Africa: le suore del Buon Pastore accanto agli sfruttati del cobalto

Africa: le suore del Buon Pastore accanto agli sfruttati del cobalto

di Luca Attanasio

 La missione delle religiose si concentra in una piccola zona della Repubblica Democratica del Congo che, da sola, garantisce tra il 60 e il 70% del fabbisogno mondiale di cobalto. Da quando nel mondo si è deciso di puntare sulle automobili elettriche, è divenuta un polo di attrazione per tantissime multinazionali. Il tema del rispetto dei diritti umani è al centro di ogni attività delle suore del Buon Pastore, mentre nelle comunità minerarie artigianali si perpetua una serie infinita di abusi.“Fu il vescovo di Kolwezi a chiederci di venire qui nel 2012, preoccupato delle condizioni di vita della popolazione, in particolar modo dei bambini. Quando siamo arrivate per la prima volta, in giro c’era pochissima gente. Ma dove sono tutti? – chiedevamo. In miniera, a scavare”. Comincia così il racconto reso all’Agenzia Fides da suor Pascaline Mukebo, responsabile del “Progetto economic empowerment Bon Pasteur Kolwezi”, gestito dalle Suore di nostra Signora della carità del Buon Pastore. È la storia di un legame ormai indissolubile tra questa congregazione fondata in Francia nel 1835 da Santa Maria Euphrasia Pelletier e ora presente in una settantina di Paesi, e il “popolo del cobalto”, ovvero centinaia di migliaia di individui – almeno un terzo dei quali, bambini di età fino a 7 anni – sfruttati nelle miniere della provincia di Lualaba, ex Katanga, nella Repubblica Democratica del Congo.
La missione delle suore si concentra in questa piccola zona che da sola garantisce tra il 60 e il 70% del fabbisogno mondiale di cobalto e che negli ultimi anni, da quando nel mondo si è deciso di puntare sulle automobili elettriche che necessitano di almeno una decina di kg di questo materiale, è divenuta inevitabilmente un polo di sregolata attrazione per tantissime multinazionali. Per le compagnie che si snodano lungo tutta la filiera i profitti si sono letteralmente moltiplicati. Per la popolazione locale, invece, la situazione segna un drammatico ritorno a parametri da rivoluzione industriale, l’ennesimo esempio della maledizione delle risorse che trasformano molti Paesi africani, ricchissimi di materie prime e in grado di produrre fortune autoctone, in zone di emergenze umanitarie.
“All’inizio – racconta la religiosa – non capivamo cosa stesse succedendo, sembravano città fantasma. Poi ci siamo messe a studiare e abbiamo subito ideato un progetto per la protezione dei bambini. Di loro nessuno si prende cura, non possono permettersi di andare a scuola perché l’iscrizione costa troppo e sono costretti a lavorare per aiutare la famiglia. Ma il loro, così come quello dei loro padri o delle donne in genere, non è un lavoro è una schiavitù moderna. Se crollano i cunicoli in cui si infilano, non tornano a casa e nessuno se ne preoccupa. Abbiamo capito da subito che bisognava tirare fuori i bambini dalle miniere, insegnare a loro, le donne e gli uomini, quali sono i loro diritti e formarli a lavori alternativi. Abbiamo realizzato progetti specifici per le ragazze e le donne che da una parte prevedeno economic empowerment e formazione di impresa, dall’altra supporto psicologico per gli abusi subiti”.

Il tema del rispetto dei diritti umani è al centro di ogni attività delle religiose e degli operatori della Ong delle suore del Buon Pastore . E, in una situazione così deteriorata, i progetti messi in campo devono coprire moltissimi aspetti. “Nelle comunità minerarie artigianali di Kolwezi/Lualaba, si perpetua ormai da anni una serie infinita di abusi. Intanto la presenza di bambini, anche molto piccoli, nei siti minerari rappresenta una grave violazione dei diritti umani; a cascata, poi, il lavoro nei cunicoli porta i bambini a non frequentare la scuola, a fare uso di droghe, ad essere abusati sessualmente e sfruttati in vari modi. C’è poi un alto tasso di violenza sessuale contro le donne, e una diffusa discriminazione di genere. Noi registriamo inoltre una continua riscossione di tasse illegali nelle comunità minerarie da parte di uomini armati così come della polizia. Purtroppo non mancano neanche casi di mutilazione di organi a scopi feticisti per propiziare una buona ricerca di minerali. Dio ci ha benedetto con molte ricchezze che però l’avidità degli uomini ha trasformato in maledizioni. Non c’è rispetto per chi lavora duramente senza protezione, i salari sono ridicoli, tra i 3 e i 5 dollari al giorno, per i bambini anche meno. I minatori entrano scalzi, senza alcuna tutela né formazione, scavano a mani nude”.

La filiera che porta nelle nostre società energia pulita è in realtà molto sporca. A cominciare dalla aziende che si occupano dell’estrazione e della raffinazione, passando per i giganti cinesi o asiatici che si occupano della lavorazione, per finire ai grandi marchi automobilistici o dell’informatica, sono molte le zone d’ombra o gli snodi poco tracciabili. Se la situazione negli ultimi tempi sta in minima parte migliorando lo si deve al report ‘This is what we die for’ di Amnesty International, che nel 2016 ha fotografato il fenomeno e scoperchiato un enorme vaso di Pandora.
“Con Amnesty abbiamo aperto un canale di dialogo costante per trovare insieme strategie adeguate a far emergere il problema. Dopodiché, negli anni, abbiamo stabilito interlocuzioni dirette anche con i ministeri congolesi competenti nella lotta contro il lavoro minorile e per lo sviluppo sociale delle comunità. In particolare Il Ministero delle Miniere, il Ministero degli Affari Sociali e il Ministero di Giustizia. I problemi di cui abbiamo parlato fino ad ora, poi, si sono complicati a causa dell’arrivo anche in Congo del Covid-19. Le comunità minerarie vivono nell’ignoranza convinte che il virus non esista. Altri sostengono che il virus esiste ma altrove, non qui. I lavoratori delle miniere, inoltre, sono esposti a malattie respiratorie e tossi croniche dovute all’esposizione a polveri tossiche perché i cumuli dei detriti delle lavorazioni del minerale liberano frammenti che arrivano fin nelle case. Questa situazione di fragilità respiratoria espone le persone maggiormente al coronavirus. Vorrei inoltre segnalare atteggiamenti scorretti e non rispettosi della legalità soprattutto in alcune delle aziende minerarie straniere, come quelle cinesi, che, nel periodo della pandemia, hanno portato a licenziamenti ingiusti e senza preavviso dei lavoratori”.

Il lavoro capillare, la conoscenza profonda della realtà, la dialettica innescata tra Buon Pastore e le autorità politiche o le aziende, stanno portando molti frutti. Il più evidente è aver letteralmente tirato fuori dalla miniere 3000 bambini e averli inseriti nella scuola. Ma ci sono tantissimi altri riscontri che suore e operatori stanno ottenendo nelle comunità di Kolwezi. “Il nostro è un modello olistico – prosegue la suora – e integrato di progetti che comprendono il centro di protezione dell’infanzia, il centro per l’emancipazione economica delle ragazze e delle donne, le cooperative agricole per dare alternative di reddito e soddisfare il fabbisogno alimentare delle famiglie. Nei programmi vengono coinvolti tutti: bambini, giovani, le donne, gli uomini, le istituzioni statali e private, le organizzazioni sociali le scuole. In questo modo si crea un ciclo vitale per il cambiamento globale. Il lavoro insieme alle comunità artigianali minerarie stimola la consapevolezza attraverso la sensibilizzazione sui diritti umani, il diritto del lavoro, i codici minerari. Bon Pasteur Kolwezi fa parte di vari tavoli e partecipa a piattaforme internazionali come l’OCSE e negli anni ci siamo ritagliati potere di discussione per spingere le imprese minerarie e soprattutto le aziende che comprano e utilizzano cobalto, ad usare fornitori responsabili”.
Il lavoro che le suore e gli operatori svolgono è preziosissimo. Ma nei prossimi anni sarà decisivo creare consapevolezza attorno al fenomeno e suscitare risposte adeguate dalle compagnie e da chi ha il potere di cambiare le cose
“Crediamo che il ruolo dei giornalisti, degli operatori della comunicazione e degli esperti – conlude la religiosa – sia fondamentale. Possono fare molto attraverso i media e la loro esperienza al fine di sensibilizzare governi, aziende, fornitori e consumatori. L’esposizione mediatica della situazione e la continua indagine per verificare che le catene di fornitura siano pulite è la scommessa da vincere”

Luca Attanasio, giornalista.

Redazione

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