Parla il vincitore delle elezioni a Pristina, Albin Kurti: favorevole ad unire Kosovo ed Albania

Parla il vincitore delle elezioni a Pristina, Albin Kurti: favorevole ad unire Kosovo ed Albania

Il vincitore delle ultime elezioni in Kosovo, Albin Kurti, 45 anni, leader di “Vetëvendosje” (VV – il Movimento per l’Autodeterminazione)   –   Diritti d’autore  Visar Kryeziu/Copyright 2021 The Associated Press. All rights reserved.

Se si dovesse tenesse un referendum sull’adesione del Kosovo all’Albania, lui – assieme a tutto il suo Paese – voterebbe sì.

A dirlo ad Euronews è Albin Kurti, leader dell’opposizione kosovara e fresco vincitore delle elezioni.

Nel weekend, il suo partito, Vetëvendosje (VV – il Movimento per l’Autodeterminazione) ha ottenuto il suo miglior risultato e dovrebbe poter riuscire a formare un governo di coalizione senza problemi.

In Kosovo, oltre il 90% degli abitanti (1,8 milioni) è di etnia albanese, e la prospettiva di un’unificazione tra le due nazioni riscuote molto consenso da ambo i lati della frontiera.

Vetëvendosje ha raddoppiato i consensi rispetto allo scorso anno. Oltre il 50% degli elettori kosovari ha scelto il partito di Kurti, nonostante al suo leader sia stato impedito di presentarsi capolista a causa di una condanna penale subita tre anni fa.

Le elezioni di domenica 14 febbraio hanno punito i due partiti che hanno dominato la politica locale dalla fine della guerra contro le forze serbe nel 1999: la Lega Democratica del Kosovo (LDK) e il Partito Democratico del Kosovo (PDK), che hanno ottenuto rispettivamente il 13% e il 17% delle preferenze.

Il risultato ha convinto Kurti che, nonostante gli eventi dello scorso anno, Vetëvendosje può ancora essere quella forza riformatrice in grado di combattere la corruzione dilagante, risollevare l’economia e affrontare la vecchia guardia della politica locale.

Ex studente finito in carcere negli anni ’90 per la sua attività con l’Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK), Kurti è finito sulle pagine dei giornali di tutto il mondo nel 2015, quando ha sprigionato gas lacrimogeno nel parlamento kosovaro per protestare contro un accordo di demarcazione dei confini con il vicino Montenegro.

Negli anni successivi, Vetëvendosje si è evoluto, passando da movimento sociale a vera e propria forza politica e attirando sia i voti dei giovani kosovari che quelli della diaspora.

Kurti torna ora al potere dopo un’esperienza come premier durata pochi mesi, nel 2020. Lo fa in un momento difficile per la giovane nazione, che ha dichiarato la sua indipendenza dalla Serbia nel 2008 (mai riconosciuta da Belgrado).

I colloqui per l’adesione alla UE sono subordinati proprio alla risoluzione della controversia diplomatica con la Serbia, con la quale il Kosovo ha combattuto un sanguinoso conflitto tra il 1998 e il 1999.

Il cammino verso il disgelo è più difficile da quando a Belgrado comanda Aleksandar Vucic. La base della destra nazionalista serba vorrebbe infatti concessioni territoriali da parte del Kosovo, se non il ritorno dell’intero territorio alla Serbia, ripristinando lo status quo di un secolo fa.

Kurti, dal canto suo, è molto più duro e concede meno aperture al dialogo con Belgrado rispetto ai predecessori. Proprio di questo ha parlato nel corso di un’intervista esclusiva con Euronews, aprendo alla possibilità di una federazione con l’Albania e del lungo cammino che porta all’ingresso nell’Unione Europea.

La sua vittoria alle elezioni di domenica è stata ancora più schiacciante del previsto. Ora avete bisogno di assicurarvi 61 voti in parlamento per governare, come pensate di farlo?

Abbiamo creato una coalizione pre-elettorale tra il movimento Vetëvendosje e la lista del presidente Vjosa Osmani. I voti sono ancora in fase di conteggio ma abbiamo, credo, superato la metà. Questo non si traduce automaticamente nei 61 deputati necessari per una maggioranza, per cui avremo bisogno di un paio di deputati della minoranza non serba. Penso che la cosa sia molto fattibile.

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Kurti durante un comizio a Pristina, il 4 febbraio scorsoVisar Kryeziu/Copyright 2021 The Associated Press. All rights reserved.

Anche se non lo fosse, avete escluso ogni ipotesi di coalizione con PDK e LDK.

PDK e LDK sono due fazioni dell’ancien regime, e la vittoria elettorale schiacciante che abbiamo avuto ci indica che dovremmo andare avanti con alcuni dei deputati delle comunità minoritarie. Il risultato del voto indica anche che questi due grandi e vecchi partiti (grandi fino a ieri, vecchi di sicuro) dovrebbero riformarsi al loro interno.

Abbiamo costruito la terza ondata di entusiasmo nella storia recente del nostro paese. La prima è arrivata nel 1999, con la liberazione. La seconda con l’indipendenza, nel 2008.

Ora vogliamo ottenere lavoro e giustizia. Vogliamo sostituire la migrazione dei giovani con l’occupazione, ma anche combattere la corruzione in seno agli apparati statali.

Anche se arrivasse a quota 61 deputati, dovrebbe comunque riuscire a far eleggere il presidente. In caso contrario, il suo governo cadrebbe e verrebbero indette nuove elezioni. Come affrontereste questa situazione?

Abbiamo intenzione di eleggere non solo il presidente della Camera, ma anche un nuovo governo e un nuovo presidente. Per farlo, abbiamo bisogno dei due terzi dei deputati. Penso che dopo questa vittoria schiacciante i numeri in aula ci siano, e ora la volontà popolare è nota.

Se avessero pianificato un boicottaggio, sono certo che le forze ora all’opposizione ci ripenserebbero, in quanto non farebbero altro che perdere ancor più sostegno. Non possono permettersi di andare ad elezioni anticipate. Se ciò accadesse, cosa che ritengo improbabile, nella prossima tornata elettorale sparirebbero del tutto.

Il suo ultimo mandato come premier è finito in piena pandemia di Covid-19. Cosa farà per prima cosa, per affrontare l’emergenza sanitaria?

Abbiamo intenzione di iniziare a stanziare fondi adeguati per la vaccinazione e un programma di priorità per i gruppi sociali che dovrebbero essere vaccinati per primi. Vogliamo avere il 60% della popolazione vaccinata entro quest’anno, in collaborazione con la UE.

Quando ho lasciato il mio incarico, il 3 giugno dell’anno scorso, avevamo solo 30 morti e il numero di persone curate era tre volte e mezzo superiore rispetto ai casi attivi. Da allora, abbiamo contato più di millecinquecento morti in Kosovo.

Accetterete vaccini dalla Serbia come ha fatto la Macedonia del Nord?

Abbiamo intenzione di discutere la questione con i nostri partner, con i Paesi che ci hanno riconosciuto ed in particolare con la UE.

È un no ai vaccini dalla Serbia?

No, non riceveremo i vaccini dalla Serbia, che li riceve a sua volta da Russia e Cina. Sia in termini di valori che di interessi, il nostro orientamento è sempre stato verso l’Occidente.

Potrebbe essere visto come un modo per costruire dei ponti diplomatici verso Belgrado.

Non vogliamo sostituire UE e USA con qualsiavoglia potenza orientale non democratica: è stato dimostrato che non c’è certezza sulla qualità [del rapporto che si verrebbe ad instaurara], e dall’altro lato ci sarebbero sempre dei vincoli sotto forma di giochi geopolitici.

Ha affermato che il suo governo chiederà lo status di candidato all’Unione Europea. Tuttavia, Bruxelles ha detto ripetutamente che l’ingresso del Kosovo dipende alla ripresa del dialogo tra Belgrado e Pristina. Ha intenzione di riavviarlo?

Penso che la Serbia dovrebbe affrontare il proprio passato. Hanno causato quattro guerre nell’ex Jugoslavia e sembra che non abbiano nessun rimpianto, non hanno fatto ammenda.

È importante che in Serbia cambi il modo di vedere il Kosovo.

Sono pronto a impegnarmi in un dialogo quando è il popolo a beneficiarne. Ma penso che non sia accettabile per nessuno, in Kosovo – incluso me stesso – impegnarsi in un dialogo in cui si suppone che debba essere il Kosovo a compensare la Serbia per la perdita territoriale avvenuta ai tempi di Milosevic. La Serbia ha commesso un genocidio, qui in Kosovo.

Non dobbiamo leggere libri di storia o ascoltare i nostri nonni. L’abbiamo vissuto. Penso che sia molto importante affrontare la lentezza e la negazione della giustizia per i fatti del passato, così da avere pace, sicurezza, riconciliazione e stabilità a lungo termine.

Vuole ancora scuse complete, oltre al riconoscimento e al risarcimento da parte della Serbia?

É necessario. Cos’altro potrebbe fare la Serbia, cercare di attaccarci di nuovo? Dovrebbero prendere le distanze dalla Federazione Russa e dalla Cina, e dovrebbero cercare di farlo il più velocemente possibile. Devono liberarsi dal Kosovo.

Noi abbiamo liberato il Kosovo dalla Serbia. Penso che la Serbia dovrebbe liberarsi dal Kosovo.

Come si può ottenere riconciliazione tra serbi e kosovari in Kosovo?

Non è necessaria una riconciliazione con i serbi in Kosovo perché non abbiamo combattuto contro di loro. Abbiamo combattuto contro Belgrado, che era contro di noi e ha commesso un genocidio nella primavera del 1999. Per questo abbiamo bisogno che la Serbia affronti il suo passato, che si guardi allo specchio invece di guardare il Kosovo con un binocolo militare.

Abbiamo bisogno che riconosca la nostra indipendenza e che mostri qualche rimpianto per i crimini commessi dal regime. Penso che la Serbia abbia bisogno di un Charles de Gaulle serbo che dica, proprio come disse Charles de Gaulle: “La Francia è grande anche senza l’Algeria”. Allo stesso modo, la Serbia è grande senza il Kosovo.

Lei è stato descritto come un nazionalista, anche se di sinistra. Le piace questa definizione?

Sono un socialdemocratico e se vedete qualche tratto nazionalista in me, esso viene dalla storia del Kosovo ed è di carattere anticoloniale, di liberazione. Per raggiungere l’uguaglianza tra persone e nazioni, non per dominare qualcun altro.

Potremmo dire che Charles de Gaulle, Marine Le Pen e Franz Fanon sono tutti e tre nazionalisti, ma sarebbe un grosso errore metterli tutti e tre nello stesso gruppo.

Una volta ha detto che sosterrebbe una grande unione con l’Albania, è ancora così?

Noi crediamo nel rafforzamento dello stato del Kosovo come repubblica sovrana e indipendente. Nella nostra costituzione l’articolo 1.1 è in contraddizione con l’articolo 1.3: il primo dice che il Kosovo è un paese sovrano e indipendente, mentre il secondo afferma che il Kosovo non può unirsi ad un altro paese.

Credo che la piena indipendenza implichi anche l’indipendenza dall’indipendenza, quindi potremmo unirci ad una federazione con l’Albania o a una federazione europea.

Due referendum in futuro potrebbero risolvere la questione, in Albania e in Kosovo, ma mai violando la nostra costituzione. La costituzione dovrebbe prima essere cambiata, e solo se si potrà farlo un giorno in modo pacifico e democratico.

Come votereste a questo ipotetico referendum?

Una volta che avremo un rafforzamento dello stato in Kosovo… e una volta che potremo farlo in modo pacifico e democratico… penso che voterei sì.

Ha un messaggio per l’Europa?

L’Europa dovrebbe riformare se stessa, non solo nel suo obiettivo di allargamento ad altri Paesi.

I sei Balcani occidentali e la UE sono molto importanti l’uno per l’altro. Penso che con i sei Stati dei Balcani occidentali, Bruxelles raggiungerebbe una congruenza con l’Europa come continente. Non dovremmo mai dimenticarlo.

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Antonio Peragine

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