La Rivista/ Anche questa è l’Italia, bellezza!

La Rivista/ Anche questa è l’Italia, bellezza!

di Giangi Cretti

“Ci sono gli stereotipi. Termine classicheggiante per quelli che siamo soliti chiamare luoghi comuni. I quali, in quanto tali, lasciano intendere di non essere completamente campati in aria. È scontato: lungo i viali della storia, qualche loro concreto riscontro nella realtà da qualche parte lo possiamo facilmente trovare. Ciò non toglie che – bandito, senza indugio alcuno, il dubbio – sia ampiamente dimostrato che, per loro natura, semplifichino, addomesticandola, la realtà e favoriscano, a proprio comodo, le generalizzazioni”.

Inizia così l’editoriale con cui Giangi Cretti apre il nuovo numero de “La Rivista”, trimestrale che dirige a Zurigo.
“È innegabile: oggi, ulteriormente acutizzati dalla crisi pandemica, l’Italia continua, suo malgrado, a fronteggiare mali atavici. Non solo il debito pubblico, ma anche la disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza, la mancanza di lavoro, il peso delle mafie e di una corruzione mai contrastata adeguatamente, una burocrazia spesso soffocante, il Sud che perde contatto dal resto del Paese, l’incapacità di valorizzare l’enorme patrimonio paesaggistico e archeologico, a cui si aggiunge, fenomeno che per dimensioni possiamo considerare più recente, accanto a quella che abbiamo chiamato la fuga dei talenti, la cosiddetta nuova mobilità (adeguamento retoricamente consolatorio di quella che un tempo si definiva emigrazione) alla comprensibile ricerca di fortuna e dignità professionale all’estero.


Ci sono, poi, inconfutabili, per quanto ignoti e comunque sorprendenti per gli italiani stessi, i dati di fatto*.
Ne estrapoliamo alcuni, precisando che discendono da rilevazioni relative alla situazione pre-Covid. Che descrivevano un’Italia nella quale l’avanzo manifatturiero superava i 100 miliardi di dollari, confermandola in compagnia di grandi potenze industriali come Cina, Germania, Giappone e Corea del Sud.


Che certificavano che le imprese italiane sono tra le più competitive al mondo: sul totale dei 5.117 prodotti in cui è analizzato il commercio globale, l’Italia ne vantava 935 da podio mondiale per attivo commerciale con l’estero. Che testimoniavano che l’Italia è leader in Europa per eco-efficienza del sistema produttivo, contemplata tra i Paesi più innovativi in campo ambientale.


Oggi, pur in uno scenario su cui ancora aleggiano preoccupazioni ed incertezze, questi dati di fatto, ci consentono di affermare che, realizzare, facendola ripartire, un’economia a misura d’uomo per affrontare il futuro, è concretamente possibile. Perché, pandemia sotto controllo, l’Italia è una superpotenza nell’economia circolare e ha la più alta percentuale di riciclo sulla totalità dei rifiuti: il 79%, il doppio rispetto alla media europea.
432 mila imprese italiane hanno investito nel periodo 2015-2019 in prodotti e tecnologie verdi (green?) è italiano il più grande operatore mondiale delle energie rinnovabili: l’Enel è la società elettrica privata più capitalizzata nelle borse europee; l’Italia primeggia per produzione farmaceutica; l’agricoltura italiana è la migliore in Europa per sostenibilità e produzioni di qualità; l’Italia è il primo esportatore europeo di biciclette: nel 2019 ne sono state vendute all’estero 1.776.300; i prodotti agroalimentari italiani dominano sui mercati mondiali: nonostante la contraffazione e la concorrenza sleale dell’Italian sounding.


Inoltre, solide, ci sono le (antiche?) certezze. Inscalfibili.
Perlomeno nell’immaginario collettivo universale.
Sono i nostri i nostri assi-piglia-tutto, che neppure l’incuria figlia della superficialità (dell’arroganza o della presunzione?) è riuscita (per quanto ancora?) a degradare al rango di stereotipo (eccolo di nuovo) coniato su un glorioso passato.


L’Italia ha un capitale di reputazione legato a quegli ingredienti che rendono “dolce” la vita. Sono la cultura, la lingua, le tradizioni gastronomiche, il paesaggio, il turismo. Che oggi è viaggio alla e nella conoscenza dei territori. Un capitale, che certa presunta (miope se non cieca?) modernità tende a sottovalutare, o colpevolmente a dare per scontato. Un capitale frammentato, o disperso in mille rivoli, pur sapendo che la semplice concentrazione, che altro non è che la realizzazione del tanto auspicato (invocato? evocato?) fare-sistema, può generare immediati ritorni: turistici, d’investimenti, di export, d’influenza, di reputazione.

Appunto.


Il “marchio Italia”, quello che i modernisti nostrani chiamano (sic!) nation brand, ha una sua indubbia connotazione positiva fuori dai confini nazionali. Non a caso è il terzo nel mondo, dopo quello della Coca-Cola e dei giochi olimpici.
Nel definirlo, vi concorre la variegata e ricca espressione delle Italie fuori d’Italia: istituzioni, tessuto associativo, studenti, professionisti, nuova e vecchia emigrazione, beni materiali e immateriali, prodotti creativi, patrimonio culturale, audiovisivo, letterario e linguistico.
In fin dei conti, l’unico marchio inimitabile. Perché veicola l’immagine e la percezione del Bel Paese, dove il sì suona (per il momento almeno): luogo dove vivere la bellezza è un’esperienza quotidiana possibile ed (ancora?) autentica”. 

*fonte: L’Italia in dieci selfie 2021 di Fondazione Symbola, in collaborazione con Unioncamere ed Assocamerestero, il rapporto completo si trova su www.symbola.net 

Redazione

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

CAPTCHA ImageChange Image

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.