Radici . Una scelta per la vita nonostante tutto

Radici . Una scelta per la vita nonostante tutto

Di Daniela Piesco Vice Direttore

www.progetto-radici.it

Ph :Daniela Piesco


Difficile è spiegare il senso delle radici se si ha la presunzione di darne una connotazione oggettiva.Posso solo provare a dire cosa significano per me .

Ebbene mi sovviene alla mente l’immagine della tempesta :quando arriva una piena o un tornado, le radici, la loro profondità e forza, sono le uniche che sono in grado di salvarci .

Utilizzo questa metafora,come innanzi specificato, per esternare un mio pensiero :nei momenti di crisi, di ogni tipo, si vorrebbe tornare e lo si fa quando è possibile ,alle proprie radici.

Forse allla famiglia,forse ai genitori ,alla madre.

Forse a quell’aria, a quei profumi e a quegli odori della terra che ci ha generati.

Forse,ancora ,a qualcosa di forte che vive ancora dentro di noi .

L’immagine più significativa e imponente ,in tal senso, è quella dell’albero.

Gli alberi sono ,difatto, simboli della nostra cultura occidentale: due alberi sono posti al centro del giardino dell’Eden, l’albero ‘della vita’ e l’albero ‘della conoscenza del bene e del male’.

Nel medioevo, la scuola francescana ha letto quegli alberi primordiali in rapporto al legno della croce. È la bellissima tradizione teologica (San Bonaventura) e poi artistica (Ubertino da Casale) dell’arbor crucis, dove il Cristo veniva rappresentato crocifisso su di un albero fiorito e rigoglioso.

Il nuovo ‘albero della vita’, che da legno infelicissimo diventa il nuovo albero ‘felice’.

Alberi, radici, frutti,che per me vogliono significare un’unica cosa : comunicazione,interconnessione, interscambio,multiculturalita’ e valore della diversità.

Perché è proprio dall’albero e dalle radici che nasce la necessità del viaggio.

La mia mente è con i migranti africani, che si aggiungono ai profughi che vengono da Oriente e che si accalcano ai confini della Grecia;vorrei aiutarli nella loro fuga dalle guerre e dalla fame, ma più in generale da una mancanza di futuro. Da quel futuro che cercano in Europa: in un’Europa tutt’altro che felice, ancora attraversata da una forte crisi economica, sempre di più chiusa in se stessa e timorosa di perdere il benessere acquisito.

Allora mi domando e vi domando : le radici sono essenziali quando c’è la tempesta, ma durante gli incendi , le siccità e la guerra possono essere fatali?

Il mio pensiero è per tutti quei bambini, che addirittura in molti casi viaggiano da soli. Sanno fin dall’inizio ciò che rischiano: la fatica, la fame, le angherie e le botte dei trafficanti, la morte in mare. Ma la speranza è più forte della paura: è davvero una speranza oltre ogni speranza.

Pur di abbandonare una situazione senza via d’uscita, ogni cautela viene meno. È una scelta per la vita, nonostante tutto.

E mi appaiono più consapevoli della loro età e, insieme, più fragili.

Forse fanno proprio l’insegnamento dell’homo viator .

È questa l’anima ,infatti,che si ritrova nella famosa tesi di Ugo di San Vittore, uno dei padri della cultura europea, che sull’inizio del XII secolo così scriveva: «Chi trova dolce la sua patria è ancora immaturo (delicatus); più forte è chi sente ogni terra come la sua patria». E poi aggiunge: «Ma perfetto è soltanto colui che si sente esule in tutto il mondo».

Una tradizione incarnata anche nell’Ulisse dantesco, che una volta tornato a casa deve ripartire verso l’Oceano a occidente. «Né dolcezza di figlio, né la pieta del vecchio padre, né ’l debito amore lo qual dovea Penelopé far lieta» (Inferno, XXVI).

Una necessità ,quella,di andare oltre che complementa e completa il bisogno di radici (Itaca) dell’Ulisse omerico. Itaca e l’oltre, l’albero e il mare, la stabilitas loci dei monaci e il vagare degli ordini mendicanti. Continui radicamenti e nuovi sradicamenti, espirazione ed inspirazione, voglia di casa e bisogno di uscire per non restarvi imprigionati dalle sue consolazioni.

A partire dalla famiglia, che è buona comunità quando dà radici e, poi, aiuta i figli ad uscire di casa e formare altre case e altre comunità.

Mi appare ,dunque,non possibile e non realistico costruire muri,che vengono, prima aggirati poi abbattuti.

Ma non basta neppure, solamente, attuare politiche di aiuto allo sviluppo, certo meritorie, nelle parti più disagiate del mondo: è doveroso, porre fine a guerre che in buona parte vengono alimentate da chi con esse diventa sempre più ricco;è doveroso eliminare lo sfruttamento che, con la complicità di regimi corrotti, produce ricchezza per pochissimi e miseria per tutti gli altri.

Piuttosto agognerei a ‘radici’ europee, profonde, ricche, ramificate, intrecciate nella mia vita, cultura, letteratura, che mi raccontassero le storie infelici di individui senza radici, ma anche di radici senza comunità, o con comunità sbagliate e mortifere.

Come Cosimo, il barone rampante, che fugge dalle sue radici scegliendo di vivere sugli alberi, che non sono più immagine del radicamento ma della fuga.

Quando l’Europa ha opposto queste sue due anime co-essenziali e le ha considerate una nemica dell’altra, ha prodotto solo disumanesimi. Ha generato comunità dove i legami sono diventati lacci, dove il bisogno di radici si è tramutato in xenofobia, razzismi, nazionalismi, guerre fratricide.

O ha dato vita a individui dove il bisogno di uscire di casa e di mettersi in cammino è diventato solitudine nichilista di chi non ha né mete né ritorni.

Oggi vorrei ricordarmi e ricordare che le crisi generano sempre voglia di ritorno alle radici, ma dalla storia sappiamo che questi ritorni non sono stati sempre buoni ritorni. Il ritorno a casa dopo la seconda guerra mondiale ha generato si la Repubblica e autentici miracoli politici, sociali ed economici,ma allo stesso tempo , ha prodotto fascismi e poi altre guerre fratricide.

Bisognerebbe soffermarsi a riflettere sul ritorno a casa dopo questa crisi: un cattivo ritorno se si vorrà riscoprire radici nazionali che non siano anche europee e mediterranee.
E se si vorrà dimenticare che l’Europa è parte di un mondo più vasto, di cui siamo pure e prima cittadini.

Potrebbe essere diverso nel caso in cui la voglia di comunità sarà voglia di non costruire muri ma coraggio di gettare ponti,nel caso in cui la voglia di comunità si traduca in un bisogno di accoglienza e di integrazione

Le comunità più importanti ,mi pare,sono quelle dove ci ritroviamo senza averle scelte, dalle quali possiamo anche decidere di partire o fuggire, ma che ci formano e ci amano proprio perché più grandi delle nostre preferenze e gusti.Alle comunità non si chiede l’amicizia, né si dà, perché si chiede e si dà molto di più: le radici, e la voglia di spiccare il volo.

Piuttosto I migranti «sono un dono, non un problema», ha detto Francesco. E dobbiamo saper «chiedere perdono»

È a partire da qui che può realizzarsi non solo un’accoglienza vera, ma un’integrazione efficace, al contrario di ciò che è accaduto in altri Paesi. Ma per far questo ci vuole motivazione. E la motivazione viene solo dalla speranza. Per dar spazio alla speranza, in Europa, è necessario oggi accogliere e sostenere chi questa speranza la conserva e la porta con sé. Si tratta di una speranza vera, di uno slancio di apertura, di una disponibilità alla vita nonostante tutto.

È il dono, il dono prezioso, che ci viene dalle persone che possiamo oggi accogliere.

Daniela Piesco

Vice Direttore

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Redazione

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