EDIFICIO ICONICO DEL FORO ITALICO, IL PALAZZO DELLA FARNESINA HA AVUTO UNA GENESI TORMENTATA: BASTI PENSARE CHE IL CONCORSO PER LA SUA REALIZZAZIONE FU VINTO NEL 1937 E CHE IL COMPLETAMENTO RISALE SOLTANTO AL 1959. MA I RISULTATI FURONO SENZA DUBBIO NOTEVOLI.

 

La vicenda architettonica della sede del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, in piazzale della Farnesina a Roma, si intreccia con la complessa storia del Palazzo del Littorio, l’edificio che avrebbero dovuto ospitare, nel cuore della Capitale, tutti gli organismi del Partito Nazionale Fascista.

 

UN CONCORSO IN DUE FASI

Risale al dicembre 1933 la pubblicazione del bando del concorso di primo grado per la costruzione del Palazzo. Furono oltre cento i progetti sottoposti all’attenzione della giuria e accesero il dibattito fra gli addetti del settore, sia in relazione al sito individuato, nell’attuale via dei Fori imperiali e, dunque, a distanza ridotta dal Colosseo, sia in merito all’identità della nuova architettura e ai valori simbolici a essa associati.
Solo quattro anni più tardi, in un clima politico e sociale mutato, il tema fu di nuovo affrontato. Uscì infatti nell’aprile 1937 il concorso di secondo grado per la Casa Littoria, nel quale a essere abbandonate furono la precedente denominazione di “Palazzo” e l’area di intervento della prima fase. Vennero inoltre esplicitate le peculiarità stilistiche del nuovo edificio, che avrebbe dovuto possedere riferimenti chiari alla “romana monumentalità” e alle “nobili tradizioni della grande arte italiana”.

PRO E CONTRO IL PROGETTO VINCITORE

A vincere il concorso fu il progetto sviluppato dagli architetti Enrico Del DebbioArnaldo Foschini e Vittorio Morpurgo, sul quale nell’ottobre 1937 si espressero favorevolmente il Segretario del Partito Nazionale Fascista e una commissione di esperti, di sua nomina, che includeva Gustavo Giovannoni, Giovanni Muzio e Pietro Aschieri.
Nell’aggiudicazione si rivelò significativo l’appoggio di Marcello Piacentini, che, pubblicandolo sulla sua rivista, presentò l’edificio come “italianissimo veramente nella recisa orizzontalità, nella ripetizione logica del motivo prescelto. […] Sono i nostri bei facciatoni romani che torniamo a sentire: quelli del Palazzo Farnese, del Palazzo Laterano, del Palazzo Ruspoli e, fuori di Roma, del Palazzo Pitti, dei Palazzi Reali di Napoli e di Caserta, e di cento altri”.
Di opposto tenore il commento di Giuseppe Pagano dalle colonne di Casabella del febbraio 1938, che oltre a esprimersi in termini di “convenzionale educazione scolastica”, affermò che il progetto vincitore “si è giovato soltanto di una certa semplicità schematica ed esteriore e di quell’uso di ritmi ripetuti, rimessi in circolazione dal razionalismo”.

Pietro Cascella, Controsofitto, Palazzo della Farnesina, Roma. Photo Giorgio Benni
Pietro Cascella, Controsofitto, Palazzo della Farnesina, Roma. Photo Giorgio Benni

DOPPIO CAMBIO IN CORSA

Indipendentemente dalle divergenti reazioni, le variazioni apportate all’edificio si sarebbero rivelate numerose, e pressoché costanti durante il lungo cantiere, anche per effetto di clamorose decisioni.
La prima, presa dallo stesso Duce dopo l’aggiudicazione, collocò la costruzione della Casa Littoria fuori dal centro storico. La scelta ricadde nell’area del complesso all’epoca noto come Foro Mussolini, oggi Foro Italico, nella zona nord della Capitale. Tale modifica non incontrò il favore dei tre progettisti coinvolti, a partire da Del Debbio: autore di alcune strutture già erette nel Foro, l’architetto temeva che le considerevoli dimensioni previste per la Casa Littoria potessero determinare un’incrinatura dell’equilibrio tra natura e architettura raggiunto in loco. Un timore che non si estese a Mussolini, il quale diede avvio all’enorme cantiere nell’area del poligono di tiro del Foro a lui intitolato proprio nel 1937.
Un’altra inaspettata decisione, che produsse inevitabili conseguenze nel lavoro di Del Debbio, Foschini e Morpurgo, arrivò tre anni dopo: nella Casa Littoria avrebbe fissato la propria sede il Ministero degli Affari Esteri, già ospitato nel Palazzo della Consulta e a Palazzo Chigi. Per effetto di tale variazione, venne annullato il concorso indetto nel 1939, a sua volta promosso per selezionare il progetto del nuovo edificio ministeriale a ridosso delle Terme di Caracalla.
Così, mentre procedeva alacremente la costruzione della parte strutturale dell’edificio, per i tre architetti si aprì un triennio scandito dall’urgenza di adattare il piano alle nuove esigenze funzionali e di rappresentanza. Tra i vari interventi che si resero necessari, l’eliminazione della prevista torre littoria, del sacrario dei martiri e, naturalmente, dei simboli monumentali del Partito.

LO STOP E LA RIPRESA DEI LAVORI

Con l’infiammarsi della Seconda Guerra Mondiale, su ciascuno dei cantieri delle “grandi opere” capitoline si abbatté la medesima sorte: tutto si fermò dal nord al sud della città, ovvero anche lì dove stava prendendo forma il quartiere di espansione verso il mare, promosso contestualmente alla (mancata) Esposizione Universale del 1942. Una sospensione destinata a protrarsi fino agli Anni Cinquanta del Novecento, quando parallelamente al processo di ricostruzione del Paese si riprese il tema della sede ministeriale, non senza polemiche e divergenze.
Nel dibattito attorno al destino dell’edificio, già in avanzato stato di realizzazione, entrarono riflessioni legate alla scomoda eredità che esso rappresentava, al pari di esempi coevi, in quanto memoria della controversa stagione politica precedente. Nelle posizioni espresse a riguardo, a partire da quella di Bruno Zevi, emersero inoltre dubbi di natura economica e valutazioni inerenti i riflessi politici e simbolici. Su decisione ministeriale, l’incarico per l’ultimazione fu affidata a Del Debbio, Foschini e Morpurgo, chiamati così a compiere lo sforzo conclusivo dopo un oltre un decennio di abbandono del cantiere.

LA FARNESINA FUORI E DENTRO

Per arrivare all’inaugurazione ufficiale della sede ministeriale, oggi pienamente inserita tra le architetture capitoline iconiche del Novecento, occorre attendere il 1959.
Contraddistinto dalla compatta facciata in travertino, lunga 169 metri e alta 51, l’edificio noto anche con l’appellativo di Farnesina, a causa dei preesistenti possedimenti della famiglia Farnese nel suolo in cui sorge, si sviluppa su nove piani, con una profondità di 132 metri. La sua compatta mole è ritmata da una corte centrale e da due minori laterali, disposte simmetricamente. Imponenti i numeri che qualificano la struttura: pari a 720mila metri cubi è il volume complessivo; 6.5 chilometri la lunghezza dei suoi corridoi; 1.300 i vani interni.
All’architetto Del Debbio venne affidato l’incarico di disegnare gli arredi, fissi e mobili, per la sede ministeriale, dato che la gara nazionale indetta non diede gli esiti attesi. Si devono dunque al progettista, autore anche della Facoltà di Architettura a Valle Giulia per l’Università La Sapienza, scrivanie, tavoli, poltrone, panche, applique e lampadari, realizzati in vetro da Venini e concepiti da Del Debbio secondo un modulo elaborato da Carlo Scarpa.

Enrico Del Debbio, Lampada, 1958 59, Palazzo della Farnesina, Roma. Photo Giorgio Benni
Enrico Del Debbio, Lampada, 1958 59, Palazzo della Farnesina, Roma. Photo Giorgio Benni

L’ARTE ENTRA NEL MINISTERO

Fra le intuizioni direttamente riferibili all’architetto Del Debbio figura la scelta degli artisti ai quali affidare il programma di intervento negli ambienti di rappresentanza al primo piano del monumentale edificio. La selezione si rivelò particolarmente valida e, in un certo senso, potrebbe essere interpretata come una “anticipazione” del rapporto d’elezione destinato a sorgere fra il Ministero stesso e il mondo dell’arte.
Eterogenei i motivi decorativi e le tecniche adottate dagli autori selezionati, ciascuno incaricato di un’aula: Alberto Bevilacqua si occupò della Sala dei Mosaici, Pietro Cascella della Sala delle Conferenze Internazionali, Francesco Coccia dell’Anticamera degli Ambasciatori, Giorgio Quaroni dello Studio del Ministro e Amerigo Tot della Sala della Vittoria.
Infine, in veste di direttore artistico del Palazzo della Farnesina, Del Debbio seguì lo svolgimento di entrambi i concorsi pubblici, indetti nel 1965 e nel 1968 dal Ministero dei Lavori Pubblici, per la realizzazione e l’acquisto di opere d’arte per la sede ministeriale. Tali fasi, che includevano anche l’ottenimento di mosaici e arazzi, oltre che di sculture e dipinti, possono essere considerate l’ultimo grande atto del percorso di progettazione del Palazzo, che ha attraversato oltre un trentennio di storia nazionale. È tramite queste competizioni che, con fortune alterne e talvolta con confronti accesi nelle commissioni di esperti, il Ministero si è progressivamente dotato di opere d’arte oggi considerate una componente imprescindibile della struttura: dai blocchi murari della rampa d’accesso di Pietro Cascella ai gruppi scultorei sui fondali degli atri di Osvaldo Calò e Pietro Consagra, quest’ultimo autore anche del rivestimento della fontana nel Cortile d’Onore; dai mosaici di Luigi Montanarini e Toti Scialoja agli arazzi per i saloni del primo piano di Gastone NovelliSergio Selva e Antonio Scordia, fino alla celeberrima sfera di Arnaldo Pomodoro.
Collocata nel piazzale antistante l’ingresso, la Sfera Grande era stata commissionata all’artista per il padiglione italiano all’Expo 67 di Montréal. Per il suo allestimento fu chiamato nuovamente in causa Del Debbio, che elaborò una soluzione in grado di mitigare l’iniziale diffidenza di Pomodoro; si deve inoltre a Carlo Scarpa la proposta di un bacino d’acqua come “basamento specchiante” per l’opera. Inaugurata il 4 maggio 1968, Sfera Grande è anch’essa un emblema della Farnesina, oltre che un monumento “agli italiani che onorano la patria nel mondo”, nelle parole di Pomodoro.

‒ Valentina Silvestrini

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #57 – Speciale Farnesina