Gli uomini forti della Libia aldilà delle apparenze

Gli uomini forti della Libia aldilà delle apparenze

Di Daniela Piesco 

Vice Direttore www.progetto-radici.it

In Libia, parliamoci chiaro,si sta giocando una partita geopolitica anche e soprattutto tra Putin ed Erdoğan e nessuno dei due vuole perdere.

Due sembrerebbero essere gli uomini forti in Libia: Khalifa Haftar,  il generale a capo dell’Esercito nazionale libico, nominato dal parlamento di Tobruk che con i suoi uomini governa la Cirenaica e che è sostenuto dall’Egitto, dalla Russia e dagli Emirati Arabi Uniti, e Fāyez Muṣṭafā al-Sarrāj, che in netta contrapposizione è appoggiato dall’occidente e dall’Onu ed è presidente del Consiglio del governo di accordo nazionale.

Conosciamoli meglio al di là delle apparenze.

Fāyez Muṣṭafā al-Sarrāj nasce a Tripoli nel 1960, da un’importante famiglia locale, che possedeva negozi e una grande quantità di terra. Suo padre, Muṣṭafā, ebbe incarichi politici sotto il re Idris. Consegue una laurea in Architettura e Urbanistica nel 1982 all’Università di Tripoli.

All’inizio della sua carriera, lavora come ingegnere gestionale del progetto nel Fondo di sicurezza sociale e come consulente d’ingegneria. È stato membro di diverse commissioni specializzate di progettazione di opere pubbliche e membro fondatore di Tripoli’s Engineering Consulting Office.

Durante il governo di Mu’ammar Gheddafi, al-Sarrāj ricopre incarichi ministeriali di secondaria importanza. In seguito al rovesciamento di Gheddafi nel 2011, diviene membro di una commissione per il dialogo nazionale.

Nel 2014, allo scoppio della seconda guerra civile, viene eletto membro della Camera dei rappresentanti (insediatasi poi a Tobruk) come candidato indipendente in rappresentanza di un collegio di Tripoli.

L’8 ottobre 2015, l’inviato speciale dell’ONU Bernardino León, incaricato di favorire la formazione di un governo di unità nazionale per superare la divisione della Libia tra due governi rivali insediati a Tripoli e Tobruk, annuncia che al-Sarrāj sarà nominato primo ministro del nuovo governo di unità nazionale, che dovrà ricevere il voto favorevole dei due parlamenti rivali (la Camera dei rappresentanti di Tobruk e il Nuovo Congresso Nazionale Generale a Tripoli).

Il 17 dicembre 2015 viene siglato l’accordo di pace (detto LPA, Libyan Political Agreement) per la formazione del governo di unità nazionale negoziato sotto l’egida dell’ONU e viene firmato ,poi,a Skhirat (Marocco) da cui prenderà il nome.

Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU riconosce all’unanimità, assieme agli Stati Uniti e all’Unione europea, il GNA come nuovo governo di unità della Libia: come “l’unico governo legittimo in Libia”.

L’Italia continua a sostenere il governo di Sarraj, riaprendo per prima tra i Paesi occidentali la propria ambasciata a Tripoli il 10 gennaio 2017, dopo due anni dalla sua chiusura.

Il generale Khalifa Haftar è l’altro uomo forte della Cirenaica che fonda la sua azione politica disconoscendo e delegittimando di significato istituzionale l’unico governo riconosciuto in Libia .

Fu prima sostenitore di Gheddafi poi suo nemico; partecipò alle battaglie in Sinai e Ciad, fino al momento in cui si rifugió negli Usa dove attenne il passaporto. Pochi anni dopo ritornó in Libia e fu nominato a capo dell’Esercito nazionale dal parlamento di Tobruk.

Haftar è nato nel 1943, nella città di Agedabia, nella regione orientale della Libia. Quando Khalifa Haftar nacque, la città natale era sotto controllo britannico a seguito della seconda guerra mondiale.

Haftar intraprese la carriera militare e si diplomò all’Accademia di Bengasi, in Libia. Proseguì i sui studi in tattica militare in Egitto e Unione Sovietica.

Sintomatico di ciò che sarebbe accaduto nel futuro fu il suo primo passo da giovane ufficiale :si schierò con Muammar Gheddafi nel golpe che lo portò al potere nel 1969, rovesciando il re Idris.

Da vero uomo d’armi, quattro anni dopo, il suo nome comparve in uno dei capitoli più importanti del Novecento, la guerra dello Yom Kippur. Haftar,difatti, guidò le truppe libiche in appoggio alla coalizione di paesi arabi che tentarono di respingere la controffensiva israeliana nel Sinai, dopo l’attacco a sorpresa di Egitto e Siria nell’ottobre del 1973.

Nel 1986, con il grado di colonnello, Haftar guidò le truppe libiche nell’offensiva contro il Ciad, in una guerra che durava già da circa un decennio. 

Haftar venne fatto prigioniero dalle forze ciadiane assieme a centinaia dei suoi uomini. Sconfitto sul campo, venne abbandonato da Gheddafi che lo destituì dal comando e ne chiese il processo. Aiutato dai servizi segreti americani, il colonnello,scappò in Zaire, poi in Kenya dove militò in diversi gruppi anti-Gheddafi.

Infine, ottenne il visto americano e, attorno al 1990, si trasferì in Virginia, a Falls Church, una cittadina di 13 mila abitanti alla periferia di Washington. Gheddafi emise nei suoi confronti una condanna a morte per alto tradimento.

Haftar ha vissuto in Virginia per vent’anni, ottenendo anche la cittadinanza americana.

Data la prossimità della sua abitazione al quartier generale della Cia, addirittura si è pensato che sia stato coinvolto dall’agenzia nei tentativi di assassinare Gheddafi.

Nel 2014, Haftar è rientrato dfinitivamente in Libia.

Ma questa è storia che conoscono tutti.Ció che preme rilevare invece è che con la pandemia la diplomazia internazionale in Libia si è inabissata e ha mostrato chi muove realmente i fili delle forze contrapposte in campo.

In Libia, parliamoci chiaro,si sta giocando una partita geopolitica anche e soprattutto tra Putin ed Erdoğan e nessuno dei due vuole perdere.

La Russia in caso di vittoria otterrebbe il porto di Bengasi la cui importanza del  suo “mare caldo” è facile da intuire.

Con l’approvazione del parlamento di Ankara di inviare soldati a Tripoli da opporre al generale Khalifa Haftar, l’Italia è sempre più «alleata» di Erdogan, avendo finora sempre sostenuto il governo di Sarraj nonostante le virate dell’ultim’ora di Conte e Di Maio verso il generale della Cirenaica Haftar.

Una situazione paradossale. Perché Erdogan è anche uno dei nostri avversari, in quanto con il patto sul Mediterraneo appena firmato con la Libia di Sarraj rivendica lo sfruttamento delle risorse di gas offshore nella zona esclusiva di Cipro greca in concorrenza con Eni e Total: la difesa da parte turca di questi interessi è stata citata esplicitamente nel documento votato qualche tempo fa ad Ankara.

Certo è che quando l’Europa e il nostro ministero degli Esteri alzeranno la testa dall’emergenza epidemia, troveranno sulla sponda Sud una Libia ancora più lontana.

Certo è che l’Italia resta affacciata a un balcone dove scruta nel buio della penombra il passaggio di nuovi e vecchi padroni.

E così la Turchia ,quasi indisturbata a Tripoli alza la posta in gioco.

L’incontro dell’8 gennaio scorso ad Ankara tra Putin ed Erdogan,ha stabilito ancora più concretamente che l’accoppiata di amici-nemici ormai decide le sorti della Siria, della Libia e anche, in parte, quelle dei rifornimenti di gas, avendo appena inaugurato la pipeline russo-turca del Turkish Stream, in esplicita opposizione ai progetti del gasdotto East-Med tra Egitto-Israele-Cipro-Grecia, una sorta di inedita alleanza inter-religiosa tra musulmani, ebrei e ortodossi, dettata da forti interessi economici e strategici.

Daniela Piesco

Vice Direttore www.progetto-radici.it

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