Tempo di presepi

Tempo di presepi

Tempo di presepi, tempo di montagne di carta colorata, di luci  e di neve fatta col cotone.

C’è chi si chiede, per tutta la vita, se la Sacra Famiglia sia opportuno porla all’interno di una grotta o di una stalla. Poi ci si adatta e La si inserisce in una grotta adibita a stalla, anche se le scuole di pensiero restano distanti. Non è cosa da poco per chi è precisino. In questo caso molto contano le tradizioni di famiglia, le letture, le rappresentazioni nelle chiese. Fatto sta che, ufficialmente, nei Vangeli canonici di “stalla” o di “grotta” non se ne parla esplicitamente. L’evangelista Luca, o chi per lui, ci parla di pastori e di una mangiatoia, nulla di più.

Occorre andare nella Betlemme di oggi per apprendere che la Basilica della Natività, vale a dire il monumento più alto e significativo della cristianità e come tale il più autorizzato ad “affermare”, sorge ove tradizionalmente vi era la grotta ove nacque Cristo. Lo confermano i Vangeli apocrifi, teneri ma negletti testimoni della prima cristianità. Nel protovangelo di Giacomo si legge “Trovò quivi una grotta, vela condusse (Maria)….uscì a cercare una ostetrica ebrea…” (capitoletto 18). Dal Vangelo Arabo dell’Infanzia apprendiamo: “Giunti ad una grotta, Maria disse a Giuseppe che per lei era ormai imminente il tempo di partorire….Entriamo in questa grotta, disse”. Di grotta si parla anche altrove, lo scopriamo più sotto a proposito dei Re Magi.

Anche per i tre Magi c’è da dire. Costoro compaiono unicamente nel Vangelo che si attribuisce a Matteo e in quelli non canonici. L’evangelista non spreca molte parole e tempo per darne una descrizione ma si limita a dire: “Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da Oriente a Gerusalemme e domandavano: «Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo» […] poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra”.

 Di loro si parla anche negli scritti che la Chiesa non riconosce come sacri. Vale a dire nei Vangeli apocrifi, il cui termine proviene dal greco e significa nascondere, dal che sono documenti tenuti nascosti all’uso. Come si sia giunti poi a estrapolarne quattro, dalla quantità dei documenti che narravano la vita di Cristo, i soli considerati dalla chiesa conformi alla verità cristiana (Matteo, Marco, Luca e Giovanni) è cosa così complessa che solo i teologi possono avvicinarsi; non è argomento per l’uomo della strada, con tutte le sue angosce quotidiane. In ogni caso la scelta dovrebbe aver preso le mosse da Ireneo di Lione, studioso romano vissuto nel II secolo e considerato uno dei padri della Chiesa per poi concludersi con il Concilio di Trento nel 1546. Sul perché della scelta stessa rivolgersi “agli addetti ai lavori” di un certo prestigio; è argomento troppo intrigato.

Nel Vangelo dell’Infanzia Armeno, nel capitolo XI si legge: “Questi re dei Magi erano tre fratelli: il primo era Melkon, re dei Persiani, il secondo Gaspar, re degli Indi, e il terzo Balthasar, re degli Arabi. I comandanti del loro corteggio, investiti della suprema autorità, erano dodici. I drappelli di cavalleria che li accompagnavano comprendevano 12.000 uomini: 4000 per ciascun regno. Tutti venivano per ordine di Dio dalla terra dei Magi dalle regioni d’oriente, loro patria. Melkon, il primo re, aveva mirra, aloe, mussolina, porpora, pezze di lino e i libri scritti sigillati dalle mani di Dio. Il secondo, il re degli Indi, Gaspar, aveva come doni in onore del bambino del nardo prezioso, della mirra, della cannella, del cinnamono, dell’incenso e altri profumi. Il terzo, il re degli Arabi, Balthasar, aveva oro, argento, pietre preziose, zaffiri di gran valore e perle fini”.

Dal Protovangelo di Giacomo, capitolo 21, si apprende: “Poi Giuseppe si preparò a partire per la Giudea. In Betlemme della Giudea ci fu un grande trambusto, perché erano venuti dei magi che dicevano: “Dov’è il nato re dei Giudei? Abbiamo visto la sua stella nell’Oriente e siamo venuti ad adorarlo”. Udendo questo, Erode fu turbato e inviò dei ministri ai magi; mandò anche a chiamare i sommi sacerdoti e li interrogò, dicendo: “Come sta scritto a proposito del Cristo, dove deve nascere?”. Gli risposero: “In Betlemme della Giudea, perché così sta scritto”. E poi li rimandò. Interrogò anche i magi, dicendo: “Quale segno avete visto a proposito del re che è nato?”. I magi gli risposero: “Abbiamo visto una stella grandissima che splendeva tra queste stelle e le oscurava, tanto che le stelle non apparivano più. E’ così che noi abbiamo conosciuto che era nato un re a Israele, e siamo venuti per adorarlo”. “Andate e cercate”, disse Erode “e se troverete fatemelo sapere affinché anch’io venga a adorarlo”. I magi poi se ne andarono. Ed ecco che la stella che avevano visto nell’oriente li precedeva fino a che giunsero alla grotta, e si arrestò in cima alla grotta. I magi, visto il bambino con Maria sua madre, trassero fuori dei doni dalla loro bisaccia: oro, incenso e mirra. Essendo stati avvertiti da un angelo di non entrare nella Giudea, se ne tornarono al loro paese per un’altra via”.

Non basta, dei Magi si parla anche nel “Vangelo dello pseudo Matteo”, nel “Vangelo dell’infanzia Arabo Siriano”. Addirittura Marco Polo afferma di avere visitato le loro tombe nella città di Saba all’incirca nel 1270.

Una domanda che spesso ricorre è: perché la natività si celebra il 25 dicembre?

Risposta: e chi lo dice che si celebra solo in tale data?

Sicuramente è un riferimento per i più ma non per tutti i credenti. Se il 25 dicembre ha valore per i cattolici, i protestanti e gli ortodossi che seguono il calendario gregoriano, non è così per le chiese ortodosse slave e quelle d’oriente (6 gennaio), o per quelle che seguono il calendario giuliano (7 gennaio) e  per gli Armeni in Terra Santa, Gerusalemme (18 gennaio).

Ma per quanto attiene al 25 dicembre, perché?

Con ogni probabilità in quanto si è voluto cristianizzare una data pagana, quando il solstizio d’inverno si credeva cadesse il 25 dicembre e si celebrava il “Sol Invictus”, il Sole Rinato, in onore di Mitra la divinità che sbaragliava le tenebre. Dal paganesimo al cristianesimo il passo fu breve, cosicché il Sole si trasformò in Lui, Gesù, il vero astro che viene in questo mondo per scacciare il buio. Ci rammenta Luca (1, 79s) che il profeta Zaccaria aveva detto: “Grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge, per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace”.

Tracce della data del 25 dicembre le troviamo nel pregevole calendario illustrato, conosciuto come il  “Cronografo dell’anno 354”, bellissima opera del calligrafo Furio Dionisio Filocalo. Nel Depositio Martyrum è espressamente indicato che a Roma la festa del Natale  era celebrata in tale data. Nel 353 in San Pietro papa Liberio ne aveva data autorevole conferma.

Di là da tutto questo, resta la tradizione del Natale, così come l’abbiamo appresa da piccoli. E’ anche la festa di Gesù Bambino o di Babbo Natale che portano giocattoli. Chi scrive è stato un bimbo fortunato perché nato in Piemonte si è poi trasferito in Sicilia, dove a portare i doni, sono i “morti”, nella notte tra l’1 e il 2 novembre. Dal che, ha sempre festeggiato le due ricorrenze e, per rispetto verso le origini e al luogo di residenza, era solito ricevere doppi regali.

Davanti ai presepi d’Italia, da Aosta a Lampedusa, dalla Vetta d’Italia all’Etna, vola il coro d’auguri in tutti i dialetti: a questi ci uniamo: Buon Natale a tutti!

Giuseppe Rinaldi

 

 

Antonio Peragine

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