Import-Export di vino italiano negli Usa: l’esperienza di Alexi Cashen

Import-Export di vino italiano negli Usa: l’esperienza di Alexi Cashen

Di Gaia Mariani

NEW YORK“I rapporti di import-export tra l’Europa e gli Stati Uniti sono da sempre uno dei pilastri portanti dei mercati di entrambe le unioni. Messi a dura prova durante l’amministrazione Trump, ma rinnovati costantemente ogni anno, anche durante i tempi più duri di pandemia, i rapporti commerciali tra gli USA e l’Europa restano saldi e forse, con la nuova amministrazione Biden, valorizzati anche più di prima”. Inizia così l’intervista che Gaia Mariani ha realizzato ad Alexi Cashen per “La Voce di New York”, quotidiano online italiano operante nella Grande Mela e diretto da Stefano Vaccara.
“Per l’Italia la vendita di prodotti enogastronomici in America è sempre stato uno dei mercati traino dell’economia se si pensa che circa il 32% di vino italiano viene esportato ogni anno in America e rappresenta solo una piccola fetta della produzione di beni enogastronomici nostrani.
Nel frattempo il mercato degli alcolici italiani cresce e cresce anche il loro consumo in patria e all’estero. È per questo motivo che nascono nuove soluzioni per agevolare il processo di scambio tra l’Italia e gli Stati Uniti che da soli acquistano circa 35 miliardi di euro in merci italiane ogni anno, 41 miliardi se consideriamo il valore in dollari.
Per saperne di più abbiamo intervistato Alexi Cashen, conduttrice del suo podcast a tema Vino&Spirits e donna imprenditrice che ha lanciato uno tra i più innovativi servizi di import di vino e liquori nel mercato americano.
Alexi Cashen è un’imprenditrice di San Francisco che, con la sua compagnia Elenteny Imports, ha realizzato un nuovo format di import di vino ed alcolici in America che segue il cliente dalla fase di spedizione dei prodotti fino al loro immagazzinamento e in alcuni casi anche fino alla distribuzione in modo da rendere il processo di esportazione più veloce, personalizzato ed organico.
Alexi, voglio porti alcune domande sull’import-export dei vini italiani in America ma forse prima puoi dirci di più su di te e sul tuo business, sui prodotti che importi negli USA e sulla tua “seconda vita” come podcaster. Pensi che queste due parti della tua vita siano ben integrate tra loro o preferisci tenerle separate?
“Grazie Gaia, quello della Elenteny Imports è un grande business iniziato 10 anni fa ed è semplicemente cresciuto negli anni. Diamo un servizio molto prezioso ai diversi brands, cantine e importatori che ci scelgono ed è molto bello rimanere fedeli alla nostra missione. Sin dall’inizio infatti abbiamo voluto mettere in piedi un business che si sarebbe potuto evolvere nel tempo e diventare molto competitivo nel settore dell’import-export di alcolici. Quando abbiamo iniziato c’era ancora poca competizione, circa 5 compagnie davano servizi simili al nostro, ma sapevamo che saremmo potuti crescere e ci è sembrata davvero un’opportunità unica di business quella di poter competere in una piccola fetta che si sarebbe poi allargata. Sono stata CEO di questo business dai suoi inizi ed ho davvero apprezzato il modo in cui la nostra compagnia è cresciuta negli anni, è un vantaggio avere una visione così ampia del settore in cui lavoriamo. Infatti, quando ho iniziato il mio podcast avevo così tante storie raccolte negli anni ed avevo anche esperienza nel campo così ho deciso di condividere questi racconti attraverso un podcast. Direi quindi che queste due parti della mia vita sono davvero molto integrate, è un progetto eccitante ed è stato anche molto divertente per me perché l’ho iniziato nel 2020. È stata una salvezza avere questo progetto creativo su cui focalizzarmi durante la pandemia, mi ha dato la possibilità di guardare avanti a qualcosa che può crescere e qualcosa di nuovo da costruire, è stata una bella distrazione.”
Iniziative imprenditoriali come quella di Alexi Cashen rispecchiano un nuovo trend che smuove le trame dell’ormai obsoleto sistema americano di vendita basato sui tre livelli di produzione, importazione e distribuzione, chiamato three-tier system, che spesso rallenta gli scambi e rende poco agile la vendita di vino ed alcolici ad un prezzo anche molto alto al consumatore. Negli Stati Uniti infatti non è scontato che ci si possa affidare ad un attore unico sul territorio che si occupi della logistica di spedizione, lo sdoganamento e la parte normativo amministrativa, l’immagazzinamento, fino alla veicolazione del prodotto verso grossisti e retailers.
“Nel nostro circuito diamo maggiore flessibilità mentre altri importatori tradizionali rendono davvero complicato il controllo sul proprio brand da parte del produttore, molti servizi di import-export prendono tutte le decisioni in termini di mercato mentre noi semplicemente forniamo una piattaforma basica e il cliente, se vuole, può inserire il proprio distributore e fare tutte le sue libere scelte anche in termini di libera gestione delle proprie risorse economiche.” Aggiunge Alexi.
Ci giunge voce che il tuo podcast è dedicato specialmente alle donne del vino e dell’industria degli alcolici. A volte è difficile essere una donna che lavora in questo settore e lo so bene, ma questo ruolo sembra davvero calzarti, immagino sia una vera e propria passione anche per te. Posso chiederti quando è nata questa passione e come si è evoluta?
“Bella domanda! Nel mio podcast cerco e trovo tante donne differenti che lavorano nell’industria del vino ma non do spazio solo a loro nello show, anche se devo dire che ho una vera passione per le donne in generale in termini di imprenditoria e business. Ad esempio, le statistiche negli USA dicono che più del 50% dei business americani sono condotti da donne ma che meno dell’1% supera il milione in termini di valore economico. Questo per me è davvero un grande squilibrio, mi riferisco ovviamente al fatto che la maggior parte degli imprenditori in America sono donne ma la maggioranza dei premi e profitti vengono assegnati agli uomini, per non parlare dello squilibrio economico che mi sono davvero sforzata di superare in qualità di donna leader di me stessa. Sono molto legata a questo tema in generale, ho avuto il grande piacere di intervistare nel mio podcast Rania Zayyat, una delle fantastiche donne del vino, e lei è davvero focalizzata sulle donne che lavorano in questo settore. È stato a volte problematico per noi donne, a causa del nostro genere, lavorare nell’industria prettamente maschile di vino e liquori, c’è anche stato un forte me too movement nel settore! Sono cose a cui dobbiamo fare attenzione tutti e apprezzo davvero tanto di essere una voce forte in questa narrativa”.
Quali sono le principali Nazioni con cui lavora la tua azienda? E poi, focalizzandoci sull’Italia, come sta andando il commercio tra l’Italia e gli Stati Uniti; come sta rispondendo il mercato a questa nuova ondata pandemica? Ormai sappiamo come è andata lo scorso anno durante la prima ondata ma è difficile prevedere cosa succederà nei prossimi mesi, puoi dirci che idea ti sei fatta?
“In Europa importiamo maggiormente dall’Italia, Francia, Germania, Spagna, Austria, Portogallo ma anche da Cile, Argentina, Nuova Zelanda, Australia… a volte abbiamo avuto anche containers dalla Georgia. La nostra relazione con l’Italia è stata solida dall’inizio, proprio i primi clienti con cui abbiamo lavorato circa 10 anni fa erano cantine italiane, Paitin in Piemonte e anche Felsina in Toscana, sono state davvero le prime due cantine con cui abbiamo collaborato ed è cresciuto da lì il nostro rapporto con l’Italia. La pandemia ovviamente sta mettendo tutti a dura prova e ci sono stati grandi cambiamenti non solo nei rapporti con l’Italia ma ovunque con tagli da tutte le parti. È stato causato tutto dalla pandemia ma ci tengo a dire che i miei clienti, nonostante tutto, stanno crescendo, sono sopra del 20-30% rispetto al 2019 che è un dato incoraggiante. Vorrei anche sottolineare però che i vini italiani non hanno sofferto dei dazi imposti dall’amministrazione Trump, questo li ha addirittura aiutati a salire nel mercato americano perché moltissimi importatori adesso si focalizzano proprio su questi prodotti a cui non sono stati applicati i nuovi dazi”.
E aggiunge “Negli Stati Uniti la vendita di prodotti alcolici ai ristoranti rappresenta circa il 50% dei ricavi. Le persone stanno bevendo, bevono a casa e c’è ancora una forte vendita al privato. L’intero mercato degli alcolici non è crollato o scomparso e sono grata per questo ma è stato davvero molto difficile venirne fuori per le imprese legate ai ristoranti e al settore dell’ospitalità. Tutt’ora, le altre maggiori difficoltà che affrontiamo sono i dazi sul vino. Dopo che Trump ha alzato i dazi al 25% sul vino importato da molte delle Nazioni Europee c’è stato un gigantesco impatto sul mio business che è giù di circa il 30% dei volumi. Parte di questo è potenzialmente dovuto alla pandemia ma prima della pandemia, quando questi dazi si sono alzati in ottobre del 2019, il business è crollato del 30% immediatamente quindi è difficile da dire quanto realmente questa recessione sia direttamente collegata alla pandemia e quanto ai dazi”.
Visto che hai introdotto il discorso, dicci di più su quali sono state le difficoltà nell’importare prodotti alcolici europei durante l’amministrazione Trump, ma anche su eventuali agevolazioni, se ce ne sono state. Credi che con la nuova amministrazione Biden diventerà tutto più semplice e che i rapporti commerciali con l’Europa saranno agevolati?
“L’amministrazione precedente ci ha messo alla prova per una grande quantità di ragioni, alcune buone e alcune cattive. La prima cosa che l’amministrazione Trump ha implementato è stato il Craft Beverage Modernization Act o CBMA. È stato un atto che ha permesso agli importatori dall’America di avere una riduzione delle tasse sui contributi che paghiamo. Questa è stata una cosa buona, la riduzione in queste tasse, però il processo per poter ottenere effettivamente questa riduzione è stato molto più complesso. Ad esempio, la mia compagnia ha dovuto fare degli investimenti ingenti in altre risorse semplicemente per avere accesso a questa riduzione. Quindi sì, è stata una cosa buona, ma è stato un processo contorto ed anche un pò “sfortunato”. Spero che l’amministrazione Biden continuerà con il CBMA ma spero che possano migliorarne il processo di ottenimento. Riguardo ai dazi questi sono stati assolutamente terrificanti. La mia compagnia in particolare ha pagato più di 6 milioni di dollari in dazi sul vino al Governo americano, questa cifra per un piccolo business può direttamente alla fine. Il peggio di questi dazi in America è che, come già saprai, vige il “three-tier system”. A causa delle costrizioni di questo sistema, legalmente, le uniche persone che possono comprare e rivendere vino in America sono imprese americane e ci sono tre di queste categorie: gli importatori, i distributori e i retailers. I dazi quindi non sono solo un problema per le compagnie europee che, diciamocela tutta, se non vendono in America possono vendere in Cina o in altri Paesi del mondo, questi dazi sono un grande problema anche e soprattutto per le imprese americane. Sono molto attiva su questo tema in particolare ed ho collaborato con la US WTA (Wine Trade Alliance), un’organizzazione nata quest’estate, stiamo lavorando duramente per sradicare i dazi sui vini europei. Specialmente adesso durante una pandemia i dazi non fanno altro che appesantire questi tempi, bisogna perciò cambiare e fare in modo che l’amministrazione Biden porrà attenzione a questo argomento il più presto possibile

Redazione

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