Lecce? Morbida come la pasta di mandorle dei suoi dolci tradizionali

Lecce? Morbida come la pasta di mandorle dei suoi dolci tradizionali

Chiese riccamente decorate che somigliano più a fondali che a luoghi di preghiera…

Dimore barocche ricoperte dei più svariati ornamenti : canestri ricolmi di frutti e ghirlande di fiori, mensoloni e grottesche, animali fantastici e putti tondeggianti…

Vicoli ombrosi che si aprono su piazze assolate, abbagliate da una luce dorata, accogliente e morbida…

Fregi sinuosi, ricci e volute a comporre cornici e rosoni.
Sembra non aver fine la fantasia che ha trasformato Lecce, l’antica Lupiae dei Romani (una lupa figura nello stemma della città, come in quello di Roma) in un’irripetibile fantasia barocca. E’ una fantasia sicuramente esuberante e festosa ma allo stesso tempo elegante e raffinata, quasi aristocratica: è questa la particolarità che la distingue da altre città barocche italiane, di norma ‘cariche’ della loro bellezza.

E’ come se statue, capitelli, frontoni e colonne perdessero la loro ‘materialità’ per diventare, soprattutto al crepuscolo, uno straordinario fuoco di luci ed ombre. Pare che gli artefici di questa insolita magia (gli architetti Zimbalo, Cino, Penna, Manieri) abbiano trovato il modo di rendere la pietra (delicata e compatta allo stesso tempo) docile al volere delle loro mani: come una tenera argilla, gli artigiani la lavoravano talvolta anche con il coltello.
Il barocco leccese -assieme a quello di Gallipoli- è stato inserito nelle ‘Tentative lists’ dell’Unesco,  in attesa che le città salentine (in particolare quelle citate) entrino a far parte del ‘Patrimonio dell’Umanità’.

Definita nel XIX secolo dallo storico tedesco Ferdinand Gregorovius ‘La Firenze del sud’, Lecce (Capitale italiana della Cultura 2015) conta oltre 40 scenografiche chiese, oltre a quelle famosissime di Santa Croce e del Duomo nella cui piazza ha avuto luogo nel luglio scorso la sfilata di Dior che ha scelto la città pugliese per presentare la collezione Cruise 2021 (in passato lo aveva fatto a New York, Parigi, Londra, Los Angeles, Marrakech).

La Piazza del Duomo  (uno dei pochi esempi di ‘piazza chiusa’ in Italia) è molto amata dagli abitanti per il fascino che trasuda ed il senso di appartenenza che proietta, ma credo che non tutti colgano quello che appare con immediatezza a chi come me viene da fuori: si tratta, in realtà, di un ammaliante scenario teatrale di cui la Cattedrale e il Palazzo Vescovile rappresentano le quinte.

La storia di Lecce – che vanta tre teatri storici e tre patroni (Oronzo, Giusto e Fortunato) – si può leggere anche tra reperti di epoca romana (stupendi l’Anfiteatro e il Teatro, in pieno centro storico, costruiti presumibilmente in epoca augustea), numerosi palazzi  rinascimentali e dimore del primo Ottocento: queste ultime sono le protagoniste della manifestazione ‘Cortili aperti’ (ultima decade di maggio) promossa dall’ Associazione Dimore Storiche Italiane (ADSI)  e volta ad avvicinare i cittadini alla conoscenza del prezioso patrimonio architettonico locale. La devo vedere ad ogni costo!

Un indubbio merito va riconosciuto agli abitanti, cordiali e disponibili:   quello di aver rilanciato in pochi anni con cura ed amore uno dei centri storici più belli d’Italia, diventato ormai un set a cielo aperto per tanti registi italiani e stranieri. Vi sono stati girati film di grande successo tra i quali – giusto per citare alcuni esempi – ‘Allacciate le cinture’ e ‘Mine vaganti’ di Ferzan Ozpetek, ‘Sangue vivo’ di Edoardo Winspeare, le serie tv ‘La Piovra‘ col commissario Cattani (Michele Placido) e ‘Il giudice Mastrangelo’ con Diego Abatantuono.

La mattina in cui ho lasciato Lecce ho rimesso la sveglia alle 5,30 e sono scesa in strada. Camminavo mentre la città si stava pian piano svegliando: non volevo perdermi lo spettacolo del sole che di lì a poco avrebbe illuminato la pietra locale (tenera e bianca) patinandola di un caldo colore dorato al contatto con l’aria. O per meglio dire:  prima ha assunto il colore della crema appena fatta, poi quello del miele, più intenso.

Un operaio comunale che annaffiava le strade, con cui ho scambiato  qualche parola, mi ha congedato dicendo:

Non le dispiace un pochino lasciare Lecce? Dica la verità!’


‘Come fa a saperlo?’
– gli ho risposto un po’ meravigliata.

Non sarebbe qui a quest’ora! Si guardi intorno: è l’unica in giro! E’ come se la volesse abbracciare il più a lungo possibile prima di lasciarla andar via!’

Proprio così. Touché!

Paola Cecchini

Antonio Peragine

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