 1907 la Lei Gordo, volta all’espulsione degli stranieri sovversivi, per frenare la diffusione di forme di lotta che la classe dirigente ritiene del tutto estranee alla realtà brasiliana.
Molto importante per la sensibilizzazione politica è il ruolo della stampa nazionale: il numero delle testate proletarie che vedono la luce tra il 1885 ed il 1920 nello stato di São Paulo è incredibile: sono circa una settantina, anche se molte di esse hanno una periodicità estremamente limitata. Non mancano le eccezioni, sia in termine di durata che di qualità, come La Scure (a carattere sindacale), La Battaglia, diventato in seguito La Barricata (di stampo anarchico) e L’Avanti (socialista).
Gli italiani svolgono un ruolo importante nella costruzione del movimento di lotta, anche se non molto rilevante è (almeno in un primo tempo) il loro ruolo nel cosiddetto proletariato di fabbrica.


Tesi ad accumulare i risparmi necessari ad un eventuale ritorno in patria, i nostri connazionali considerano il Brasile come una tappa della propria esistenza. E’ chiaro che quest’ottica privilegia il sacrificio a svantaggio della lotta, a cui giungeranno solo nel triennio 1917-1919, grazie al clima di mobilitazione del periodo (presente in altre città brasiliane ed in altre nazioni dell’America Latina) ed al fatto che il numero degli anni trascorsi in Brasile é così alto che quasi tutti ormai lo considerano come proprio paese d’adozione.


Nel 1904 circa un terzo della popolazione di São Paulo vive nei cortiços (spesso di proprietà di italiani), parola che in portoghese ha il significato di alveare. E difatti di alveari si tratta: casermoni con un numero incredibile di appartamenti minuscoli, all’interno dei quali si ammucchiano famiglie di sei, sette, ed anche otto persone.


Si vive in promiscuità ed in mancanza totale di igiene. Questa situazione é dovuta al fatto che la città é cresciuta in modo veloce e disordinato, non consentendo una crescita consequenziale di servizi urbani.


Molti connazionali, comunque, provvedono da soli, nel tempo libero, a costruire le proprie abitazioni, magari con l’aiuto di compaesani che lavorano nell’edilizia (la stessa cosa fanno gli italiani in Argentina, tanto che Perón disse in un discorso rimasto famoso: ‘Ogni casa che vedete sorgere, é un emigrante italiano che risparmiando si fa la casa’.


Contrariamente agli spagnoli, gli italiani si concentrano in determinati compartimenti territoriali, dando origine ad alcune little Italy: Bom Retiro (dove c’è tuttora una rua dos Italianos) è un quartiere veneto e trentino; Brás (popolato in un primo tempo da settentrionali e poi da pugliesi e campani); Bexiga (in seguito Bela Vista), monopolio di calabresi, e Barra Funda, sede di meridionali in genere, senza alcuna preclusione nei confronti della popolazione locale o di altre nazionalità, così come Belenzinho.


La vita quotidiana nei quartieri italiani è illustrata sul piano letterario da Antônio de Alcântara Machado e sul piano fotografico (ma limitatamente al Brás), da Susana Barreto Ribeiro. Il Brás, in effetti, rappresenta la Brooklyn paulista e proprio come succederà a New York, gli italiani la cederanno col tempo ai nuovi immigrati, in questo caso i nordestinos che a partire dagli anni Trenta si riverseranno nella capitale durante la presidenza di Getúlio Vargas.


Nonostante sacrifici e soprusi, gli italiani non subiscono discriminazioni né episodi di razzismo nella nuova realtà e valutano positivamente la loro esperienza migratoria. L’integrazione risulta più facile nei centri urbani dove le occasioni di contatto con brasiliani ed altri stranieri sono facili e continue. Qui gli italiani assumono molti atteggiamenti locali ed i brasiliani dal canto loro si italianizzano nei gusti alimentari, nel modo di vestire e nei codici linguistici.


Il processo descritto non impedisce la diffusione di associazioni, giornali e scuole etniche. Il maggior numero di iscritti si riversa nei sodalizi sportivi, come il Club Esperia e il Palestra Italia che, nato nel 1904, vince il primo campionato nazionale nel 1920.
Almeno fino alla vigilia del primo conflitto mondiale, l’obiettivo principale delle varie associazioni (che spaziano dall’organizzazione del tempo libero, l’educazione culturale, le finalità patriottiche e l’agonismo sportivo) è volto alla beneficenza ed al mutuo soccorso (70% dei casi), probabilmente a causa delle gravi carenze riscontrabili in Brasile in merito alla previdenza ed alla legislazione sociale.
Numerose sono le scuole elementari sorte per mantenere i vincoli con la madrepatria ed affinché i bambini non perdano dimestichezza con la lingua italiana: nel 1913 in città se ne contano 121, mentre sono 187 nell’intero Stato. Sono promosse da associazioni, religiosi ed insegnanti privati, e godono di modesti finanziamenti da parte del governo italiano.
Diversa la situazione per la Dante Alighieri, l’unico istituto di istruzione media superiore che, sorto nel 1912, chiuderà nel 1942 a seguito della rottura delle relazioni diplomatiche tra il Brasile e le potenze dell’Asse.


Numerosissimi sono i giornali italiani sorti nello stato di São Paulo tra il 1875 e il 1960: circa trecentosessanta testate (comprese le settanta inerenti il mondo operaio) di cui trecento nella sola capitale. Si rivolgono ad un pubblico estremamente vario e sono di norma povere dal punto di vista contenutistico: riportano notizie dalla madrepatria, fatti inerenti la comunità italiana residente nel luogo di pubblicazione, ma appaiono poco interessate ai problemi ed all’economia del Brasile, limitandosi alla cronaca mondana cittadina.


Molte testate hanno vita breve, anche inferiore all’anno, ma non mancano eccezioni, sia sotto il profilo qualitativo (ricchezza di rubriche, interesse per il paese ospitante) che in termini di longevità. L’esempio più eclatante è rappresentato dal Fanfulla, settimanale nato nel 1893, che diviene bisettimanale tre mesi dopo, quindi trisettimanale, fino a diventare quotidiano dal 1° gennaio 1894, per cessare la pubblicazioni nel 1965.


Anche se nell’immaginario collettivo italiano suscitano grande interesse i costruttori di fortune, esaltati con clamore dalla stampa dell’epoca, il fenomeno più comune ed importante per gli italiani è rappresentato dalla scalata a posizioni medie: si tratta di commercianti, artigiani, piccoli industriali che col tempo riescono a vivere agiatamente, senza preoccupazioni materiali.


Va ricordato che pochi imprenditori italiani passano attraverso la fase artigianale. La maggior parte di essi, anche quando sprovvista di capitali, proviene dal ceto medio o come Matarazzo, dalla piccola nobiltà decaduta; ha un certo grado di istruzione, possiede un mestiere o è stata inviata da ditte italiane in veste di rappresentante. In genere conosce l’economia di mercato, tanto che alcuni di essi, prima di dar vita ad imprese industriali, intraprendono attività commerciali, specie nel settore delle importazioni, per meglio comprendere i gusti della clientela ed il mondo economico locale.


Banchieri, grandi commercianti ed industriali rappresentano paradossalmente la classe che più difficilmente si amalgama con la società locale, come invece avviene per quella popolare.
Salvo l’eccezione rappresentata da Siciliano e nonostante la comunanza di interessi economici con l’oligarchia paulista, quest’ultima accoglie con difficoltà nel proprio seno i nuovi ricchi italiani, la cui fortuna non deriva dalla proprietà fondiaria (come nel loro caso). Anche Francisco Matarazzo- che pur nel 1928 diventa Presidente del Centro Industrial di São Paulo- è tenuto un po’a distanza dall’élite paulistana, tanto che dei suoi numerosi figli, soltanto tre riusciranno a sposare esponenti dell’oligarchia locale.

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