Fra antifilosofia e Geofilosofia?

Fra antifilosofia e Geofilosofia?

“Dentro ognuno di noi c’è una bella idea annegata, che non vuole morire.”

                                            Di Apostolos Apostolou.


                  (Il mondo è una trappola che funziona perfettamente.)

Boris Groys Professore alla New York University, è uno dei più notevoli filosofi e commentatori d’arte sulla scena globale ha scritto un libro con titolo Introduzione all’ Antifilosofia. Groys affronta la filosofia stessa come atto del pensiero, creando un corto circuito virtuoso con l’azione creatrice dell’arte. L’antifilosofia non va contro questo o quel particolare pensiero, ma contro il progetto filosofico . Groys esplora le domande filosofiche cruciali trovando risposte inaspettate attraverso un’ampia varietà di filosofi da Benjamin, Derrida a Heidegger, Kierkegaard e Nietzsche. Karl Marx era il primo che non voleva dare un nome della sua filosofia. Marx non cercasse un nome perché fosse convinto di non dovere nominare nessuna filosofia: era certo d’avere debellato la filosofia della Storia. E proprio un’anti-filosofia della Storia. Una filosofia contro la Storia. Heidegger nel saggio del 1968, ha parlato di fine della filosofia. Heidegger pensava che con Nietzsche inizia a compiersi la fine della filosofia. Perché la filosofia di Nietzsche è un ribaltamento del platonismo. La filosofia secondo heidegger, giunta alla sua fine sarebbe allora finalmente restituita a se stessa, al proprio compito essenziale, dopo un lungo sviamento nel territorio dell’anti-filosofia o della non-filosofia. Ma anche J. Lacan con l’antifilosofia costruisce le condizioni necessarie per la rinascita della filosofia. Lacan, quasi fiutassero nella sua cosiddetta antifilosofia una possibilità, forse la sola, per far uscire la filosofia dall’impasse in cui essa si è venuta a trovare nella modernità.
La filosofia tradizionale si divise in metafisica (o ontologia) che studia in generale ciò che esiste, studia l’essere in generale, ma oggi l’ontologia è una retorica astratta. E poi nella filosofia tradizionale abbiamo la gnoseologia (o teoria della conoscenza) studia la natura, le fonti e i limiti della conoscenza, oggi studia il linguaggio, o una teoria che descrive i metodi scientifici, cioè del problema di un diverso statuto epistemologico tra scienze pure e scienze naturali. La logica studia il pensiero: che cos’è, quali sue operazioni riescono a determinare il vero o il falso ma oggi abbiamo divenuta un conciliante relativismo. L’etica (o morale) studia l’agire del singolo, però oggi l’etica è più una filologia che parla di relativismo dei valori. La filosofia politica studia la sfera collettiva ma proprio oggi è una sociologia o antropologia generale. Estetica, studia la sfera del sentimento, del sentire piacere o dispiacere davanti alle cose, ecc, oggi l’estetica è lyrosophie.
L’antifilosofia non è l’“idealizzazione del negativo” dell’Altro, non è un’esperienza mistica, o un linguaggio puro. Ma un “bianco”. Questo bianco sta di fronte al brusio pieno e insistente del dispositivo loquace. Un bianco che rimane al di là intoccato e intoccabile di ogni dispositivo. Come il silenzio di Jacques Rivière e le voci del dispositivo che non s’incrociano mai, non si contraddicono non si trasformano reciprocamente, come centro vuoto del potere. Come l’“ agnoia” (cioè l’ignoranza socratica), ignoranza superiore ad ogni conoscenza. L’antifilosofia non si muove sul rifiuto di esaurire la verità nella formulazione, di identificare la conoscenza del significati con la comprensione dei significanti. E con altre parole possiamo dire che l’antifilosofia non è un’ideologia (di solito chiamiamo ideologia ogni elaborazione teoretica intenzionalmente adattata al consolidamento delle convinzioni a priori). Perché l’antifilosofia costituisce una frattura di discontinuità. Ma una discontinuità in una data realtà esistenziale che pur fratturata non si distrugge. E proprio non è una scienza con metodi di presunta attendibilità.
Cosi abbiamo la domanda, nell’ antifilosofia esiste un senso? Luisa Bonesio scriveva per la filosofia dell’Occidente. (Rivista Leggere settembre 1991, titolo di saggio La fine del senso. pagina 34) “La cultura dell’ Occidente di essere finora al mondo e alle cose. Nell’immanenza senza immediatezza, le cose non divengono oggetto di una rappresentazione per un soggetto né suscettibili di una comparabilità: esse non cessano di venire in presenza parlando un idioma assolutamente singolare. “ C’è si dice in tanti idiomi quante le cose”: ossia nel cuore delle cose non c’è linguaggio, per cui anziché inscrivere la loro singolarità in un lessico, i nostri enunciati dovrebbero piuttosto andarsi a escrivere in esse, secondo un movimento che nel nome della cosa riconosce un fuori irriducibile, che è il “proprio” della cosa, e d’altra parte, il proprio del nome sta nel mostrare questa esteriorità. Dunque il linguaggio mostra solo a condizione di escriversi, e conseguenza, il pensiero della scrittura ha come unica posta in gioco la cosa.”
La liberazione della cultura avrà lasciato tutti alla ricerca della propria identità, con sempre meno risposte possibili. Però abbiamo lasciato e abbiamo investito, digerito e rigettato le ideologie più contraddittorie e oggi abbiamo solo la maschera e sono diventati nella nostra testa, forse a nostra insaputa zombi della nostra cultura. Cosi dobbiamo decidere che cosa vogliamo. Vogliamo un’antifilosofia o una geofilosofia? Geofilosofia significa ciò che dice il suo nome: Cioè geo(che significa terra) e filosofia. Secondo Deleuze e Guattari la geofilosofia è il passaggio dalla logica dell’origine a quella dell’incontro, ciò che consente alla geofilosofia di andare oltre lo storicismo, considerando in un colpo solo sia la dimensione storico-temporale che quella geografico – spaziale, facendo di ogni necessità una contingenza. Cosi La geofilosofia non è una “filosofia della terra”. La geofilosofia testimonia una nuova consapevolezza spazio-temporale, e esprime questa relazione d’immanenza tra terra e pensiero, il movimento di territorializzazione e deterritorializzazione della terra secondo Deleuze Guattari. Da un’altra vista l’antifilosofia organizza un pensiero interrogativo che non sia nè positivo, cioè logico, nè scientifico, cioè funzionalità ne’ psicanalitico ossia narrativa e teoria della proiezioni, nè micro – costruzioni sociologiche ossia ideologie prosaiche. Distinguere l’apertura futura non detta e non pensata dell’ uomo, capire che la nostra epoca non ci appartiene, come una proprietà nostra, ma invece che siamo noi che apparteniamo ad essa come se fossimo suoi figli, in un’ apertura culturale e poetica in una produttività sociale e divergente. La questione che si pone l’antifilosofia è come rispondere simultaneamente alla corrente sotterranea che si muove all’ombra nello spazio – tempo e all’orizzonte degli orizzonti lontani che ci procura le sue luci. Perché l’antifilosofia non vuole cambiare il mondo ma pensa rizomaticamente. E pone la domanda: “Che cos’è un pensiero che non fa male ad alcuno. né a colui che pensa né agli altri? (…) Ciò che è primo nel pensiero , è l’effrazione, la violenza, il nemico e nulla presuppone la filosofia, tutto muove da una misofia”. Gilles Deleuze, Differenza e ripetizione”. Finalmente l’antifilosofia “è” il compito del pensiero.

Apostolos Apostolou. Scrittore e Docente di Filosofia ; corrispondente Progetto Radici Atene, Grecia

Redazione

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