10 febbraio e foibe: i nostri ricordi

10 febbraio e foibe: i nostri ricordi
Anche quest’anno, si assiste alla discesa in campo dei “revisionisti” e dei “negazionisti”, in armi contro chi osa ricordare.

Claudio Antonelli 

La foiba di Pisino, in Istria, che fece parte dell’Italia dal 1920 al 1947 / Michael J. Zirbes (Mijozi), CC BY 3.0 , via Wikimedia Commons

Anche quest’anno, in occasione del Giorno del Ricordo (10 febbraio), commemorante il dramma dei Dalmati, Istriani, Fiumani, venuti via dalla propria terra natale per sfuggire alle violenze slavo-comuniste, si assiste alla discesa in campo dei “revisionisti” e dei “negazionisti”, in armi contro chi osa ricordare.  Il poeta ultracentenario Boris Pahor, attivista antitaliano e nazionalista Sloveno che vive al calduccio nella comoda Trieste, ha reiterato la propria indignazione per “la bugia delle foibe”. La scorsa estate, poco prima di ricevere la massima onorificenza dalle mani di Mattarella, aveva sentenziato: “Le foibe sono tutta una balla.”   Un certo Eric Gobetti ha presentato un suo libro, ampiamente pubblicizzato, in cui gli imputati siamo noi Italiani di quelle terre, ieri “fascisti” e vera causa delle foibe, e oggi troppo nazionalisti.  Altri sono intervenuti o interverranno per spiegarci la verità su ciò che i nostri genitori e i nostri nonni, e in alcuni casi noi stessi, vedemmo, vivemmo, subimmo. Evidentemente noi ricordiamo male…  

Giampaolo Pansa, che già da ragazzo era stato testimone di certe pagine buie di storia, e che al termine della sua carriera osò ricordare il “sangue dei vinti”, fu rimosso dal club della nomenklatura dello Stivale, custode del pensiero unico. L’ umanissimo e geniale Simone Cristicchi, che fino a poco prima era considerato un “compagno”, fu etichettato come “fascista” per aver osato dar voce, in teatro, con “Magazzino 18”, alle vittime innocenti del carnaio balcanico.  

Immaginate cosa si racconterebbe di noi in Italia se non ci fossero le testimonianze di personaggi celebri come Benvenuti, Endrigo, Andretti, Luxardo, Pamich, Missoni… E se non ci fosse un gran numero di scritti di testimoni diretti di quei giorni infami. Nidia Cernecca ha ricordato: “Gli slavi torturarono a morte mio padre. Non contenti, lo decapitarono per estrargli due denti d’oro. E poi, per sfregio, con la sua testa ci giocarono a palla, sui binari del treno. La sua ‘colpa’? Era italiano”. Io ho avuto uno zio infoibato…

Ma nella patria degli odi civili, la logica binaria del campo di calcio è incisa nel Dna nazionale. E i custodi della verità ufficiale dell’“Italia nata dalla Resistenza” scendono ogni volta in campo contro la squadra avversaria, composta di gente che non prova altro che un normale sentimento di amor patrio e vuole ricordare i propri morti e onorare i padri. Gente pacifica, che non ha mai espresso atti di violenza e che non nutre sogni di riconquista, e rispetta la dignità dei suoi avversari ex Jugoslavi e sa che nelle foibe di Tito finì anche un alto  numero di Slavi anticomunisti (vedi: “Slovenia. Anche noi siamo morti per la Patria”). 

Con il disfacimento nel sangue della Jugoslavia (1991), i nostri vicini dell’Est hanno avuto modo di riproporre alle platee mondiali le specialità balcaniche delle carneficine e delle fosse comuni. Con i riflettori dei mass media puntati questa volta su di loro, e non nel silenzio e nell’indifferenza come fu invece per noi. Ma neppure la sanguinosa esplosione d’odio tribale scatenatosi tra gli ex urlatori di “Morte al fascismo e libertà ai popoli!”, con cui per decenni la nostra classe politica aveva tenuto la posizione supina per facilitare i “rapporti di buon vicinato” (rinunciando anche alla Zona B), è riuscita a scuotere le certezze e ad attenuare gli odi civili nei cultori del sentimento antinazionale, di cui l’Italia è ricolma. 

Nel Bel Paese gli ex comunisti utili idioti tengono ancora banco. Alcuni di loro sono al governo. Cosa volete, i nostri “convertiti” sono orgogliosi di aver creduto nel comunismo, e si sentono moralmente superiori a chi invece non ha avuto bisogno del crollo del muro, né dell’ordine “rompete le righe!” impartito dagli ammaestratori, per capire la tragica verità di quell’oscena menzogna. Bastava attraversare il confine.  

Quel confine che io con i miei genitori e tanti di noi attraversammo, un fatidico giorno, in senso contrario… 

Claudio Antonelli (Montréal) 

Redazione

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