La donna etrusca

La donna etrusca

La donna etrusca era la più libera nelle società antiche: raffinata, elegante, indipendente, bellissima. Attraverso l’arte etrusca un affascinante viaggio nell’universo femminile etrusco.

Quando pensiamo allo stato della donna nelle civiltà antiche, nel nostro immaginario si profila la figura di una donna subalterna rispetto all’uomo, e il cui compito è soprattutto quello di curare le attività domestiche, o comunque di attendere a occupazioni tipicamente femminili. Non era così, invece, per la donna etrusca: nessun altra donna come quella etrusca godette di un grado tanto alto di emancipazionelibertà e autonomia. “Le donne etrusche”, ha scritto l’insigne studioso Jean-Paul Thuillier, “sapevano essere custodi del focolare”, ma allo stesso tempo erano in grado di “tenere a bada la folla di servi e domestici. Semplicemente, a differenza di Penelope e Andromaca, esse non si accontentavano di attendere pazientemente a casa il ritorno degli sposi, ma prendevano legittimamente parte a tutti i piaceri della vita”. L’alto livello di benessere economico della società etrusca fece sì che, già in età arcaica (dal sesto secolo avanti Cristo), il ruolo della donna avesse iniziato a subire delle modifiche: se prima le donne erano essenzialmente madri dedite alla cura della famiglia, a partire da quest’epoca cominciarono a “uscire” dalle mura domestiche per partecipare in maniera sempre più attiva alla vita pubblica. Ciò vale soprattutto per l’area dell’Etruria propriamente detta (Toscana, alto Lazio e Umbria), mentre nelle altre zone d’Italia occupate dagli etruschi questo processo di emancipazione assunse contorni decisamente più lenti: per tal ragione occorre evidenziare che è improprio parlare di donna etrusca tout-court: in questo articolo utilizzeremo dunque questa locuzione per riferici alla condizione della donna nell’Etruria tra il sesto e il quarto secolo avanti Cristo (epoca, quest’ultima, a partire dalla quale, a seguito degli accresciuti contatti con i greci prima e con i romani poi, si assisterà a una regressione della condizione sociale della donna).

Un primo aspetto importante delle donne etrusche consiste nel fatto che, come attestano numerose iscrizioni, erano dotate di nome proprio: al contrario, a Roma le donne venivano identificate esclusivamente con il nome della gens, ovvero della famiglia, alla quale appartenevano (Tullia, Iulia, Cornelia, e così via: nel caso in cui ci fossero due donne nella stessa famiglia, venivano indicate coi numerali, come primasecundatertia, oppure con gli aggettivi maior e minor se erano due). Solo a partire dalla tarda età repubblicana le donne romane avrebbero iniziato a far uso del cognomen (una sorta di soprannome). Sono sopravvissute molte attestazioni di nomi propri femminili delle donne etrusche: Velelia, Anthaia, Thania, Larthia, Tita, Nuzinai, Ramutha, Velthura, Thesathei. E sono proprio le iscrizioni rinvenute sugli oggetti a dirci molto sullo status della donna etrusca. Sappiamo dunque che le donne possedevano oggetti, sappiamo che erano in grado di leggere (su alcuni strumenti di uso quotidiano compaiono infatti indicazioni esplicative, magari per illustrare una scena decorativa, oppure dediche), e probabilmente in certi casi potevano anche essere titolari di attività commerciali. Un paio esempi: al Museo Gregoriano Etrusco, nei Musei Vaticani, è conservata un’olletta in bucchero (ovvero un piccolo recipiente che serviva per contenere alimenti: si veda l’articolo sulla cucina etrusca) dove si legge la scritta “mi ramuthas kansinaia”, ovvero “io sono di Ramutha Kansinai”, dove il proprietario del vaso, una donna, è identificata con nome e cognome. E al Louvre si trova invece una pisside, databile al 630 avanti Cristo circa, sulla quale è apposta l’iscrizione “Kusnailise”, che potrebbe essere tradotta con “nella bottega di Kusnai”, dove Kusnai (un nome da donna) è presumibilmente la proprietaria dell’attività commerciale.

Redazione

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