L’Unione Europea non sarebbe più tale senza Budapest, Praga, Cracovia e Varsavia

L’Unione Europea non sarebbe più tale senza Budapest, Praga, Cracovia e Varsavia

PALERMO – Dal 2 luglio scorso tento, finora inutilmente, di procurarmi il testo integrale dello “Appello per il futuro dell’Europa”. Sottoscritto dai rappresentanti di forze politiche aderenti a due diversi Gruppi del Parlamento Europeo e da una forza politica oggi non facente parte di alcun gruppo.

Quest’ultima è il Fidesz, che esprime Viktor Orban, al momento Primo Ministro della Repubblica d’Ungheria. Accanto alla dicitura “Fidesz” compare quella di “Magyar Polgàri Szövetség”, che, tradotto letteralmente dall’ungherese, significa: Patto dei cittadini magiari. La traduzione ufficiale, più asettica, è: Unione civica ungherese. Chi conosca un po’ la storia della Mitteleuropa sa, però, che i Magiari costituivano un gruppo etnico con una precisa identità storico-culturale, il quale diventò largamente egemone in Ungheria. Erano anche piuttosto valenti e molto affidabili dal punto di vista militare; tanto che l’Impero asburgico, nella parte iniziale del regno di Maria Teresa d’Austria, poté sopravvivere soltanto quando l’imperatrice convinse i Magiari a battersi per lei. Faccio riferimento alla guerra di successione austriaca (1740-1748). La popolazione ungherese comprendeva, tuttavia, altre etnie, anche se minoritarie; un po’ “compresse” dai Magiari.

I Gruppi del Parlamento Europeo che, non nella loro totalità, hanno condiviso il predetto appello sono quello dei “Conservatori e Riformisti europei”, in sigla ECR, e quello denominato “Identità e Democrazia”, in sigla ID.

Il Gruppo ECR, presieduto dall’onorevole Giorgia Meloni, comprende i rappresentanti del partito italiano Fratelli d’Italia, nonché, fra gli altri firmatari dell’appello, del partito polacco “Diritto e Giustizia” (l’acronimo è PIS), e del partito spagnolo Vox. Il Primo Ministro della Repubblica di Polonia, Mateusz Morawiecki, espresso dal PIS, era personalmente presente ed ha sottoscritto il documento.

Il Gruppo ID comprende, fra i firmatari, il partito italiano della Lega, quello francese del “Rassemblement National“, in sigla RN, quello austriaco del FPÖ.

Tenuto conto della diretta partecipazione di due Capi di governo di Paesi membri dell’Unione Europea (Ungheria e Polonia) e valutata la consistenza delle forze politiche coinvolte, il documento non poteva passare sotto silenzio.

Invero, io che troppo spesso mi faccio illusioni, mi sarei aspettato che qualche quotidiano e qualche periodico – almeno quelli che ambiscono ad essere considerati serî e rispettabili – pubblicassero il testo integrale dell’Appello. Secondo la regola liberale, cara a Luigi Einaudi, del “conoscere” per “deliberare”.

Questo atto di, elementare, deontologia professionale da parte degli operatori dell’informazione non avrebbe richiesto grandi sacrifici, dal punto di vista dello spazio occupato. Perché, per quanto ho capito, non si tratta di un documento lungo; ma di una mera enunciazione di princìpi, riaffermati nel quadro di una complessiva valutazione critica dell’attuale funzionamento dell’Unione Europea.

Una volta assolto il dovere di informare davvero, ogni quotidiano o periodico sarebbe stato poi nel pieno diritto di pubblicare, tre, cinque, dieci, trenta, pagine di liberi commenti. Invece, come troppo spesso accade in Italia, abbiamo avuto soltanto i commenti e le interpretazioni, senza il testo.

Non hanno fatto eccezione i quotidiani e periodici con un orientamento cosiddetto di “centrodestra”: questi, infatti, sono sempre più o meno dipendenti dal politico/imprenditore/editore Silvio Berlusconi e dalla sua famiglia, e tengono a prendere le distanze dai firmatari dell’Appello. Non pare loro vero avere l’occasione di poter conquistare una patente di “progressismo” e di “liberalismo”, a buon mercato: è sufficiente ribadire come e in quale considerevole misura il partito di Forza Italia, orgogliosamente membro del Gruppo del Partito Popolare Europeo (PPE), sia qualitativamente assai differente dalle volgari “destre europee”.

La mia attenzione è stata subito catturata da un commento del Segretario del Partito Democratico, Enrico Letta. Il quale – secondo quanto viene narrato – sarebbe qualcosa di molto diverso da un politico di professione; meriterebbe di essere considerato un intellettuale, oltre che un politico. Anzi, un “fine” intellettuale. Mentre, in cuor mio, rimpiangevo Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani, almeno capaci di sostenere una tesi con una certa linearità logica, ho preso nota di questa dichiarazione di Letta, resa sempre il 2 luglio 2021: «Non si può stare allo stesso tempo con l’europeismo e con Orban».

Conosco poco la storia personale del presidente Orban e le sue idee politiche. Il fatto è che i politici – tutti i politici – prima o poi passano; mentre gli Stati, le Nazioni, restano. Non posso nemmeno concepire un’Unione Europea senza l’Ungheria, così come non posso nemmeno concepire un’Unione Europea senza la Polonia.

Mi riferisco a ciò che, rispettivamente, la Polonia e l’Ungheria hanno rappresentato, e continuano a rappresentare, nella storia e nella cultura del nostro continente. Vi dice niente il nome di Lajos (in italiano, Luigi) Kossuth, protagonista nel fatale anno 1848? Vi dicono niente i fatti di Ungheria del 1956? Quegli eventi non soltanto portarono tutti i liberali e tutti i democratici dell’Europa occidentale a solidarizzare senza riserve con i patrioti ungheresi, ma indussero anche molti intellettuali, fino a quel momento molto vicini al Partito Comunista italiano (PCI), a dimettersi dal partito, per protestare contro la logica repressiva e imperiale propria dell’Unione Sovietica. Penso, per tutti, a Italo Calvino.

Per quanto riguarda la Polonia, il nome di Jan Sobieski ormai dirà molto poco ai più. Si tratta di quel Giovanni III, re di Polonia, il quale mosse in soccorso della città di Vienna, assediata dai Turchi. Abile condottiero militare, sconfisse l’esercito dell’Impero Ottomano nella battaglia di Kahlenberg nel mese di settembre del 1683. Ciò consentì di porre fine all’assedio di Vienna e di liberare la città. Quello fu l’ultimo tentativo degli Ottomani di sfondare in direzione dell’Occidente. Se l’Occidente europeo allora resse, si conservi memoria del coraggio e del sacrificio di quei cavalieri e soldati polacchi.

Qualcuno si ricorda poi dell’ignobile patto Molotov – Ribbentrop, stipulato nel mese di agosto del 1939, con il quale la Germania nazista di Hitler e l’Unione Sovietica di Stalin si accordarono a non attaccarsi reciprocamente; laddove, in questa intesa, era contemplata la spartizione della Polonia? Qualcuno ha memoria del massacro di Katyn, condotto sistematicamente dai Russi nei mesi di aprile e maggio del 1940? Tutta la classe dirigente polacca, parliamo di più di ventimila persone, fu eliminata fisicamente, affinché nel nuovo assetto europeo, che sarebbe seguito alla seconda guerra mondiale, la Polonia non costituisse più un problema.

I nostri progressisti ignorano spensieratamente la Storia. Conoscono soltanto la propaganda oggi esercitata su di loro dai gruppi di pressione più organizzati. Come quella condotta dalle associazioni che, nel loro insieme, vengono definite dall’acronimo LGBT: lesbiche, gay, bisessuali, transessuali.

La regola aurea alla quale bisognerebbe attenersi è che i gusti e gli orientamenti sessuali costituiscono un fatto privato. Gli esseri umani vanno valutati ed apprezzati se, ed in quanto, sono persone generose, di indole buona, lavoratori scrupolosi ed onesti, persone spiritose, che si sono coltivate con buone letture, che apprezzano l’arte, la buona musica, il cinema, il teatro, che sono cittadini educati e consapevoli dei loro doveri verso la comunità sociale di appartenenza. Rispetto a tutto questo, l’orientamento sessuale è del tutto irrilevante.

Giusto affermare il principio che non deve essere consentito ad alcuno assumere comportamenti di contenuto discriminatorio, o, peggio, comportamenti violenti, motivati da pregiudizi circa l’orientamento sessuale delle persone offese. Discriminazioni e violenze vanno sanzionati, anche in modo severo, in proporzione alla gravità delle offese arrecate.

 I membri delle comunità LGBT, però, non possono pretendere che il mondo umano sia completamente rimodellato conformemente alla loro mentalità. Che ciò che è stato considerato “normale” per migliaia e migliaia di anni, cioè un rapporto di coppia fra un uomo e una donna, aperto alla possibilità della procreazione, all’improvviso non possa più definirsi “normale”. Che si possa non soltanto cercare rapporti di coppia secondo i propri gusti sessuali; il che è perfettamente legittimo. Ma fare continua opera di promozione e di proselitismo affinché quei gusti sessuali si diffondano, diventino “di moda”, cosicché aumenti la complessiva rispettabilità sociale di quanti manifestano quelle tendenze.

L’orientamento sessuale, poi, non andrebbe mai ostentato; perché farlo è sempre di cattivo gusto.

Molta della cattiva fama del partito polacco del PIS deriva proprio dal fatto che questo sarebbe prevalentemente composto da “cattolici” tradizionalisti; contro i quali i membri delle comunità LGBT sono in conflitto permanente. Anche nei confronti del partito ungherese del Fidesz, e di Orban, ritornano le medesime critiche.

La logica propria di Enrico Letta è quella che vadano “espulsi” dal campo della rispettabilità democratica, che vadano considerati “minus habentes“, ossia persone di intelligenza ridotta, quanti non rendono incondizionato omaggio alla ideologia dei diritti umani e non si attengono al modo di comportarsi del perfetto progressista.

L’ideologia dei diritti umani fa acqua da tutte le parti. Io me ne sono accorto da tempo e, prima o poi, anche Letta sarà costretto a prenderne atto.

Il Partito Democratico e i suoi progressisti hanno un modo davvero curioso di rapportarsi all’Unione Europea. Ricordate quando alcuni Stati Membri, nell’estate del 2020, mossero osservazioni sulle dinamiche del debito pubblico italiano? Quegli Stati vennero subito definiti Paesi “frugali”. Si trattava dell’Olanda, dell’Austria, della Svezia, della Danimarca e della Finlandia.

La risposta dell’Italia che conta fu sdegnata: come si permettono? Se questi Stati, dell’Europa “del Nord” (come se essere “del Nord” fosse una colpa) sono tanto egoisti da non comprendere le esigenze italiane, che se ne vadano pure via, che escano dall’Unione Europea. Il “sogno” dei tanti economisti in erba che, purtroppo, abbondano nel nostro Paese è di essere incoraggiati a fare debito dalla Francia e di essere garantiti e “campati” dalla Germania.

Ricapitolando: che escano pure gli Stati del Nord Europa più attenti alla problematica dell’equilibrio nei conti pubblici; che escano pure gli Stati del cosiddetto “blocco di Visegrad”, formato, oltre che dalla Polonia e dall’Ungheria, dalla Repubblica Ceca, dalla Slovenia e, in parte, dall’Austria, perché sono tanto “egoisti” dal rifiutarsi di accogliere automaticamente, secondo scadenze previste, una quota prestabilita di persone immigrate in Europa; che escano pure ancora una volta la Polonia e l’Ungheria perché sono tanto “illiberali” da non condividere le istanze di progresso espresse dalle comunità LGBT.

Questo è esattamente ciò che Letta intende per “europeismo”.

In attesa di avere l’opportunità di leggere il testo integrale dell’Appello per il futuro dell’Europa, mi devo accontentare di riportare un passaggio citato tra virgolette. Si presume, dunque, testuale: «L’Unione Europea sta diventando sempre più uno strumento di forze radicali che vorrebbero realizzare una trasformazione culturale e religiosa, per arrivare alla costruzione di un’Europa senza nazioni».

La ricchezza spirituale dell’Europa sta, effettivamente, nella ricchezza e varietà delle sue Nazioni. Storia, cultura, fede cristiana e morale ispirata dal Cristianesimo, arte, scienza, lingue ben strutturate, di grande tradizione, che hanno espresso opere letterarie e poetiche di primaria qualità e importanza, nella dimensione mondiale: questo è l’Europa, per noi.

Un patrimonio che non può e non deve essere appiattito, livellato, mortificato, inseguendo una pretesa idea di “Ragione” che vorrebbe imporsi su tutto, che vorrebbe uniformare tutto. Viva lo Storicismo! Abbasso l’Illuminismo radicale.

Mi sembra che l’appello contenga delle novità politiche che andrebbero colte e apprezzate. Forze politiche le quali prima esaltavano la “Brexit”, ossia la possibilità di uno Stato membro di uscire unilateralmente dall’Unione Europea, così come ha fatto il Regno Unito, ora sembrano attestarsi sul principio che l’Unione Europea sia, di per sé, una buona cosa, purché rispettosa delle sue Nazioni e delle loro peculiarità.

Anche il porre una differenza fra la costruzione di un modello “federale” di Stato europeo e un modello alternativo “confederale” è una buona cosa: perché significa che tutti avvertono l’esigenza di andare oltre l’attuale realtà ordinamentale della Unione Europea.

Il problema è che argomenti così importanti, così decisivi per il nostro futuro, andrebbero discussi tra persone effettivamente animate da buona volontà, in spirito di rispetto reciproco.

Livio Ghersi

Redazione Radici

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