Erdogan caccia il governatore e la lira turca crolla

Erdogan caccia il governatore e la lira turca crolla

Avv. Giovanna Barca

Le Avvocate Italiane

Il presidente turco Erdogan decide di sbarazzarsi della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, firmata proprio in Turchia nell’anno 2011, troncando, in questo modo, qualsiasi approccio di rapporto civile con l’Europa dei diritti, e lacerando definitivamente le speranze delle donne per affermare la loro libertà e la loro autodeterminazione.

Pur essendo stato proprio il governo Erdogan, il primo paese firmatario della Convenzione di Istanbul del 2011, riconosciuta come il primo ed importante strumento internazionale nella lotta contro la violenza di genere soprattutto nei paesi dove il riconoscimento dei diritti delle donne, per tradizione e religione, è ancora lontano, e dove ancora il regime politico e patriarcale soffoca la libertà delle donne, il Trattato è sempre stato avversato.

Infatti, tale strumento è stato combattuto soprattutto dai settori più conservatori e più legati all’Islam oltranzista che hanno sempre sostenuto che la Carta vada a minare l’unità familiare, incoraggi il divorzio e che i suoi riferimenti all’uguaglianza verrebbero strumentalizzati dalla comunità Lgbt. Non a caso, il vicepresidente turco, Fiat Oktay, commentando la decisione del ritiro dalla Convenzione ha scritto su Twitter  che la soluzione per “elevare la dignità delle donne turche sta nelle nostre tradizioni e nei nostri costumi, non nell’imitazione di esempi esterni”.

Secondo quanto riporta Reuters, i funzionari del partito AK del presidente Recep Tayyip Erdoğan hanno detto che già l’anno scorso il governo stava valutando la possibilità di ritirarsi. “La garanzia dei diritti delle donne sono le normative vigenti nel nostro statuto, in primo luogo la nostra Costituzione. Il nostro sistema giudiziario è dinamico e abbastanza forte da attuare nuove normative secondo necessità “, ha dichiarato poi su Twitter il ministro della Famiglia, del Lavoro e delle Politiche sociali Zehra Zumrut.

In effetti,  la convenzione, entrata in vigore nel 2014, secondo la piattaforma civile “We Will Stop Femicide Platform” (Noi fermeremo i femminicidi),  non è mai stata realmente applicata.

La violenza domestica e il femminicidio sono un grave problema in Turchia, sempre secondo il gruppo per i diritti “We Will Stop Feminicide Platform”: nell’ultimo anno, infatti, in Turchia  sono stati registrati almeno 300 femminicidi, e 171 donne sono state uccise in circostanze sospette. Inoltre, soltanto nei primi 65 giorni del 2021 in Turchia ci sono stati 65 femminicidi. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità almeno il 40 per cento delle donne turche è vittima di violenza compiuta dal proprio partner, rispetto a una media europea del 25 per cento.

La decisione del presidente turco è stata una vera è propria dichiarazione di guerra alle donne, in un Paese, dove questo fenomeno drammatico, si teme, ora, possa aggravarsi ulteriormente.

Per questo motivo, un movimento di supporto alla Convenzione espresso in rete attraverso l’hashtag  #istanbulconventionsaveslives, (la Convenzione di Istanbul salva vite) promette di dare battaglia al governo e di portare la decisione di uscire dalla convenzione davanti alla Corte Costituzionale del Paese. Intanto, si registra la reazione dell’opposizione, che annuncia ricorso al Consiglio di Stato, “Difenderemo i diritti delle donne fino alla fine”!

Al grido “Ritira la decisione, applica la Convenzione”, delle donne turche, scese in piazza a migliaia contro la decisione, a Istanbul e in diverse città, si sono affiancate le drammatiche riflessioni di alcuni attivisti dei diritti umani e politici europei.

In un paese dove ogni giorno vengono uccise tre donne, (la Convenzione di Istanbul) era la nostra unica speranza, ha scritto su Twitter Elif Shafak, scrittrice turca, abbandonandola, il governo turco sfida lo stato di diritto, i diritti umani, uguaglianza di genere e dichiara guerra alle donne”.

La decisione della Turchia di ritirarsi dalla Convenzione d’Istanbul “è un enorme passo indietro che compromette la protezione delle donne in Turchia, in Europa e anche oltre” ha dichiarato il segretario generale del Consiglio d’Europa, Marija Pejcinovic Buric.

Diversi leader europei inoltre hanno criticato il governo turco: “Non possiamo che rammaricarci fortemente ed esprimere la nostra incomprensione davanti alla decisione del governo turco”, ha detto l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea Josep Borrell.

Anche i portavoce dei governi di Francia e Germania hanno criticato la decisione.

 La prossima settimana è previsto un summit tra la Turchia e i rappresentanti dell’Unione Europea per discutere di vari temi, tra cui l’immigrazione e i rapporti tesi nel Mediterraneo orientale, e il ritiro dalla Convenzione di Istanbul rischia di diventare un altro argomento di scontro.

Ma lo scontro sarà inevitabile: gli Stati Europei non possono tollerare una politica di Erdogan che non ha fatto mistero della propria misoginia, sostenendo che le famiglie (ossia le donne) turche dovrebbero avere almeno tre figli, che le madri che lavorano anche durante la maternità delle “mezze persone”, e che “l’uguaglianza di genere è contro la natura umana”, mentre il governo contribuiva ad islamizzare la società laica imponendo l’obbligo del velo in alcuni contesti, portando avanti una propaganda ad hoc e finanziando scuole religiose.

Ogni anno, in Turchia, la situazione femminile peggiora, e proposte governative come quella di reintrodurre il matrimonio riparatore aggravano la situazione. La proposta prevede che chi è accusato di violenza sessuale contro un minore può evitare il carcere sposando la sua stessa vittima se quest’ultima ha meno di 18 anni e se la differenza di età tra i due non supera i 10 anni. Il disegno di legge non è stato ancora approvato grazie alle proteste popolari e alle critiche suscitate dalla comunità internazionale, ma l’esistenza stessa della legge e il voler introdurla nell’ordinamento dimostra chiaramente la posizione del Governo nei confronti della tutela delle donne e dei minori.

Non dimentichiamo anche che da quando è iniziata l’emergenza corona virus, restare a casa non è sicuro per tutti: il recente incremento degli episodi di violenza domestica a livello globale conferma ciò che in tante hanno denunciato fin dall’inizio della quarantena e ciò che sta accadendo in Turchia, dove i casi di violenza sulle donne hanno subito un brusco aumento con l’isolamento casalingo, ne costituisce ulteriore riscontro.

 Secondo le statistiche diffuse dal dipartimento di polizia di Istanbul, con la riduzione della circolazione iniziata nel mese di marzo si è registrato un calo dei reati su base annua del 14,5%, dai furti agli omicidi, ma al contempo un aumento delle segnalazioni relative a episodi di violenza domestica pari al 38,2%, passando da 1.804 a 2.493.

L’allarme è stato lanciato dalla piattaforma “We Will Stop Women’s Murder” formata da gruppi femministi e associazioni per i diritti delle donne: a partire dall’ 11 marzo 2020, data in cui le autorità turche hanno lanciato il primo appello generalizzato alla popolazione invitando tutti a restare a casa, sono state uccise fino a fine mese almeno 21 donne, più di una al giorno. Di queste, 14 sono state uccise tra le mura domestiche e 7 all’esterno, ma da persone a loro vicine come fidanzati o ex mariti. Durante l’intero mese di marzo, i femminicidi sono stati almeno 29, più altre 9 donne morte in situazioni poco chiare.

Siamo preoccupate”, ha dichiarato Tulin Oygur, presidente della Republican Women’s Association. “La chiusura causerà maggiori violenze contro le donne, ma anche contro i bambini”.  L’Ong ha dunque chiesto alle autorità l’adozione di misure mirate alla tutela per le donne e di intervenire, almeno legalmente, facendo ripartire le attività giudiziarie nei confronti di tali reati bloccate dallo scorso 13 marzo a causa del Covid-19 perché considerate “meno urgenti”.

Apriamo gli occhi dinanzi a questa intollerabile situazione e scendiamo accanto alle donne e sorelle turche!

Antonio Peragine

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