L’emigrazione italiana in Brasile (2)Colonie e nuclei coloniali

L’emigrazione italiana in Brasile (2)Colonie e nuclei coloniali


di Paola Cecchini

Nel 1890 la legge Glycério regolamenta l’immigrazione straniera in maniera più elastica di quanto abbia fatto nel 1884 la Provincia di São Paulo, assicurando il trasporto gratuito non solo a famiglie di agricoltori, ma anche a contadini celibi o vedovi fra i 18 ed i 50 anni, oltre che ad operai ed artigiani della stessa fascia d’età, sia pure in misura limitata. Entrambe le ultime categorie, però, non possono rappresentare più del 50% delle famiglie agricole e la seconda non può superare il 33% della prima.


La legge stabilisce altresì vari premi in denaro per i privati che fondano colonie agricole. In teoria il governo centrale favorisce la colonizzazione, ma in pratica ciò è possibile solo negli Stati in cui non viene coltivato il caffè.
L’obiettivo iniziale dei nuclei coloniali è quello di popolare le zone deserte, ma non rimarrà il solo: posti nelle vicinanze delle zone coltivate a caffè, le fazendas si rivolgono ad essi nel periodo della raccolta, reclutandovi i lavoratori stagionali. Con la crescita delle città, poi, sorge la necessità di rifornirsi di prodotti che le fazendas non possono produrre. I nuclei diventano allora centri di sviluppo di un’agricoltura diversificata e rivolta al mercato.
Con la legge del 19 gennaio 1867 (la prima normativa organica inerente la colonizzazione), il governo si assume i seguenti oneri:
-pagamento, a favore delle famiglie coloniche  del viaggio dal porto di Rio de Janeiro al nucleo coloniale;


-assegnazione a ciascuna famiglia di un lotto di terreno, scelto direttamente dal capofamiglia o assegnatogli dalla Dirección de Imigração e Colonização. Ogni lotto, pari a 60 ettari (poi diminuiti a 48 e 25) è pagabile in 5 rate annuali comprensive degli interessi maturati a partire dal secondo anno di insediamento, cioè dopo il primo raccolto;
-assegnazione alla famiglia di una casa provvisoria ed un sussidio per costruire l’abitazione definitiva; di un tratto di terreno disboscato; di piante, attrezzi agricoli, sementi, e mantenimento gratuito dei componenti per i primi dieci giorni. I sussidi devono essere rimborsati a partire dal pagamento della prima rata di acquisto del lotto;
-concessione di una somma pari a 56 lire e 80 centesimi ad ogni familiare, compreso tra i 10 ed i 50 anni (tale importo, previsto nel 1876, sarà diminuito a partire dal 1880 fino a scomparire);
-impiego di ogni immigrato come salariato (durante i primi 6 mesi) nei lavori di pubblica utilità (costruzione di strade), al fine di garantirgli un minimo di sussistenza fino al raccolto.


Di converso, la famiglia si impegna entro 6 mesi – come riportato nel titolo provvisorio di proprietà – a disboscare e piantare un’area almeno pari a 1000 braccia quadrate ed a costruire un’abitazione permanente della grandezza non minore di 400 palmi quadrati. Deve inoltre aprire sentieri per delineare il perimetro del proprio lotto e provvedere al loro disboscamento periodico. In caso di inadempienza, perde le quote già pagate ed i miglioramenti apportati.
Accanto alle colonie governative e provinciali, esistono quelle private, anch’esse meglio regolamentate dopo il 1870. La normativa é simile a quella sopra-esposta: se ne differisce per la dilazione dei pagamenti (che prevede come minimo un periodo di 10 anni a partire dal primo giorno del secondo anno) e per l’impiego degli immigrati nei lavori pubblici, sostituito con l’anticipazione dei mezzi necessari alla sussistenza per un periodo di nove mesi, poi  sommato al valore del terreno.


Il decreto del 1890 prevede premi in denaro per ogni famiglia collocata, per la messa in opera di ogni chilometro di ferrovia volto a collegare la colonia con la più vicina stazione ferroviaria o mercato di consumo, e per la costruzione di strade interne.  Con il successivo decreto del 2 agosto 1892, il Governo Federale autorizza un contratto attraverso cui la Società di Rio de Janeiro ‘Metropolitana’ s’impegna ad introdurre nel Paese un milione di immigrati nel giro di dieci anni, a  partire dal 1° gennaio 1893.
Le terre meridionali del Brasile presentano alcuni vantaggi per coloro che vi si stabiliscono: un clima temperato (poco difforme da quello dei luoghi di provenienza, che permette la coltivazione di prodotti già noti), nonché la possibilità di diventare proprietari di un appezzamento di terra in tempi abbastanza rapidi.


Nel Rio Grande do Sul, gli italiani coltivano grano, mate (in portoghese chimarrão),  fagioli, granturco, orzo e riso, e si dedicano all’allevamento del bestiame, in special modo a quello dei suini. Sono i primi a coltivare la vite perfezionando nel tempo la qualità del vino prodotto. Agli albori del XX secolo nascono le prime cooperative vinicole, la produzione migliora ed aumenta, assumendo un posto di rilievo nell’economia dello Stato.
Nel Paraná ed a Santa Catarina i prodotti più coltivati sono granturco, manioca, fagioli, orzo, riso e, nelle zone più calde, canna da zucchero, caffè e tabacco. Nel 1855 gli italiani introducono in quest’ultimo stato la coltivazione del baco da seta.


Come si può notare, viene sviluppata un’agricoltura di tipo misto, che vede i prodotti tipicamente coltivati in Europa, assieme a quelli tipici dell’agricoltura e dell’alimentazione brasiliana, come la manioca. La coltivazione del granturco, pianta tradizionalmente coltivata in Brasile, consente agli italiani di conservare l’abitudine di mangiare polenta.


Basta leggere il nome di molte città brasiliane per comprendere la provenienza delle regioni d’origine degli immigrati che le fondano: Nova Trento, Nova Venezia, Nova Milano, Nova Padova, Nova Vicenza ecc…E’ il Veneto, seguito dal Trentino, dal Mantovano e dall’Emilia  Romagna a svolgere, almeno all’inizio, il ruolo più rilevante.


Si tratta di una popolazione prettamente rurale che il Governo Federale incoraggia a stabilirsi negli stati meridionali con l’intento di controbilanciare l’influenza delle colonie tedesche, già saldamente istallate nel territorio.
I primi tedeschi sono arrivati già dal 1848 e nel 1904 ammontano a 320.000. Hanno fondato una trentina di giornali dedicati ai problemi dell’agricoltura, oltre a chiese, scuole e circoli.
Tra le tante colonie insediate dagli italiani, invece, merita di essere ricordata per la sua particolarità la colonia anarchica ‘Cecilia’, costituita nel 1890 dall’agronomo pisano Giovanni Rossi, partito dall’Italia con otto amici, ai quali si unisce a Gibilterra una famiglia di contadini spagnoli. Il gruppo si stabilisce a circa 18 chilometri da Palmeira, nello stato di Paraná, per creare una colonia su basi di comunismo assoluto. Un anno dopo la colonia conta già 200 membri, ma ben presto sopraggiungono difficoltà e carestia, e molti coloni si stabiliscono a Curitiba, la capitale. Nonostante l’arrivo di nuovi gruppi, ‘Cecilia cessa di esistere nel 1894. La causa va ricercata nelle difficoltà insite in ogni immigrazione, in questo caso certo non semplificate dal rigore dei principi libertari dei propri componenti.


Con il trasferimento dei servizi di immigrazione dal Governo centrale a quello dei singoli Stati (1894), cessa in pratica la politica di colonizzazione, dato che solo le province più ricche (come quella di São Paulo) da quel momento saranno in grado di sostenere le spese legate alla immigrazione di manodopera straniera.


Foto:E 32   Erechim (Rio Grande do Sul), 1932. Cooperativa vinicola    BoavistenseE 57   Urussanga (Santa Catarina). Carri agricoli (1880)E 238 Caxias do Sul (Rio Grande do Sul), 1911. Vendemmia

Paola Cecchini

Redazione Radici

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