Cyber vita – Cyber pensiero: La visione profetica dell’avvenire

Cyber vita – Cyber pensiero: La visione profetica dell’avvenire

di Apostolos Apostolou*

A l’époque de l’écran et du virtuel, il n’y a plus d’histoire à proprement parler. Pour qu’il y ait du réel, il faut qu’il y ait de la représentation. (All’’epoca dello schermo e del virtuale, non c’ è più racconto. Per esistere la realtà, deve esistere la rappresentazione).  Jean Baudrillard

Oggi viviamo in una società che sembra un ologramma? Molti dicono di sì. E questo perché viviamo in una epoca tecnocratica. Sotto controllo tecnocratico. Il corpo, la coscienza, la società, l’identità, oggi sono mascheramenti. Il nostro dilemma non è se viviamo tra un mondo vero, reale, fatto di carne e di sangue, e un mondo finto, fatto d’immagini e di luce, ma tra lo scambiare l’ologramma per un oggetto o il vederlo come tale. Tutti siamo un grande ologramma come lo è la nostra vita.

Il filosofo francese Jean Baudrillard, nella sua opera con titolo Cyberfilosofia, (Mimesis Edizioni, collana: Minima volti, Milano-Udine, 2010) scrive: “La realtà poteva sorpassare la finzione: era il segno più sicuro del possibile gioco al rialzo dell’immagi­nario. Ma il reale non può sorpassare il modello, di cui non è che l’alibi. L’immaginario era l’alibi del reale, in un mondo dominato dal principio di realtà. Oggi è il reale che è diventato l’alibi del modello, in un universo retto dal principio di simulazione. Ed è paradossalmente il reale che è diventato oggi la nostra vera utopia – ma è un’utopia che non appartiene più all’ordine del possibile, perché non si può che sognarne come un oggetto perduto. Forse la science-fiction dell’era cibernetica e iperreale non può che consumarsi nella resurrezione ‘artificiale’ di mondi ‘storici’, cercare di ricostruire in vitro, fin nei minimi dettagli, le peripezie di un mon­do anteriore, gli avvenimenti, i personaggi, le ideolo­gie passate, svuotate del loro senso, del loro processo originale, ma allucinanti di verità retrospettiva. Così in Simulacri di Dick, la guerra di Secessione. Gigantesco ologramma in tre dimensioni, dove la fin­zione non sarà più uno specchio teso al futuro, ma riallucinazione disperata del passato. Non possiamo più immaginare altri universi: la gra­zia della trascendenza ci è stata negata anche su que­sto terreno. La science-fiction classica è stata quella di un universo in espansione; trovava del resto le sue vie nei racconti di esplorazione spaziale complici del­le forme più terrestri di esplorazione e di colonizza­zione del XIX e XX secolo”. (pp. 10, 11) E continua Jean Baudrillard nello stesso stile. “Non è più possibile partire dal reale e fabbricare l’irreale, l’immaginario a partire dai dati del reale. Il processo sarà piuttosto l’inverso: si tratterà di realizzare situazioni decentra­te, modelli di simulazione e di ingegnarsi a dar loro i colori del reale, del banale, del vissuto, di reinventare il reale come finzione, proprio perché il reale è scom­parso dalla nostra vita. Allucinazione del reale, del vissuto, del quotidiano, ma ricostruito, talvolta fin nei dettagli di un’inquietante estraneità, ricostruito come una riserva animale o vegetale, esposta alla vista con una precisione trasparente, e tuttavia senza sostanza, derealizzata in anticipo, iperrealizzata. La science-fiction non sarebbe più, in questo senso, un romanzesco in espansione con tutta la libertà e il naif che le derivano dal fascino della scoperta, ma piuttosto evolverebbe implosivamente, a immagine della nostra concezione attuale dell’universo, cercando di rivitalizzare, riattualizzare, riquotidianizzare dei frammenti di simulazione, frammenti di quella simulazione universale che è diventato per noi il mondo che si dice “reale”.(pp. 12,13).

Anche la politica non è più la rappresentazione di una volontà politica dotata di contenuti, ideologie, significati, speranze, ma è un olografia d’Imperium, cioè la resa tridimensionale dell’immagine di un oggetto che si chiama potere assoluto. “All’interno di uno spazio cibernetico, il sistema della politica si considera “informazionale” nella misura in cui genera democratizzazione delle informazioni e crea nuovi modelli di agorà, configurando quella che Castells definisce società in rete. La produzione e riproduzione di conoscenza è un valore dello scambio sociale, l’espressione di una socialità attiva che si declina in modi differenti, si seleziona e si contestualizza affinando la capacità selettiva in relazione all’esperienza. Nel cyberspazio, tuttavia, queste dinamiche valoriali non sono realizzabili nei termini attuabili tramite la socialità reale”. (Gianpasquale Preite, “Cyberspazio e forme di autodeterminazione delle relazioni sociali. Un’analisi teorica”. Articolo pubblicato su Cosmopolis, rivista di filosofia e teoria politica, nella sezione Tra le righe).

Non abbiamo bisogno di una vita con un pensiero né positivo, cioè logico, né scientifico, cioè funzionale né psicanalitico, ossia narrativa e teoria delle proiezioni, né micro-costruzioni sociologiche ossia ideologie prosaiche. Ma abbiamo bisogno di un’apertura futura non detta e non pensata dell’uomo, capire che la nostra epoca non ci appartiene, come una proprietà, ma invece che siamo noi che apparteniamo ad essa come se fossimo suoi figli, in un’ apertura culturale e poetica in una produttività sociale e divergente. Solo così possiamo cambiare la vita tecnocratica, la vita cyber.


* Scrittore, Docente di Filosofia e Critico Letterario ad Atene, corrispondente Progetto Radici Atene, Grecia

Redazione

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