43 Anni ed un mese dopo…

43 Anni ed un mese dopo…

Di Raphael LUZON

La telefonata earrivata alle 8:30 di mattina mentre mi accingevo a bere il primo caffe della giornata.
Chi mi chiamava, da Tripoli, era il Direttore generale della Fondazione di Saef El Islam, figlio di Gheddafi e dal suo tono concitato e nello stesso tempo festoso, ho immediatamente capito che stava per darmi una notizia straordinaria: sull’onda delle parole che ne sono seguite, ho comunque tardato a comprenderne la portata e nello stesso tempo ho anche temuto di sognare. La voce dall’altro capo del filo mi diceva infatti che aveva partecipato ad in incontro con il Leader il quale mi invitava in Libia con mia madre.
Non mi ero ancora ripreso dalla sorpresa e mi arriva un’altra telefonata dal Console Libico che mi sollecita ad andare nei suoi uffici per sbrigare le formalità del visto, premettendo che sarei stato ospite del Governo. Pratica poi svolta con modalità calorose e di tutto riguardo.

Da quel momento gli eventi si sono succeduti con grande velocità. Sono iniziate ad arrivare varie telefonate dall’ufficio del Ministro per la Sicurezza per organizzare nei minimi dettagli la nostra visita. Mi è stato chiesto di preparare una lista di luoghi che avrei voluto visitare a Bengasi, mia città natale, ed anche chiarimenti sul cibo da prepararmi visto che erano al corrente della mia osservanza della Kashrut (leggi rituali ebraiche di alimentazione). Mi hanno poi garantito un’infermiera per mia madre. Da parte mia ho fatto loro sapere di non ospitarmi in un certo albergo perche` sapevo che era stato costruito sui resti del cimitero ebraico…


Sul volo delle linee libiche “Afriqia”, nella confortevole business class, non mi capacitavo che di lì a poco mi sarei trovato in Libia e cercavo di tenere a bada sia le emozioni (che effetto mi farà vedere la casa natale?) che i timori (che ne sarà di noi se dovesse verificarsi, durante la nostra permanenza, un incidente in cui è coinvolto Israele?)

Quando finalmente siamo atterrati ed il capo degli agenti di sicurezza (che non ci avrebbero abbandonato per tutto il periodo) mi ha accolto sorridendo dicendomi: “bentornato nel tuo paese natale”, l’adrenalina è tornata ai valori normali, mi sono rilassato e mi sono mentalmente predisposto a godere di ogni aspetto di un’ospitalità che si prospettava più che calorosa.

Nell’ottimo albergo dove siamo stati ospitati, uno dei consiglieri di Saef Gheddafi, compartecipe di una ricca colazione europea e libica (halva, datteri, labane), ci ha affiancato per stendere il programma degli spostamenti.

Io ho chiesto subito di vedere I vecchi quartieri ebraici di Tripoli (le hare) ora ‘cittavecchia’. Siamo entrati in alcune ex case ebraiche ora adibite a “min-centri commerciali” dove le stanzette sono diventati negozietti che vendono I tipici monili d’oro e d’argento libici (deblej, chalchal). Io mi sono subito comprato una ruaha (ventaglio tipico libico forma di bandiera) per far fronte al caldo che pero era secco e non si sudava.

Il giorno successivo, avrebbe riguardato la mia città natale, giusto un’ora di volo da Tripoli con le linee interne Al Buraq (nome del cavallo alato che portò Maometto in cielo).

Abbiamo lasciato Bengasi il 28 giugno 1967, con mia madre e mia sorella Rita ci torniamo il 28 luglio 2010 dopo una notte quasi insonne (per l’emozione) e una sveglia al canto del gallo e del muezzin (Ero proprio in Libya!).

Sotto l’aereo atterrato a Bengazi ci aspettavano due “angeli custodi” del Ministero della Sicurezza; ho dato loro istruzioni sui luoghi da visitare e ci siamo mossi in un mini-corteo mentre la nostra eccitazione cresceva di minuto in minuto! Ad un certo punto le nostre guide si sono bloccate non sapendo bene quale svolta prendere; sono sceso allora dalla macchina spiegando esattamente che direzione prendere per arrivare alla nostra casa; vedere la sorpresa dipinta sui loro volti per la vividezza del ricordo è stato un vero spettacolo!

Il vecchio quartiere ebraico oggi è diventata isola pedonale. Dalla fretta di arrivarci mi sono messo a correre e gli agenti mi hanno pregato di rallentare perche` correre significava imporre il cambio di passo ad almeno sette persone…!!!

I ricordi sono affiorati prepotenti e numerosi: qui compravo il gelato, qui mi ha investito una macchina assieme a mia sorella, questo è il negozio di Tesciuba, questo di Naim, qui la profumeria Zarrugh…: nella viuzza dietro il Municipio casa nostra, degli zii e del Nonno: ed ecco là il negozio di Papa`! Gli agenti si sono poi preoccupati di chiedere agli attuali abitanti il permesso di entrare e fotografare. Emozione grandissima nel vedere che la nostra casa è rimasta tale e quale, senza alcuna modifica.

All’angolo, svoltando a sinistra dopo un centinaio di metri ecco la Grande Sinagoga (Sla El Kebira) ora adibita a Chiesa copta. Dopo il solito “permesso” ottenuto dagli agenti e dai preti, nulla e nessuno ha potuto frenare il fiume di lacrime che scorreva sulle nostre guance. Tutti i simboli ebraici sono stati sostituiti da croci ed icone cristiane. Dopo esserci ripresi, ci siamo guardati intorno e… sorpresa, tutti gli agenti della sicurezza avevano gli occhi rossi e pieni di lacrime. Uno di loro avvicinandosi a mia sorella si è lasciato andare:” avrei volute abbracciarvi tutti. Ho letto nei vostri occhi la tristezza e la disperazione dell’abbandono”!

Siamo poi passati dal mercato Suk El Dalam (letteralmente: mercato buio) nel tardo pomeriggio ma io andavo di fretta perché avevo…un appuntamento. Incerti sul come arrivare all’Istituto de La Salle dove, come diverse generazioni di ebrei, avevo studiato, i ‘gorilla’ consigliano all’autista di contattare un suo amico che era stato anch’egli allievo della scuola; per curiosità chiedo di passarmelo perché potevo conoscerlo e che ti scopro? Si tratta effettivamente di uno dei miei migliori amici il cui Padre ricopriva allora la carica di Governatore di Bengasi. Accipicchia, che effetto parlargli e scoprire che anche lui mi ricordava bene e positivamente!

Intanto fremevo per non mancare all’appuntamento che sognavo da 43 anni. Mi sono fatto portare (con tutto il codazzo) alla Giuliana (o Jeliana) spiaggia di Bengazi e, con sorpresa di tutti, mi sono spogliato (avevo il costume precedentemente indossato) e mi sono tuffato nello splendido mare bengasino! Gli accompagnatori ridevano a crepapelle, ma a me non pareva vero di fare un bagno nella “mia spiaggia”.

Per non parlare poi dell’incontro, la sera, di mia madre con la Madre del mio amico, la quale, nel riconoscerla, si è messa prima a gridare Rahel, Rahel e poi a piangere tremando e a ridere: abbiamo passato una serata indimenticabile, assaporando l’ospitalità in casa di questi amici d’ infanzia.

Nè a Tripoli e né a Bengasi ci sono cinema. I film se li vedono via DVD a casa. La gente per strada e nei negozi è affabile e quando qualcuno ha scoperto la nostra origine ebraica, si sono prodigati a raccontarci di episodi d “quando c’erano gli Ebrei”, di quando “andavo a spegnere le luci di Sabato dei vicini Ebrei…” e cose del genere.

A Tripoli sono andato in overdose di odori, colori e sapori; cielo terso, clima secco, mare azzurro, frutta e verdura da festival della vista, artigianato tipico (non cinesizzato) in suk e mercati straordinariamente brulicanti ma silenziosi. Strade comode, diffuse e pulite, servizi, costruzioni e beni adeguati ad una capitale moderna.

Al ritorno dalla Libya sono stato preso d’assalto da giornalisti (israeliani soprattutto) ed arabi che hanno voluto sapere particolari e mi hanno intervistato varie volte anche per la TV israeliana.

In Libya ci hanno fotografato e filmato sia la TV libica e sia la France Press che ha mandato la responsabile (una signora affascinante, religiosa con il velo,) ad intervistarmi ed ha diffuso l’intervista e le foto in tutto il mondo arabo.

Spero di tornarci.


Perché in questo momento e perché al sottoscritto?

Io non so se la mia visita risponde a qualche disegno delle Autorità Libiche, in ogni caso, se così fosse, non né conosco né la trama né gli scopi finali. Tuttavia, pur considerando l’invito come gesto di rispetto verso un conterraneo di fede ebraica, non credo siano estranei all’iniziativa alcuni aspetti di rilevo della mia attività

Per circa 30 anni ho infatti svolto attività per valorizzare la nostra Comunità d’origine a fianco del compianto Raffaello Fellah nell’ambito dell’Associazione Ebrei di Libya – da lui creata – nonchè attraverso la Federazione Sefardita mondiale; altrettante energie le ho poi dedicate al WOJAC (l’Organizzazione Mondiale degli Ebrei provenienti dai Paesi Arabi) fino alla mia elezione nel 2003 come vice Presidente dell’Unione Mondiale Ebrei di Libya con Raffaello Fellah Presidente e fondatore.

Negli ultimi 10 anni ho riannodato i contatti con la Libya e molti dei suoi esponenti in Europa. Sulla tematica dei rapporti con i libici ho organizzato numerosi Convegni ed ho sempre accettato gli inviti a partecipare a quelli tenuti dai libici. Nel penultimo di suddetti eventi, tenuto nel 2007 presso l’Università SOAS di Londra, il Prof Jarari è venuto appositamente dalla Libia a capo di una delegazione per portare il suo contributo scientifico alla sezione storica, recando un messaggio di Gheddafi letto davanti alle assise.
Nell’ultimo in ordine di tempo, sono riuscito ad avere la presenza di Ministri libici assieme a Ministri israeliani che per 3 giorni hanno dibattuto, mangiato e riso insieme…!

Ritengo di un certo interesse precisare che unitamente allo scrittore libico Ahmed Al Rahal ho scritto a quattro mani un libro in arabo sulla cooperazione ebraicamusulmana negli ultimi cento anni che ha incontrato l’apprezzamento del Leader Gheddafi e la diffusione in Libano, Giordania ed Egitto.

Le decine di articoli e interviste che ho poi rilasciato a siti, giornali e televisioni arabe, mi hanno rafforzato nella convinzione che anche “dall’altra” parte vi è chi è stanco di una “mistica” che vuole tutti i buoni da una parte e tutti i cattivi e colpevoli dall’altra parte: gli anziani che ci hanno conosciuto non hanno difficoltà a riconoscere che siamo stati dei concittadini esemplari, i giovani sono incuriositi, il più delle volte sono consapevoli che quello che hanno appreso su di noi è una storia incompleta.

Così non è infrequente che io sia promotore di incontri all’insegna di un reciproco “amarcord” tra Ebrei e Mussulmani libici che riaffermano l’amicizia e producono commozione da entrambe le parti.

Gli incontri che ho avuto a Tripoli con il Ministro della Sicurezza e l’Incaricato degli Affari Esteri dei Comitati Popolari (il Parlamento libico), sono stati cordiali e interessanti. Abbiamo discusso di problemi personali e generali, ma è prematuro tirare delle conclusioni sugli sviluppi. Questo non toglie che così come ho desiderato per oltre quarant’anni di ritornare in Libia, posso continuare a sognare il tempo in cui la Libia si riconcilierà con la sua comunità ebraica nel segno della giustizia e dell’eguaglianza.

Raphael LUZON giornalista e scrittore Corrispondente Progetto Radici,Londra Inghilterra

Redazione

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