San Nicola nella storia dell’arte

San Nicola nella storia dell’arte

Seconda parte del viaggio in tre puntate di Enzo Varricchio attraverso la sterminata iconografia di San Nicola di Myra e Bari. Nell’articolo precedente si è discusso del vero volto del Santo e delle sue prime raffigurazioni da parte dei pittori di icone in epoca bizantina. E’ la volta degli artisti compresi tra Quattrocento e Seicento, quali Giotto, Masaccio, Beato Angelico, Raffaello, Tiziano, Tintoretto, grandi maestri che consacrarono il loro amore per il Santo in straordinari capolavori.

Un saggio in tre puntate da stampare e conservare, un prezioso regalo di Radici ai suoi lettori in occasione della festa della traslazione del 7-9 Maggio.

PARTE SECONDA.

Il Santo nello sguardo dei grandi maestri

Dopo la Riforma Gregoriana il San Nicola ascetico bizantino fu presto sostituito da quello latino, più realistico, con in mano il Menologio o l’Evangelario, sempre austero, quasi cupo, con naso a base larga, sopracciglia marcate, barba circolare.

La prima diversificazione dai moduli bizantini (ricorrenti nel mosaico della Cappella di Tutti i Santi in Laterano e nel mosaico del catino absidale della basilica di San Marco a Venezia) nelle rappresentazioni occidentali del santo avviene con gli stilemi del romanico lombardo, tra l’XI e il XII secolo.

Uno dei migliori rappresentanti di questa antica espressione dell’arte italiana è il Maestro di S. Eldrado, anonimo autore del ciclo di affreschi nell’abazia di Novalesa in provincia di Torino.

Da questo Sironi ante litteram sono raffigurati i miracoli dell”olio malefico di Diana”, dei tre generali innocenti salvati dalla pena capitale, dell’elezione a vescovo.

Il grande Giotto dipinse San Nicola nel polittico della chiesa della Badia a Firenze ma senza particolare impegno.

Altri esponenti della scuola giottesca si dedicarono al mirablita di Licia, come il Maestro anonimo, nella cappella Orsini della basilica inferiore di San Francesco ad Assisi, Maso di Banco nella Deposizione, custodita nella chiesa di S. Remigio a Firenze, o Bernardo Daddi, nel trittico del Bigallo (sempre nel capoluogo toscano).

Fu poi la volta dei maestri del gotico: Simone Martini col Polittico di S. Caterina a Pisa; Ambrogio Lorenzetti, che nelle storie di San Nicola, provenienti dall’altare di S. Procolo (Firenze, Galleria degli Uffizi), mette in scena un vero e proprio miracle play, con un dinamico accostamento di momenti diversi della narrazione; Vitale da Bologna, principale esponente dell’arte emiliana nel ‘300 (Storie di San Nicola, nel duomo di Udine).

Nel frattempo, le magnifiche vetrate colorate delle cattedrali gotiche francesi e dell’Europa settentrionale, soprattutto nei centri marinari, si animavano di presenze nicolaiane.

San Nicola piaceva molto alle corporazioni delle classi emergenti, peraltro prive della possibilità di aggiudicarsi i punti più importanti delle chiese, riservati ai nobili.

Le vetrate, all’epoca ben poco visibili (non esisteva il binocolo), venivano considerate di minore rilevanza per l’indottrinamento e lasciate nella disponibilità patronale dei ceti minori.

Tra Gotico e transizione all’Umanesimo si colloca Gentile da Fabriano, pittore cortese, che dipinse nel 1425 a Firenze il polittico commissionato dalla famiglia Quaratesi per l’altare della cappella maggiore nella chiesa di San Niccolò Sopr’Arno. Nell’ultimo pannello di questa pala d’altare è raffigurata la basilica di Bari, animata da un incessante flusso di pellegrini sin dall’epoca della traslazione.

Singolare è il dipinto di Gentile, Risurrezione dei tre fratelli, in Vaticano. Sulla parete di sfondo della taverna in cui l’oste malvagio aveva compiuto il puericidio, campeggiano simboli che appartenevano probabilmente alle corporazioni degli artigiani.

Fu poi la volta del maestro Guido di Pietro, frate domenicano ordinato con il nome di Fra Giovanni da Fiesole, passato alla storia con l’appellativo di “Beato Angelico”.

A questo straordinario maestro del Rinascimento italiano si devono diverse raffigurazione del santo di Myra. Tra le più belle, la figura e le scene di vita di San Nicola, dipinte nella pala commissionata nel 1437 per la cappella Guidalotti nella chiesa di San Domenico a Perugia. Questo polittico, ora visibile presso la Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia, fu smembrato dopo l’instaurazione del regime napoleonico nel 1809 e due pannelli della predella inferiore, con storie di San Nicola, furono separati dal resto dell’opera e ora sono alla Pinacoteca Vaticana.

Nella tavola superiore, l’Angelico ci presenta un San Nicola diverso dal solito: accanto a San Domenico, un uomo vero, assorto nella lettura, adorno di magnifiche vesti, anziano e smagrito, col volto somigliante a quello del papa Niccolò V, amico e protettore del pittore. Il tradizionale simbolo delle tre sfere auree viene riportato al suo significato originario: tre sacchetti contenenti monete sono ai piedi del santo, a ricordare l’episodio dei tre sacchetti di danaro donati alle fanciulle da maritare.

Con il Rinascimento, le rappresentazioni del santo cominciarono a caratterizzarsi sempre più, senza mai però acquistare del tutto tratti di personalità autonoma, restando limitate dalla dottrina ecclesiastica, che così si esprimeva: “Non est imaginum structura pictorum inventio, sed Ecclesiae catholicae probata legislatio”.

All’artista non era concessa dai mecenati una vera e propria autonomia inventiva.

Sempre nel ‘400, si occuparono di San Nicola: Masaccio, nelle Storie dei Ss. Giuliano e Nicola (Staatliches Museum di Berlino); Antonello da Messina, che lo raffigurò accanto alla Maddalena nella Pala di S. Cassiano e, soprattutto, nell’ormai distrutto San Nicola in Cattedra a Milazzo; Antonio e Bartolomeo Vivarini (di quest’ultimo è la pala con Madonna in trono e santi, realizzata nel 1476 e conservata nella basilica di Bari).

Pesante e adornato di vesti fiorite è il Nicola di Carlo Crivelli (1430-1495 ca.), nel polittico di Monte San Martino. Ossuto e glabro è il volto del Nicola del ferrarese Cosmè Tura, al Museo delle Belle Arti di Nantes.

Un altro gigante del ‘400, Giovanni Bellini, nel Trittico della sacrestia dei Frari a Venezia, antepone San Nicola a San Pietro, allo stesso modo in cui un flash rapidissimo di un cronista moderno può mettere in primo piano un uomo politico rispetto ad un altro. Girolamo da Santacroce inverte il rapporto, mettendo in ombra Nicola, questa volta rispetto a San Benedetto (1451, chiesa di San Martino a Burano).

E’ un San Nicola calvo e senza barba, pensosamente assorto nella lettura di un testo sacro, quello che si pone in corrispondenza triadica con Giovanni Battista e la Madonna degli Ansidei di Raffaello Sanzio (National Gallery di Londra).

Domenico Ghirlandaio interpreta Nicola come pilastro dello Stato, simbolo di equilibrio tra i poteri. E’ un giovane benedicente con la folta barba scura il santo immortalato dal venetico Carpaccio. Tiziano lo immagina “canuto e bianco”, con le braccia aperte e col libro trattenuto a stento nella mano sinistra. Paolo Caliari, detto il Veronese, lo vede impegnato a colloquio con i dignitari di Myra. Lorenzo Lotto lo coglie in romantica gloria nella chiesa del Carmine a Venezia. Tintoretto rammemora l’episodio del salvataggio di una nave in pericolo (una delle “specialità”

di San Nicola, sia dal punto di vista leggendario che iconografico). Il veronese Francesco Montemezzano, verso la fine del ‘500, nella chiesa di San Nicolò dei Mendicoli a Venezia, ritrae Nicola mentre si accinge ad abbandonare la vita terrena ed ascendere al cielo. Leonardo Corona, nella stessa chiesa veneziana, riprende l’episodio dell’abbattimento, ad opera del taumaturgo, di un albero abitato dai demoni. Sempre a Venezia, nella chiesa di San Salvador, sono visibili due “ritratti” del Santo, opera di Francesco Fontebasso e G. B. Piazzetta.

SEGUE

Redazione

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