I giganti del mare: I Trabucchi sul promontorio del Gargano

I giganti del mare: I Trabucchi sul promontorio del Gargano

Un nuovo capitolo sulle straordinarie bellezze della Puglia dedicato ai Trabucchi antichi strumenti di pesca che si trovano in particolare sul Gargano. Una storia  ricca di fascino e di grande interesse. 

di Giacomo Marcario

Il trabucco, detto anche trabocco, bilancia o travocco, è un’antica macchina da pesca tipica delle coste abruzzesigarganiche e molisane, tutelata come patrimonio monumentale nella costa dei Trabocchi  (in Abruzzo) e nel parco nazionale del Gargano (in Puglia); la sua diffusione però si estende lungo il basso Adriatico, a partire da Pescara fino ad alcune località della provincia di Barletta-Andria-Trani, a nord di Bari.

Sono presenti anche in alcuni punti della costa del basso Tirreno Il trabucco (o trabocco) è un’imponente costruzione realizzata in legno strutturale che consta di una piattaforma protesa sul mare ancorata alla roccia da grossi tronchi di pino d’Aleppo, dalla quale si allungano, sospesi a qualche metro dall’acqua, due (o più) lunghi bracci, detti antenne, che sostengono un’enorme rete a maglie strette detta trabocchetto.

La diversa morfologia della costa garganica e abruzzese ha determinato la compresenza di due diverse tipologie di trabocco: quella garganica prevede l’ancoraggio ad uno sperone di roccia di una piattaforma estesa longitudinalmente alla linea di costa, dalla quale si dipartono le antenne.

La tipologia originale abruzzese, tecnicamente detta bilancia, insiste su litorali meno profondi e si caratterizza per la presenza di una piattaforma in posizione trasversale rispetto alla costa, alla quale è collegata da un ponticello costituito da pedane di legno.

Le bilance hanno un solo argano azionato manualmente o elettricamente, anche quando il mare è perfettamente tranquillo; la rete è molto più piccola di quella dei trabucchi garganici; altra caratteristica che differenzia le due tipologie è la lunghezza e il numero delle antenne, più estese sul Gargano (anche il doppio di quelle di Abruzzo e Molise); a Termoli le bilance hanno al massimo due antenne, sul Gargano e nel Nord Barese, a Barletta, Trani e Molfetta, sempre due o più.

Secondo alcuni storici pugliesi, il trabucco sarebbe un’invenzione importata dai Fenici. La più antica data di esistenza documentata risale al XVIII° secolo, periodo in cui i pescatori dell’Abruzzo dovettero ingegnarsi per ideare una tecnica di pesca che non fosse soggetta alle condizioni meteomarine della zona.

I trabucchi, infatti, permettono di pescare senza doversi inoltrare per mare: sfruttando la morfologia rocciosa di alcune zone pescose della costa, venivano costruiti nel punto più prominente di punte e promontori, gettando le reti verso il largo attraverso un sistema di monumentali bracci lignei.

Secondo una antica tradizione di tutto l’Adriatico, venivano realizzati degli impalcati per la navigazione da cabotaggio per il trasporto dei prodotti della terra come cereali, olio, vino, sale, mortella, legname da costruzione, verso i mercati della Dalmazia, del Regno di Napoli, dello Stato della Chiesa, dell’Austria e della Repubblica di Venezia.

In pratica, non esistendo strade di collegamento a lunga percorrenza sul territorio, a causa della sua orografia accidentata, era onere delle locali autorità feudali o della borghesia terriera costruire e mantenere queste strutture per facilitare lo smercio dei prodotti delle loro terre, come risulta dal rendiconto degli erari dell’Abbazia di S. Giovanni in Venere, e su cui è conforme la storiografia ufficiale.

Alessandra Bulgarelli Lukacs, studiosa dell’Università Federico II° di Napoli, sostiene che la costa garganica, in particolare, era punteggiata di queste strutture dette caricatoi-scaricatoi in grado di ospitare piccoli navigli di uso cabotiero. È questo dunque lo scenario da cui emerge e prende corpo il trabocco, che noi conosciamo.

I trabocchi, dunque, sarebbero nati da strutture create, secondo la tradizione e la pratica del tempo, per dare sbocco ad attività economiche del territorio, a cui i coloni protagonisti di quella stagione agro-silvana seppero dare una diversa e utile destinazione, impedendone la distruzione al mare e tramandando così ai posteri un patrimonio culturale e morale di inestimabile bellezza, insieme a una tradizione che ancora oggi continua ad arricchirsi di senso, essendo diventata identitaria di tutta la costa e soprattutto della comunità territoriale.

Il trabocco è tradizionalmente costruito col legno di pino d’Aleppo, il pino comune in tutto il medio Adriatico; questo perché è un materiale pressoché inesauribile, data la diffusione nella zona, modellabile, resistente alla salsedine ed elastico (il trabocco deve resistere alle forti raffiche di Maestrale che battono il basso Adriatico).

Alcuni trabocchi sono stati ricostruiti negli ultimi anni, grazie anche a finanziamenti pubblici (fondi europei),ma hanno però perso da tempo la loro funzione economica che nei secoli scorsi ne faceva principale fonte di sostentamento di intere famiglie di pescatori, acquistando in compenso il ruolo di simboli culturali e di attrattiva turistica. Alcuni trabocchi sono stati persino convertiti in ristoranti.

Il termine “trabocco” deriva per sineddoche da quello della rete suddetta, ossia da trabocchetto termine usato anche nell’uccellagione, ed è sinonimo di ‘trappola’, è dovuto al tipo di pesca praticato e funziona come una sorta di tranello in base al quale  il pesce cade in una trappola.

La tecnica di pesca, peraltro efficacissima, è a vista. Consiste nell’intercettare, con le grandi reti a trama fitta, i flussi di pesci che si spostano lungo gli anfratti della costa. I trabocchi sono posizionati là dove il mare presenta una profondità adeguata (almeno 6m), ed eretti a ridosso di punte rocciose orientate in genere verso SE o NO, in modo da poter sfruttare favorevolmente le correnti. La rete (che tecnicamente è una rete a bilancia) viene calata in acqua grazie ad un complesso sistema di argani e, allo stesso modo, prontamente tirata su per recuperare il pescato.

Ad almeno due uomini è affidato il durissimo compito di azionare gli argani preposti alla manovra della gigantesca rete, nei piccoli trabocchi della costa molisana e abruzzese l’argano è azionato spesso elettricamente. Sul trabocco operano in norma quattro uomini (che si spartiscono i compiti di avvistamento del pesce e di manovra), detti “traboccanti”.

I trabocchi sono un elemento caratterizzante del paesaggio costiero del basso Adriatico. La loro presenza è comunque attestata anche lungo il basso Tirreno sino alla costa garganica, soprattutto nella zona tra Peschici e Vieste, dove vengono chiamati “trabucchi”; di recente alcuni di essi  sono ritornati in attività grazie all’azione di salvaguardia e di valorizzazione del Parco Nazionale del Gargano, che li ha adottati in segno di rispetto della tradizione e dell’ambiente garganico. In realtà erano molto numerosi anche sulle coste pugliesi più a sud del Gargano, dove recenti ricerche storiche hanno evidenziato la presenza di diversi residui strutturali di antichi trabocchi ancora ben visibili, per esempio a Barletta, ne sopravvive ancora uno, degli originali cinque censiti, sia pure in pessime condizioni di conservazione, e tutti ubicati sui bracci del porto.

A Trani si da per certo (documentalmente) la presenza di quattro (probabilmente cinque) trabucchi tutti scomparsi; a Molfetta è stata verificata la presenza di almeno un trabocco, a Cala San Giacomo, poi scomparso. Ci sono tante e diverse ipotesi sull’origine dei trabocchi, sicuramente fra i più antichi manoscritti che parlano dei trabocchi troviamo quello di Padre Stefano Tiraboschi dell’Ordine Celestiniano che nel “Vita Sanctissimi Petri Celestini”, nel descrivere la permanenza di Pietro da Morrone presso il Monastero di San Giovanni in Venere (1240-1243), racconta delle numerose visite di quest’ultimo sul belvedere per ammirare il mare sottostante “punteggiato di trabocchi”.

Altri studiosi attribuiscono la paternità dei trabocchi ad alcune famiglie francesi che si trasferirono in Abruzzo in seguito al devastante terremoto della Capitanata di San Severo (Foggia) nel 1627; le forti scosse generarono un forte maremoto che devastò le coste abruzzesi e quelle del Gargano causando migliaia di morti.

Altre ipotesi propongono la paternità di tali ingegnose macchine all’astuzia di taluni agricoltori che, per necessità, furono costretti a dedicarsi alla pesca eliminando le incognite legate all’uso della barca. Altri ancora sostengono che la loro costruzione sia dovuta all’insediamento di famiglie Ebree intorno alla fine del XVIII° secolo. Una supposizione particolarmente fondata fissa l’origine dei trabocchi nel 1700 circa, quando, in seguito ad una grande opera di disboscamento delle coste teatine per far posto alle coltivazioni, fu impiegata della manovalanza dalmata, trasferitasi sul posto insieme alle proprie famiglie.

Anche per il nome ci sono varie opinioni: alcuni sostengono che derivi dal “trabocchetto” che si tende ai pesci che, ignari della presenza della rete sul fondo, vengono catturati tirandola verso l’alto.

Altri dichiarano che derivi dal sistema di comando che aziona le funi. Secondo alcuni il termine deriverebbe dalla somiglianza con il torchio utilizzato nei frantoi per la spremitura delle olive. Il grande poeta pescarese Gabriele D’Annunzio restò molto affascinato dai trabocchi, al punto da voler affittare nel 1889 una villa nei pressi del trabocco Turchino di San Vito Marina.

Nel suo celeberrimo romanzo “Il Trionfo della morte” del 1894 ritroviamo un’attenta e memorabile descrizione di tali macchine meravigliose. Il termine “Trabucco” è perfettamente dialettale, ma ha seguito una certa italianizzazione; si pensa derivi dal latino “ Trabs – Trabis” che significa legno, trave o albero.

L’affinità al termine latino è accettabile poiché il Trabucco è un sistema quasi interamente costruito in legno, quindi di alberi e travi. Uno dei Trabucchi più affascinanti, per la sua posizione, si trova sugli scogli di Punta San Francesco nel territorio di Vieste e lo si incontra  scendendo le scale alla destra della chiesa.

I trabucchi sono stati costruiti nei più importanti promontori che sporgono verso il mare attraverso un sistema di armi monumentali in legno: un trabucco permette di pescare senza dover essere sottomesso alle condizioni del mare utilizzando la morfologia della costa rocciosa del Gargano.

Oggi hanno perso la funzione economica avuta nei secoli passati quando erano la principale fonte economica di intere famiglie di pescatori, i trabucchi sono diventati il ruolo di simboli culturali e architettonici e di attrazione turistica ed alcuni famosi ristoranti sul mare.

Sul tratto di cosa che da  Peschici porta  a Vieste si incontra il maggior numero di trabucchi che antropizzano l’intero promontorio del Gargano; alcuni ancora perfettamente funzionanti, dall’aspetto  maestoso e nel contempo quasi misterioso  sembrano autentiche macchine da guerra per domare il mare quando fa le bizze  oltre il consentito  ed aiuta i pescatori a portare a casa il pescato che è non solo il  frutto di un  lavoro particolarmente gravoso  ma  motivo di sostentamento della propria famiglia, anche per diversi giorni, e la dove il pescato è stato abbondante il superfluo può essere venduto e quindi fonte di reddito.

Volendo programmare un itinerario per visitare questi straordinari monumenti sul mare giova partire dal Trabucco di Monte Pucci, che si trova dall’omonimo rilievo collinare (296m), posto a est- ovest del promontorio su cui insiste il centro abitato di Peschici. In realtà si tratta dell’ultima parte di una lunga dorsale montuosa che nasce in prossimità della Foresta Umbra (loc. il Parchetto, 560 m) e allunga verso il mare dando origine ad un continuum vegetale che termina con splendide falesie la cui parte estrema è costituita da un promontorio stretto e allungato nel mare.

Attraverso il sottosuolo di questa lunga dorsale giungono al mare le acque che sfuggono alla presa delle radici dei faggi, dei cerri e dei carpini per riemergere direttamente in mare.

Qui la loro presenza diventa elemento di richiamo durante il passaggio stagionale degli avannotti.

Abbarbicati alla roccia, come i pini d’Aleppo nel legno dei quali sono forgiati stanno in questo stretto promontorio tre trabucchi, uno rivolto verso est e gli altri due verso ovest. Le loro lunghe pertiche si allungano verso il mare pronte a sostenere la pescata. Non a caso il trabucco era chiamato “la punta d’oro”.

Il loro aspetto è di grande fascino sia per il contesto di inserimento, sia per la tecnica costruttiva che li fa apparire come santuari pagani dedicati alla forza di questo mare. Il principale dei tre trabucchi è in attività.

La presenza di questo trabucco è documentata dalla seconda metà del Novecento. Lo stato di conservazione è buono per la costante manutenzione effettuata. E’ il trabucco più grande della zona. godendo di una licenza governativa di 530 mq complessivi, di cui 55 sulla costa e per l’impalcatura e 475 per lo specchio d’acqua circostante a mò di lunga palafitta.  

Il trabucco di Montepucci è il primo che sia stato costruito in questa zona.

Seriamente danneggiato qualche anno fa da una violenta burrasca è stato rimesso in piedi dal titolare. Matteo Fasanella, esperto di trabucchi tanto da essere l’autore del primo libro scritto sul tema.

Egli racconta che un tempo la pesca, riguardava solo l’ottimo pesce azzurro. I trabucchi hanno invece garantito la pesca di pesci di maggiore qualità e appetibilità.IL trabucco di Monte Pucci è anche il luogo in cui sembra essersi verificato uno dei miracoli di Sant’Elia. Secondo la storia raccontata da Matteo Fasanella, verso la fine dell’estate, durante una giornata di magra pesca giunse al trabucco un frate che chiese ai pescatori l’andamento della giornata. Loro gli risposero desolati che si trattava di una giornata di magra. Ma il frate li rincuorò dicendogli che sarebbe stata una giornata di grande pesca.

I pescatori non gli vollero dare ascolto e stavano abbandonando il trabucco, quando uno dei pescatori trovò l’immaginetta di Sant’Elia e si accorse della incredibile somiglianza. Fu proprio in quel momento che un altro pescatore si accorse che le reti si erano riempite di pesce. Così uniti dallo stesso spirito cominciarono a girare gli argani. La rete venne su colma di pesci. Si voltarono allora a guardare se ci fosse ancora il monaco.

Ma il frate, con un gesto del braccio, salutò tutti e sparì nel nulla.

Ad est del promontorio che ospita l’abitato di Peschici si trova il piccolo promontorio roccioso di Punta S. Nicola. Sul lato rivolto l’abitato si trova il trabucco omonimo, con i suoi pali rivolti verso il mare, uno dei pochi ancora in attività. Dall’altra parte del promontorio è possibile infatti scorgere i resti di un altro trabucco chiamato, per distinguerlo dal precedente “trabucco di Punta S. Nicola”.

Punta S. Nicola è anche un ottimo punto panoramico che consente di osservare il versante orientale dell’abitato di Peschici, le sottostanti baie e la vicina Punta di Manaccora, famosa per i suoi ritrovamenti archeologici.

Le falesie attorno sono tutte punteggiate di grotte marine o che si affacciano sulle spiagge. Il trabucco di S. Nicola è edificato su una bassa scogliera, senza casotto annesso.

Poco distante si trova l’edificio in legno di un ristorante. Questo elemento di connubio garantisce anche la sua persistenza nel tempo e una manutenzione delle strutture.

Il promontorio di Manaccora o Zaiana  è certamente più noto per le sue testimonianze archeologiche, ma in ogni caso esso ospita anche uno dei trabucchi peschiciani ancora in attività. Punta di Manaccora è uno stretto promontorio marino, che divide con la sua presenza la spiaggia di Manaccora, originata dall’apporto del canale della Crapanese da quella di S. Nicola a sua volta originata dall’apporto della valle omonima. Sul lato ovest della Baia di Manaccora è presente la famosa cavità naturale all’interno della quale è stata accertata la presenza di un nucleo umano databile all’età del bronzo (XII°-XI° sec. a.C).

Sul promontorio è anche possibile osservare i resti di un villaggio capannicolo e la necropoli. Alla valenza archeologica si associa l’aspetto paesaggistico e naturalistico per la presenza di vegetazione mediterranea. Il trabucco è situato sul lato che guarda verso l’abitato di Peschici.

D’estate il trabucco funziona come ristorante per i turisti desiderosi di mangiare il pesce appena pescato in questo incantevole scenario marino. Il promontorio di Calalunga si trova ad oriente dell’abitato di Peschici a circa 4 km. in linea d’aria. Sul versante orientale del promontorio è presente il trabucco omonimo.

Il trabucco pesca quindi nella baia posta tra Calalunga e Punta Usmai. Poco distante dal trabucco di Calalunga, verso il centro del promontorio si erge la torre costiera difensiva del XVI sec.

Il promontorio è incorniciato nel verde della pineta di Manaccora che ammanta i rilievi attraversati da profondi sistemi di valli carsiche. La pineta e la macchia tipicamente  mediterranea scendono nel promontorio sin quasi al mare, interrotti solo dalla presenza di rare residenze e dagli scogli battuti dai marosi.

Alla torre e al trabucco si accede attraverso una stradina che parte al centro di un tornante della strada costiera. Il trabucco è di piccole dimensioni, ma il contesto di inserimento è di grande fascino. Il Trabucco Punta Usmai si trova su una delle piccole penisole affacciate nel mare Adriatico.

L’area è posta ad oriente di Peschici da cui dista circa 7 km. La penisola ha una forma vagamente triangolare il cui vertice proteso verso il mare termina con un articolato ricamo di scogli e microinsenature. Sulla punta estrema di questo paesaggio di roccia si trova il trabucco e a breve distanza una torre di avvistamento costiero del XVI° secolo.

La roccia presenta una limitata falesia alta circa 2 metri dalla quale si protendono le lunghe antenne dei pali del trabucco, tese a sostenere la rete da pesca. Il trabucco ancora in attività ha dimensioni limitate e manca di un tipico gabbiotto per il ricovero delle attrezzature.

Poco distante dal trabucco si trova la grotta marina detta del Riccio. Sempre nel territorio di Peschici, ad 8 km dall’abitato, si trova il trabucco Forcichella.

Il trabucco è edificato su un promontorio a forma semicircolare, interessato da numerosi insediamenti turistici frammisti alla vegetazione spontanea. La baia in cui il trabucco pesca è delimitata verso nord-ovest dalla Punta Usmai, ben riconoscibile per la presenza della Torre omonima e su cui opera un analogo trabucco.
Ad oriente, in direzione Vieste si sviluppano le frastagliate coste che preludono la baia e la palude di Sfinale, annunciate dalla omonima torre di avvistamento costiero.

Nel territorio di Vieste è possibile visitare un ulteriore lotto di Trabucchi; tra questi i più interessanti, anche perché si presentano in un buon stato di manutenzione. sono: il Trabucco di Punta La Testa, il Trabucco di Ponte Lungo, il Trabucco Isola la Chianca, il Trabucco S. Lorenzo, il Trabucco Tufara, il Trabucco Scialmarino . il Trabucco di Punta S. Croce.

Un patrimonio storico e culturale di inestimabile valore che ci racconta la storia e l’ingegnosità di queste popolazioni dedite alla pesca con strumenti del tutto inusuali e che ha dell’incredibile. E’ un patrimonio unico al mondo e questo impreziosisce ancora di più queste macchine ancestrali che ci impongono cura e rispetto per salvarne la presenza sul territorio e non già la memoria.

Redazione Radici

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