In India sta finendo la legna per bruciare in strada i morti di Covid

In India sta finendo la legna per bruciare in strada i morti di Covid

L’epidemia è fuori controllo, i forni crematori lavorano 24 ore su 24 e i cadaveri vengono bruciati nelle strade su pire improvvisate. Con un totale di oltre 17,6 milioni di casi e quasi 200 mila decessi, l’India  è ormai l’epicentro globale della pandemia.

Di fronte alle immagini strazianti che arrivano dall’India, dove l’epidemia di Covid è fuori controlloi forni crematori lavorano 24 ore su 24 e i cadaveri vengono bruciati nelle strade su pire improvvisate per le quali sta cominciando a scarseggiare la legna, la comunità internazionale ha cominciato a far affluire i primi aiuti per cercare di rallentare la diffusione del coronavirus.

Diversi Paesi – tra cui Spagna, Belgio, Filippine e Cambogia, gli ultimi in ordine di tempo a essersi aggiunti alla lista – hanno bloccato gli arrivi dal Paese del subcontinente indiano che, con un totale di oltre 17,6 milioni di casi e quasi 200 mila decessi, è ormai l’epicentro globale della pandemia.

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© PRAKASH SINGH / AFP

Il virus, nel giro di poche settimane, ha moltiplicato a dismisura il tasso di positività, facendo registrare numeri da record e provocando un collasso sanitario degli ospedali delle regioni più colpite, come Nuova Delhi o il Maharashtra occidentale. Per il sesto giorno consecutivo i nuovi casi di Covid sono stati sopra i 300 mila, in diminuzione rispetto al giorno precedente (323.144 contro 352.991), ma secondo alcuni esperti potrebbe essere dovuto a un calo dei test.

Intanto sono cominciati ad arrivare i primi aiuti internazionali: all’aeroporto di New Delhi sono stati scaricati i ventilatori e i concentratori di ossigeno spediti dal Regno Unito, le prime forniture mediche di emergenza ad arrivare nel Paese. Da Downing Street, però, hanno fatto sapere di non avere vaccini extra da condividere con l’ex colonia britannica, essendo concentrati al momento sulla campagna di immunizzazione nazionale.

Anche gli Stati Uniti si sono impegnati a fornire aiuti di emergenza, tra l’altro anche le materie prime necessarie per la produzione di vaccini, oltre a dispositivi di protezione, test diagnostici rapidi e persino respiratori. Washington sta anche studiando la possibilità di inviare rifornimenti di ossigeno. Da Madrid il ministro della Salute spagnolo, Arancha Gonzalez Laya, ha annunciato l’invio di sette tonnellate di attrezzature mediche, sottolineando che “nessuno sarà al sicuro finché non lo saremo tutti”.

Secondo fonti governative, il premier indiano Narendra Modi sta facendo forti pressioni per accaparrarsi la quota maggiore delle 60 milioni di dosi di AstraZeneca che gli Usa intendono mettere a disposizione dei Paesi più bisognosi a livello mondiale.

I primi 10 milioni potrebbero ricevere il via libera per l’esportazione “nelle prossime settimane” e il resto a giugno, ha riferito la Casa Bianca. Un portavoce dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), Tarik Jasarevic, ha denunciato come “parte del problema” il fatto che in India “molti corrono in ospedale (anche perché non hanno accesso a informazioni)” senza che ce ne sia reale motivo, esacerbando l’emergenza.

L’esercito è stato chiamato a collaborare per far fronte all’epidemia, dopo che il capo di Stato maggiore della difesa, il generale Bipin Rawat, ha parlato ieri con Modi. A New Delhi, una delle città più colpite, la polizia di frontiera indo-tibetana ha riaperto un ospedale da campo che era stato allestito durante la prima ondata lo scorso anno.

La Jsw Steel Ltd, una delle grandi aziende siderurgiche indiane, sta tagliando la produzione di acciaio per aumentare le forniture di ossigeno liquido, utilizzato negli altiforni, da mettere a disposizione delle autorità sanitarie. L’obiettivo è arrivare a più di 900 tonnellate al giorno entro la fine di aprile e a più di 20 mila tonnellate per l’intero mese.

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© PRAKASH SINGH / AFP

Anche Tata Steel Ltd. e Jindal Steel & Power Ltd., hanno fornito ossigeno per scopi medici nelle ultime settimane. In questa situazione, sta scatenando un’ondata di polemiche la decisione di non interrompere l’Indian Premier League (Ipl), il torneo di cricket più ricco del mondo e la sesta competizione sportiva per valore economico dietro al football americano e al calcio europeo.

Nel 2019 era stato traslocato negli Emirati arabi per l’emergenza Covid ma quest’anno gli organizzatori lo hanno confermato in sei località indiane, sia pure a porte chiuse, con bolle bio-sicure e regole rigorose sulla quarantena. In questa 14ma edizione sono già state disputate una ventina di partite e si va avanti, con la finale prevista per il 30 maggio a Ahmedabad, anche se qualche giocatore ha già scelto autonomamente di lasciare il torneo, come gli australiani Adam Zampa, Kane Richardson e Andrew Tye o la stella indiana dei Delhi Capitals, Ravi Ashwin.

AGI

Redazione

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