Antonio Caruso: un talento artistico italiano in Canada

Antonio Caruso: un talento artistico italiano in Canada

“Partito dalla Calabria, approdato a Bergamo, il lavoro in Pirelli che lo obbliga a seguire corsi serali sia a Brera che all’Accademia Carrara, Antonio Caruso si stabilisce a Toronto a metà degli anni ‘80, a 44 anni. Artista, pittore, scultore con una tecnica propria detta “frescografia”, è una delle colonne della nostra cultura nella comunità italo-canadese. Lo abbiamo incontrato, ovviamente via Zoom, per conoscere la sua storia e per farci raccontare come un emigrato italiano venga accolto e inserito in quello sconfinato Paese”. Inizia così l’intervista che Giulio Rezzola ha realizzato in questi giorni, e pubblicato sul sito dei Lombardi nel Mondo, all’artista italiano Antonio Caruso.


D. Antonio Caruso, come è nata la tua vocazione, in Calabria?
R. Sono cresciuto in collegio a Camigliatello Silano. Avevamo un professore che si chiamava Asnaldi, veniva da Roma un paio di volte all’anno. Era bravissimo nel disegno e mi incantava quando disegnava sulla lavagna un po’ di tutto.


D. Come mai in collegio?
R. Quelli erano tempi duri. Il papà aveva avuto un incidente e quindi non avevamo sostegno. Il Comune ci ha aiutati mandando due di noi in collegio. Lì ho fatto solo le elementari. Serra San Bruno (mio paese natio) abbonda di opere d’arte e quindi ho fatto amicizia con i monaci, ho visitato la Certosa. Dentro c’erano opere lignee e ho scoperto artisti locali come Giuseppe Maria Pisani.


D. Hai poi fatto scuole d’arte?
R. Nel marzo 1967 siamo emigrati al nord, a Calusco d’Adda, in provincia di Bergamo. Lì è stata dura, molto dura. ma piano piano, piano piano ci siamo inseriti abbastanza bene.


D. Come hai fatto ad arrivare a Brera?
R. A Serra San Bruno avevo conosciuto uno scultore molto bravo, amico di Pisani e così ho cominciato a frequentare la sua bottega, ho imparato a lavorare l’argilla, a trovare la creta nel fiume. Creavo statuine in creta per il presepio.
Ho lavorato alla Pirelli lavorando sui tre turni e un giorno ho visto in bacheca un annuncio che cercavano qualcuno in tipografia con attitudini artistiche. Mi sono presentato e da quel momento è cambiata tutta la mia vita. Facevo grafica aziendale artistica e piano piano sono riuscito ad iscrivermi a Brera. Ci andavo la sera, finiti i turni di lavoro. Lì ho conosciuto Raffaele de Grada, uno dei più grandi storici dell’arte. Non l’ho finita ma poi a Bergamo, sempre rispettando i miei turni di lavoro, mi sono iscritto all’Accademia Carrara col professor Marra e via via sono cresciuto con grandi nomi del mondo dell’arte grazie ai quali venivo invitato ai grandi convegni d’arte. Ero un po’ la mascotte dei grandi maestri e questa è stata la mia grande fortuna.


D. Che cosa ti ha ispirato nella tua arte?
R. Diciamo che l’arte sacra l’ho coltivata maggiormente qui, in Canada, Mi è sempre piaciuto dipingere cavalli poi si sono inseriti altri soggetti. La paesaggistica non mi ha mai attirato: mi sembrava troppo semplice. A me piace il difficile, come l’anatomia.


D. Quando diventa un mestiere?
R. Lo diventa casualmente. Ho creato una mia tecnica che si chiama “fresco grafia”, che non è altro che un inizio di grafica con poi usare le terre e le tempere, i colori dell’affresco. Una volta essiccati li spolveravo e li ripassavo con i colori a olio. Però il tratto grafico rimaneva e questo piaceva molto ai miei collezionisti. Un giorno a Pesaro c’era una delegazione canadese che nel 1982 mi ha fatto un invito per andare a presentare il mio lavoro alla Thunder Bay Art Gallery, in Ontario. Lavoravo ancora in Pirelli quindi non ho accettato subito.


D. Quali sono stati tuoi esordi in Canada?
R. Facevo mostre. Venivo invitato in questa o quella città: Vancouver, Montreal, Calgary, Edmonton, A casa decidevo di fare due mostre all’anno, differenziando ogni anno la città dove esponevo.


D. Chi organizzava le mostre?
R. La Thunder Bay Art Gallery era inglese ma io non parlavo bene quella lingua. Ma ho fatto amicizia con la vice console di Tunder Bay perché in quella città c’era un consolato onorario. Le piaceva molto il mio lavoro quindi si occupava lei di trovarmi i contatti.


D. E quando hai deciso di trasferiti?
R. Quando i viaggi con le mostre cominciavano ad essere di 40 giorni, poi di 2 mesi, poi di 4, poi di 6….
Continuavano a richiedermi e così nel 1995 abbiamo deciso di trasferirci definitivamente.
D. Com’è la comunità italiana a Toronto?


R. È una comunità molto unita, molto preparata. È un’Italia unita. C’è un Congresso degli italiani in Canada che organizzano tutto con una forte presenza di politici italo-canadesi che promuovono il nostro Paese, la nostra cultura, la nostra industria. È l’organizzazione che ogni anno dal 2 giugno fino alla fine del mese promuove la cultura italiana.


D. Approfittiamone per spiegare che cosa è il Congresso?
R. È un’organizzazione riconosciuta dal governo canadese e apprezzata perché si occupa di tante cose che fanno comodo anche al governo canadese. Per esempio si occupa di scoprire talenti nelle università, con un premio annuo in denaro che viene dato allo studente. Diciamo che il Congresso lavora per la comunità.


D. Nelle tue opere mi sono sempre piaciuti molto la statua di San Padre Pio, il missionario cattolico e il nativo del Canada (che vediamo in fotografia). Tanto che ti hanno anche dedicato un francobollo. Come ti è venuta in mente quella immagine?
R. Qui la base religiosa è anglicana con una presenza cristiana su tutto il territorio canadese. Questo lo si deve la si deve al lavoro dei missionari cattolici. Già dal ‘600, un’epoca molto difficile per diffondere la religione cattolica, vi erano i gesuiti.


D. Situazione Covid, problema pandemico: com’è oggi?
R. È sotto controllo ma la situazione non è buona: è tutto chiuso.


D. Come si è inserita la comunità calabrese nella realtà di Toronto?
R. Ha contribuito molto allo sviluppo di questa città, basta guardarsi attorno e si vede moltissimo a sua presenza.


D. Come viene vista l’Italia da un ragazzo nato lì?
R. Il sogno è di poterci tornare e restare. Ma il sistema italiano impedisce loro di fare e sviluppare le loro capacità. Ciò che invece qui e possibile”. (aise) 

Redazione

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