Nel 2020 sono morte oltre 700 mila persone in Italia

Nel 2020 sono morte oltre 700 mila persone in Italia

L’effetto Covid è certificato dai numeri dell’Istat. Per la prima volta in 150 anni i nati potrebbero restare sotto la soglia dei 400 mila. Giù anche i matrimoni 

Istat Covid morti matrimoni nati 

Il passaggio oltre i 700 mila morti nel 2020 “appare pressochè certo ed è la risultante di un conteggio che aggiunge ai 665 mila decessi stimati, via Anpr (l’Anagrafe nazionale della popolazione residente, ndr), a tutto novembre, altri 62 mila casi attribuibili al mese di dicembre”. E’ quanto sottolinea il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, in un contributo pubblicato sul sito dell’istituto, “Primi riscontri e riflessioni sul bilancio demografico del 2020” (bilancio che sarà reso disponibile a breve).

“Ciò – scrive Blangiardo – porta a prospettare un totale di 726 mila decessi su base annua, che corrispondono a una media giornaliera di 1.990 casi nel 2020. Con un aumento di 223 unità, rispetto al quinquennio precedente, che si allinea al dato ufficiale delle circa 200 persone mediamente decedute ogni giorno in corso d’anno per Covid-19 (valore che sale a 250 casi se si restringe l’intervallo al periodo 20 febbraio-31 dicembre 2020)”. Nell’arco degli ultimi cent’anni il tetto dei 700 mila decessi era stato superato solo nel 1920 e nel pieno del secondo conflitto mondiale. Anche sul piano territoriale, proprio in conseguenza della pandemia, la quota dei decessi si è “modificata radicalmente.

Al nord la crescita più alta di vittime

Se prima del 2020 le tre grandi ripartizioni, Nord, Centro e Mezzogiorno, accentravano rispettivamente il 47%, 20% e 33% del totale dei morti in Italia, nel 2020 il Nord si è accresciuto di quasi 4 punti percentuali, raggiungendo la metà del totale nazionale (50,5%), mentre il Centro ha perso 1,3 punti e il Mezzogiorno ne ha persi 2,4″. Se, come sembra verosimile, il numero dei nati dovesse scendere sotto le 400 mila unità, per la prima volta in 150 anni di unità nazionale, il valore negativo del saldo naturale supererebbe le 300 mila unità. “un risultato che, nella storia del nostro Paese, si era visto unicamente nel 1918, allorchè l’epidemia di ‘spagnola’ contribuì a determinare circa metà degli 1,3 milioni dei decessi registrati in quel catastrofico anno”.

I nati sotto i 400 mila

Per la prima volta in 150 anni di unità nazionale i nati potrebbero restare sotto la soglia dei 400 mila. “Già le risultanze del periodo gennaio-agosto 2020, ossia gli esiti dei concepimenti orientativamente avvenuti – senza alcuna influenza di Covid-19 – nel periodo che va da aprile a novembre del 2019, testimoniano un calo di nati del 2,3%”, osserva Blangiardo: “tale andamento, se mantenuto per il successivo bimestre settembre-ottobre, ancora legato a concepimenti del tutto Covid-free, porterebbe il totale dei nati nei primi dieci mesi del 2020 a 343 mila unità.

L’incognita per la redazione del bilancio annuo è dunque rappresentata dai nati di novembre e dicembre, due mesi che nel precedente quinquennio hanno registrato mediamente 36.665 e 38.594 nati, rispettivamente, ma con una tendenza regressiva che li ha portati a 34.084 e a 34.769 casi nel 2019. Se solo sommassimo questi due ultimi valori alle 343 mila unità di cui si è detto si arriverebbe a 412 mila nati, ma ciò non terrebbe conto realisticamente dei primi effetti di Covid-19 sul livello di fecondità della popolazione”.

Secondo il presidente dell’Istat, “non va dimenticato che dicembre 2020 si colloca a distanza di nove mesi dalla drammatica comparsa della pandemia, ed è verosimile immaginare che, così come accadde per la caduta delle nascite al tempo della grande paura per la nube tossica di Chernobyl, anche in questa circostanza ci siano stati frequenti rinvii nelle scelte riproduttive. In ultima analisi, nel 2020 è legittimo aspettarsi un sensibile calo di nascite nel mese di dicembre, con qualche primo debole segnale già a novembre, per via dei concepimenti nella seconda metà di febbraio e/o degli eventuali parti pretermine”.

Un valido indizio in tal senso sarebbe fornito da un resoconto provvisorio su un insieme di 15 grandi città per le quali si ha la disponibilità di un dato anagrafico completo e attendibile per l’intero 2020. Nell’ambito di tale insieme, che aggrega circa 6 milioni di residenti e ha dato luogo nel 2019 al 10,6% dei nati in Italia, “la frequenza di eventi nel corso del 2020 è diminuita mediamente del 5,21%. Un valore che è tuttavia la risultante di dinamiche ben distinte in corso d’anno: si ha infatti un calo medio del 3,25% nel complesso dei primi dieci mesi, che poi sale all’8,21% in corrispondenza del mese di novembre e raggiunge il 21,63% in quello di dicembre”.

“In conclusione – osserva Blangiardo – se dovessimo riprodurre tale comportamento su base nazionale arriveremmo a conteggiare da un minimo di 398 mila nati – applicando il -5,21% al dato annuo del 2019 – a un massimo di 402 unità mila, limitandoci a estrapolare unicamente l’effetto osservato nel bimestre novembre-dicembre. Saremmo per l’appunto – seppur poco al di sotto o poco al di sopra – a un passo dalla inviolata soglia dei 400 mila nati annui”.

Dimezzati i matrimoni, i religiosi sono calati del 69%

Scendono anche i dati sulla nuzialità. Disponibili in via provvisoria per il periodo gennaio-ottobre, segnalano “per il 2020 circa 85 mila matrimoni, a fronte dei 170 mila nei primi dieci mesi del 2019 e dei 182 mila nello stesso intervallo del 2018”, dice Blangiardo. “La variazione negativa del numero di matrimoni – spiega Blangiardo – è nel complesso del 50,3% rispetto al 2019 e a parità di periodo ma il calo raggiunge la punta del 69,6% se ci si limita a quelli religiosi. Questi ultimi rappresentavano il 49,5% del totale delle unioni nei primi dieci mesi del 2019 (erano il 51,8% nello stesso periodo del 2018) e sono scesi al 30,3% nel 2020”.

A livello territoriale la caduta più consistente ha riguardato il Mezzogiorno, “dove ha agito in modo significativo il forte ridimensionamento delle unioni religiose, il corrispondente tasso di nuzialità si è ridotto sino a mantenere nel Sud circa un quarto del valore che aveva nel 2019 e nelle Isole circa un terzo. Il calo della nuzialità appare, oltre che intenso, anche assai generalizzato così che, stante la persistente diffusione delle nascite provenienti da coppie coniugate (pari a due terzi del totale secondo i dati del 2019), sembra legittimo aspettarsi, pressochè ovunque, un fattore aggiuntivo negli scenari di ulteriore caduta della natalità che potrebbero caratterizzare l’immediato futuro”.

“D’altra parte – conclude Blangiardo – se è vero che la nascita di un primogenito, che ha riguardato il 47,8% degli eventi registrati nel 2019, ha come presupposto – non esclusivo ma certamente qualificante – una scelta di genitorialità maturata entro un rapporto di coppia stabile, viene naturale chiedersi come si potrà diluire/recuperare nel tempo questo brusco punto di rottura introdotto da Covid-19 nell’avvicendamento delle coorti matrimoniali”.

Redazione

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