Gente d’Italia

Gente d’Italia

DI STEFANO GHIONNI

 “Ebbene sì. Sono trascorsi esattamente 17 anni dalla nostra prima uscita nelle edicole, anche qui in Uruguay. Era difatti il 14 aprile del 2005 quando questo giornale, dedicato agli italiani all’estero, vide per la prima volta la luce oltre che negli Usa a Montevideo e nel resto del Paese. Un bel traguardo, non c’è che dire. Come ben saprete, il 17 è un numero alquanto delicato per chi conosce l’Italia e Napoli in particolare. E meno male che oggi non è venerdì… altrimenti la “frittata” poteva essere completa”. A scrivere della ricorrenza è stato in queste ore Stefano Ghionni, in questo articolo pubblicato proprio su “Gente d’Italia”, quotidiano che si occupa di italiani nel mondo diretto da Mimmo Porpiglia.
“Bando agli scherzi, siamo davvero felici di poter festeggiare questo compleanno con Voi Lettori che oramai ci seguite sempre con maggior interesse da tanto tempo ormai. Qualche collega, saputo del raggiungimento del 17esimo anno (manca oramai poco alla maturità) ci ha preso in giro giocando appunto con la cabala, del tipo… sarà un anno difficile. La realtà dice che l’anno difficile è stato quello passato, con lo scoppio della pandemia per il Covid (che poi aveva fatto capolino in Cina già nel 2019), quando tutto il mondo ha avuto a che fare con un virus che ha decretato la morte di centinaia di migliaia di persone. Ed è davvero difficile pensare a 365 giorni dannati come quelli del 2020. Certo, oggi come oggi non tutto è rose e fiori. Anzi, i contagi e i decessi sono sempre troppo alti e proprio due giorni fa l’Osservatorio mondiale della sanità ha spiegato che le infezioni sono anche in crescita. Ma dobbiamo guardare al presente e al futuro con ottimismo. Già, perché ora ci sono i vaccini, cosa che non avevamo un anno fa di questi tempi. La sfida per battere il Coronavirus con tutte le sue pericolose varianti, è tutta qui: nella corsa alle inoculazioni.
Prima saremo tutti vaccinati, prima le cose torneranno nella normalità (che non vediamo di riassaporare e che ci fa capire di quanto anche una semplice passeggiata al mare senza mascherine e senza paura di contagi possa ora sembrare qualcosa di incredibile). Nel 2005 mai avremmo pensato di vivere e di raccontare una roba del genere, di essere catapultati in una sorta di film di fantascienza. Ma è accaduto e abbiamo cercato di essere, come si dice in gergo, puntuali sul pezzo, raccontandovi l’evolversi della situazione, sia in Italia che in Sud America. E lo faremo ancora di più. Credeteci: non sarà il numero 17 a fermarci. Noi non soffriamo di eptacaidecafobia che altro non sarebbe che la paura di questa cifra. A proposito, ma perché il 17 nella smorfia napoletana è considerato “disgraziato”?
Per i seguaci del credo pitagorico, era un numero da evitare in quanto era compreso tra il 16 e il 18, considerati perfetti. Nell’antico testamento il diluvio universale iniziò proprio il 17. Nell’impero romano, invece, la sfortuna ha ragioni militari. La battaglia di Teutoburgo è stata combattuta nel 9 d.C. nel cuore della Germania settentrionale. Sul campo, che poi tale non fu, perché i romani di Varo si scontrarono con i “barbari” nel buio pantano della “Foresta Nera”, le legioni 17, 18, e 19 furono attirate in un tranello e completamente annientate dalla coalizione di tribù germaniche guidata di Erminio. Da quel momento, nella tradizione dell’Urbe, quei numeri furono considerati sinonimo di sventura. Ma noi crediamo che oggi come oggi il numero sciagurato sia uno solo: il 2020. Se il 17 sarà comunque ricorrente sempre sul calendario (assieme al venerdì anche), almeno quello sarà irripetibile. Per fortuna…”.
Anche il direttore Mimmo Porpiglia ha voluto ringraziare i lettori: “Grazie quindi a tutti Voi che continuate a seguirci e un grazie particolare ai due artefici del nostro editare e stampare qui: l’ambasciatore Giorgio Malfatti che mi spinse a considerare l’eventualità di aprire una redazione a Montevideo e l’avvocato Gianni Raso, già direttore della Rai per il Sudamerica. “Sei un pazzo – mi disse sorseggiando un Tanat d’epoca – come pensi di pubblicare un quotidiano in lingua italiana in Uruguay?”.
Che non sia troppo “normale” me lo ripeteva spesso mio padre ricordando quando una sera di tanti anni fa gli dissi: “Papà vado a New York mi hanno offerto un contratto di collaborazione al Corriere della Sera…mi pagheranno a pezzo…qui non c’è posto nei giornali. E m’imbarcai con una Lettera 22, la sua valigia di pelle antica e il cuore pieno di entusiasmo. Sono stato sempre pronto negli anni a sfidare tutto e tutti, con il sacro fuoco giovanile di voler cambiare il mondo, contro le ingiustizie, i tiranni, la povertà, la camorra e la mafia. E ho lasciato il mio Paese, i miei cari, gli amici più fidati per intraprendere la professione che più ho amato e che amo nella vita. Mi è andata bene. Ma nella vita ci vuole anche fortuna, e ne ho avuta tanta. Con oggi s’inizia il diciassettesimo anno di pubblicazione in Uruguay. Il 17 è un numero che non mi fa paura, ho anche la fortuna dalla mia”

Redazione

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