Dai ristoranti agli ospedali passando per la Grande Moschea: i robot in Arabia Saudita

Dai ristoranti agli ospedali passando per la Grande Moschea: i robot in Arabia Saudita


Connessioni di Valeria De Carlo

I robot-camerieri sono arrivati in Arabia Saudita. Precisamente nell’area di Jezan è stato inaugurato il primo ristorante il cui nome è, non a caso, “Robot Restaurant”. Le ordinazioni sono fatte ai robot che poi procedono a consegnare al tavolo il cibo. I robot-camerieri sono dotati di speciali sensori posizionati vicino ai loro piedi, di conseguenza possono smettere di camminare di cambiare i loro percorsi in base a ciò che li ostacolano.


Originariamente questi assistenti con intelligenza artificiale avevano la funzione ridurre il contatto umano durante il periodo pandemico. Hanno poi, in realtà, avuto molto successo perché le persone si sono incuriosite e ad un certo punto abituate.
Onore al giovane ingegnere saudita Reham Omar che, prendendo spunto e osservando l’utilizzo dei robot come assistenti già in altri paesi, ha portato questa tecnologia anche in Arabia Saudita.


Il settore ristorazione non è l’unico in cui questa idea è stata sviluppata.
Un gran numero di robot è già utilizzato per disinfettare la Grande Moschea a Mecca. È stato preannunciato che il numero aumenterà. Ogni giorno vengono utilizzati più di 4.500 litri di materiali di sterilizzazione per disinfettare la Grande Moschea e ottenere un ambiente sano e sicuro. Il lancio del robot ad alta precisione contribuirebbe a ridurre la diffusione del coronavirus e di altre malattie ed epidemie.
Come lavorano questi robot? Secondo quanto spiegato da Hassan Al-Suwairi, direttore del dipartimento di protezione ambientale e controllo delle epidemie, il robot “esegue la sterilizzazione interna su sei livelli, che migliora la resistenza e la sicurezza della salute ambientale e analizza in modo intelligente i requisiti di sanificazione in base agli scenari di utilizzo.

Funziona da cinque a otto ore senza intervento umano. Il dispositivo può contenere 23,8 litri. Il volume di irrorazione è stimato in 2 litri all’ora, ed elimina i batteri in un’area di 600 metri quadrati alla volta. La dimensione delle particelle di nebbia secca utilizzate nel processo di disinfezione è compresa tra 5 e 15 micrometri”. Con il ricorso a questa modalità è stato ridotto l’intervento umano assicurando la sicurezza degli ambienti che richiedevano sterilizzazione e disinfezione continue.
Ma non è tutto.

Può un robot testare e diagnosticare persone che potrebbero aver contratto il Covid-19? Ebbene sì. Nell’ospedale King Abdullah Medical Complex di Jeddah, un robot assistente medico è stato appena aggiunto al personale. L’obiettivo è praticare il distanziamento sociale, ridurre al minimo il rischio di infezione e accelerare i tempi di risposta di alcuni esami diagnostici iniziali. Il robot è dotato di uno stetoscopio, un otoscopio, una telecamera per gli occhi e una telecamera per esaminare la pelle da lontano dotata di un obiettivo ad alta risoluzione incorporato.

Affinché il team medico possa mantenere una distanza di sicurezza dai pazienti, questo robot assistente fornisce ai pazienti consulti medici, registra i loro segni vitali e genera immagini radiografiche.
Sicuramente dall’utilizzo della tecnologia avanzata nel campo ristorazione o alimentare in genere, fino all’utilizzo in campo medico si parla di grandi investimenti ma, soprattutto nel campo medico/assistenziale, il plauso va di certo e in prima battuta agli operatori sanitari, uomini e donne, che lavorano 24 ore su 24 per curare i pazienti.

Valeria De Carlo
Corrispondente Progetto Radici Riyadh Arabia Saudita

www.progetto-radici.it

Redazione@progetto-radici.it

Redazione

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