La dimensione mitica II

La dimensione mitica  II


di Rossella Cerniglia

Archelingua heideggeriana

I miti, dunque, esprimono una condensazione di significati in immagini di rara forza e bellezza a testimoniare il momento aurorale in cui pensiero e canto, filosofia e poesia, vivevano un’unica vita.


É stato Martin Heidegger a prospettare l’esistenza di una struttura archetipica, di un’archelingua, che costituirebbe la radice comune del Pensiero e del Canto, cioè di Filosofia e Poesia. Un sostrato nel quale pensiero e canto – come avviene nel mito- convivono e si intersecano tra loro inscindibilmente, insomma, una struttura portante della nostra esistenza dalla quale dipende la nostra interrelazione e interazione col mondo.


Nella postulazione heideggeriana, Pensiero e Canto, ovvero filosofia e poesia, si condensano in questa originaria matrice che è la Dichtung, e in essa coabitano, hanno rapporto dialogante, che si esplica nel linguaggio. Nella Dichtung i due elementi vivono non scissi, e solo a posteriori è possibile considerarli separatamente.


Tale concetto è parte di quell’evoluzione del pensiero di Heidegger dopo Essere e Tempo, che è insieme svolta ontologica e tentativo di sostituzione di quel linguaggio con cui la metafisica, a partire da Platone, aveva impostato la questione dell’essere, la Seinfrage. Ed è nel saggio Holderlin e l’essenza della poesia, pubblicato nel 1937, che Heidegger formula una nuova concezione dell’essere connessa ad una precedente impostazione del problema della verità: la concezione dell’essere come evento cui si collega il ruolo ontologico del linguaggio.


Per Heidegger, infatti, “ciò che prima di tutto è, è l’essere”. La parola evento, viene in tal modo a designare l’originaria reciproca appartenenza dell’uomo e dell’essere all’interno della realtà mondana: l’uomo infatti non è senza l’essere e l’essere non di dà senza l’uomo. All’interno di tale originario evento sono possibili, poi, tutti gli altri accadimenti della storia umana che è, manifestazione dell’essere, storia attraverso cui l’essere, storicizzandosi, si manifesta.
“Nella dimora dell’essere abita l’uomo- dice Heidegger – e i pensatori e i poeti sono i custodi di questa dimora. Il loro vegliare è portare a compimento la manifestatività dell’essere; essi, infatti, mediante il loro dire, la conducono al linguaggio e nel linguaggio la custodiscono.”


Nel pensiero originario, cioè nel mito, i due poli della dell’archelingua heideggeriana vi si riscontrano – come abbiamo detto – intimamente connessi, e in essi si realizza quell’aprimento dell’essere che tuttavia non appare mai in una luce costante. Il suo disvelarsi è, infatti, analogo a una istantanea illuminazione che subito torna a nascondere ciò che ha mostrato, perché il mostrarsi della verità, quello che gli antichi greci chiamavano aletheia, si dà in un continuo nascondersi e rivelarsi che non ha fine. Per quel che concerne più propriamente la poesia, essa permette l’aprimento dell’ente “in ciò che esso è, e nel come è”. In essa è in opera l’evento (Geschehen) in cui la verità dell’essere opera attraverso il linguaggio per il suo disvelamento.
In altre parole, in questa lingua originaria, archetipica – la Dichtung – la filosofia, viene ad aderire in modo singolare alla poesia poiché entrambe, attraverso la parola, hanno il compito di svelare il senso dell’essere, la sua verità. Ma tale svelamento, secondo Heidegger, non dipende dalla volontà dell’uomo.

Non è, infatti, l’uomo a parlare, ma il linguaggio stesso – e per suo tramite l’essere – che parla attraverso l’uomo. Il che equivale a dire che l’uomo “è parlato” dal linguaggio stesso dell’essere.


Tuttavia, nel suo stare a fondamento di pensiero e canto – filosofia e poesia – che si esplicano nel linguaggio, la Dichtung li trascende entrambi, poiché essi non potranno mai ricomprenderla e riaffermarla interamente come è già per la verità dell’essere. Come l’essere, essa rimane nel pensiero/canto in un Nascondimento che mostra o in un Mostrarsi che nasconde.


In questo nucleo insondabile – che in sé chiude il mistero dell’esistenza intera – si condensa l’essenza del linguaggio e della realtà che esso esprime, la quale si dà nell’ombra di questo Nascondimento che accenna a se stesso senza mai interamente rivelarsi.
In tal modo, si palesa, altresì, l’inesorabilità del trascendente – ma non nel senso di quel che Heidegger aveva combattuto, di quel metafisico che apre allo sviluppo incontrastato della téchne, bensì come distanza e diversità dall’ente, e per la sua natura ontologica e non ontica. In questi termini esso si mostra come connaturato alle modalità di essere dell’esistenza e riconfigura il problema dell’Origine dove l’aporia insormontabile è costituita dal fatto che qualunque tentativo facciamo per raggiungerla vede l’Origine arretrare nel suo Nascondimento e porsi Oltre, sempre al di là dell’orizzonte umano e terreno.
Ma le grandi interrogazioni degli scienziati, al giorno d’oggi, mi pare vertano proprio su questo punto fondamentale, il primo e il solo punto indagato nelle lontanissime origini del pensiero stesso.

Ed è questa una riprova dell’impronta teleologica, rinvenibile nell’universo, come se una sua logica interna, un pensiero immanente ad esso ci indirizzasse all’Oltre, in un processo di Immanenza/Trascendenza che rimane a fondamento dell’Universo stesso.
Infatti, sia che la ricerca parta da un’indagine sull’origine e fondamento della realtà, sia che parta dalle cose stesse – dall’essere o dall’ente – essa conduce sempre ad additare un Oltre, che si colloca, inesorabilmente, al di là delle coordinate esistenziali e terrene, come se il fondamento dell’esistenza di fatto, e delle facoltà interpretative con le quali ci orientiamo in seno ad essa, fosse quella soglia dalla quale l’Essere-nascosto accenna a se stesso senza mai interamente rivelarsi.


Ci appare, a questo punto, inevitabile il parallelismo tra il principio di Immanenza/Trascendenza ovverosia tra la Realtà e il suo Oltre – e quello tra il linguaggio umano e l’Archelingua heideggeriana (Dichtung). Nel pensiero di Heidegger, infatti, quest’ultima appare come sostrato immanente sia al Pensiero che della Poesia, ma, d’altro canto, vivendo essi nella sua luce senza mai identificarsi con essa (che rimane inattingibile e nascosta), sembrerebbe additarne la sua stessa trascendenza.


In altre parole, tale parallelismo verrebbe a porsi tra la realtà conoscibile/ e l’Oltre, così come tra il linguaggio dell’uomo e la Dichtung heideggeriana nella sua natura originaria.
Il rapporto Immanenza/Trascendenza, sarebbe pertanto il rapporto che lega parallelamente e dialetticamente l’Esistenza all’elemento che la trascende. Al quale appare intimamente connesso il ruolo del linguaggio.

Redazione Radici

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