La mancata leale collaborazione

La mancata leale collaborazione

Di Daniela Piesco ,Vice Direttore

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Appare evidente come l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo richiami eventi straordinari che mettono in pericolo il normale equilibrio istituzionale e sconvolgono i normali meccanismi di governo della comunità. Tali situazioni vanno ricondotte comunque nell’alveo della Costituzione, e le misure adottate devono essere temporanee ovverosia cessare al termine dell’emergenza quando il ripristino della normalità viene a tornare.

E’ d’uopo, a tal riguardo, riprendere la distinzione schmittiana fra dittatura commissaria, che ha lo scopo di conservare o restaurare la costituzione vigente, e dittatura sovrana che mira invece a istaurare un nuovo ordine, al fine di distinguere fra emergenza e eccezione (o, come sarebbe più preciso, fra stato di emergenza e stato di eccezione).

All’emergenza si ricorre per rientrare quanto più presto è possibile nella normalità, all’eccezione si ricorre invece per infrangere la regola e imporre un nuovo ordine.Lo stato di emergenza presuppone la stabilità di un sistema, l’eccezione, al contrario, il suo disfacimento che apre la strada a un sistema diverso.

La distinzione è, secondo ogni evidenza, politica e sociologica e rimanda a un giudizio di valutazione personale sullo stato di fatto del sistema in questione, sulla sua stabilità o sul suo disfacimento e sulle intenzioni di coloro che hanno il potere di decretare una sospensione della legge che, dal punto di vista giuridico, è sostanzialmente identica, perché si risolve nei due casi nella pura e semplice sospensione delle garanzie costituzionali.

La pandemia del Covid 19 è stata fronteggiata prevalentemente dal Governo tramite l’utilizzo di ordinanze di Protezione Civile e Dpcm. La democraticità dell’ordinamento esige che i diritti possano essere sospesi solo mediante l’intervento del Parlamento con legge .

Eppure abbiamo subito restrizioni abnormi della libertà personale (art 13 Cost), della libertà di circolazione e soggiorno (art. 16 Cost.), della libertà di riunione (art. 17 Cost.) mediante l’intervento di fonti secondarie quali i Dpcm.

Essi sono sottratti da qualsiasi controllo del Parlamento, del Capo dello Stato, della Corte Costituzionale. Hanno carattere amministrativo e sono sconosciuti alla Costituzione. Sono impugnabili solo davanti al Tar.

Tuttavia i Dpcm sono autorizzati dai decreti-legge n. 6/2020 e n. 19/2020, quindi trovano in tali strumenti la fonte di legittimazione e la valenza democratica la cui mancanza viene loro contestata. E dunque la fonte primaria legittimerebbe comunque il Presidente del Consiglio alla sospensione dei diritti fondamentali tramite fonti secondarie.

Lo stato di emergenza, a differenza da quello di eccezione, che comprende poteri indeterminati, include soltanto i poteri finalizzati allo scopo predeterminato di rientrare nella normalità, anche se, tali poteri non possono essere specificati preventivamente.

Questo è un nodo cruciale tanto sorprendente, dal momento che nello stato di emergenza, sono stati sospesi e violati diritti e garanzie costituzionali che non erano mai stati messi in questione, neppure durante le due guerre mondiali e il fascismo; e che non si tratti di una situazione temporanea è affermato con forza dagli stessi governanti, che non si stancano di ripetere che il virus non solo non è scomparso, ma può riapparire a ogni momento.

Ecco che, a emergenza cessata, il Parlamento dovrebbe trovare il tempo per fare una legge ordinaria che disciplini in maniera uniforme regole e comportamenti da seguire, oppure si potrebbe intervenire addirittura con una legge di revisione costituzionale che disciplini il giusto rapporto Governo – Parlamento nei casi di epidemia, prevedendo in costituzione lo specifico caso dell’emergenza sanitaria.

Ma vi è dippiù.

Nella difficile situazione che stiamo vivendo appaiono sempre più confusi i rapporti tra Stato e Regioni sopratutto in ordine al concetto di potere di ordinanza contingibile ed urgente.

Cerchiamo di venirne a capo .

Le ordinanze contingibili ed urgenti sono provvedimenti straordinari adottati dalle Pubbliche Autorità nei casi espressamente previsti dalla legge per far fronte a situazioni di necessità tali da non consentire il ricorso ai rimedi normalmente previsti dall’ordinamento giuridico. Si tratta quindi di atti che derogano ai principi di tipicità e nominatività e ciò al fine di assicurare all’amministrazione quell’elasticità di manovra che è necessaria per far fronte in modo adeguato a situazioni eccezionali non predeterminabili in via normativa.

Le ordinanze extra ordinem devono, tuttavia, rispettare dei limiti che attengono alla materia, alle finalità, alla competenza ma soprattutto al rispetto di ineludibili precetti costituzionali.

Al fine di assicurare la reductio ad unum del regime giuridico nazionale e regionale, gli artt. 2 e 3 del d.l. 19/2020 hanno introdotto limiti stringenti al potere di adottare ordinanze regionali e comunali. Per quanto concerne le ordinanze regionali, l’art. 2, co. 2, d.l. 19/2020, ha previsto che, nelle more dell’adozione dei DPCM e con efficacia limitata fino a tale momento, la competenza ad adottare atti, in casi di estrema necessità e urgenza per situazioni sopravvenute, è del Ministro della salute (ai sensi dell’art. 32, l. 833/1978), e non più del Presidente della Regione e del sindaco.

Al Presidente della Regione, invece, compete: 1) dare un parere sugli schemi di DPCM, se lo stesso è di interesse della propria Regione; 2) proporre l’adozione di un DPCM; 3) introdurre misure ulteriormente restrittive (tra quelle di cui all’art. 1, co. 2, d.l. 19/2020), esclusivamente nell’ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale, in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso, ma solo nelle more dell’adozione del DPCM e con efficacia limitata fino a tale momento (art. 3, co. 1, d.l. 19/2020).

Vari sono stati i  contrasti tra Dpcm e ordinanze regionali. I più citati sono quelli del Governatore della Campania De Luca, e del Presidente della Regione Veneto Luca Zaia .

Ebbene,con riferimento ad essi, si è agito nell’alveo della legittimità costituzionale?

Se da un lato i Tar confermarono le ordinanze dei presidenti delle regioni respingendo le richieste di privati cittadini , per onestà intellettuale bisogna dire che:

   1)il Presidente della Regione Campania, ha toccato ambiti materiali rientranti nella sfera di garanzia delle libertà costituzionali “coperte” da riserva assoluta di legge. In questi ambiti, pertanto, pur senza tenersi conto della problematica configurabilità di un intervento delle ordinanze contingibili e urgenti, l’intervento di una regolamentazione attuativa di rango subordinato non può che muoversi in stretta osservanza del dettato legislativo, esclusivamente entro gli spazi da questo consentiti. Pertanto, l’ordinanza regionale non può spiegare alcuna efficacia derogatoria antinomica rispetto alla disciplina di rango primario sancendo, in ipotesi, compressioni ulteriori dei diritti di libertà costituzionale;

2) allo stesso modo in Veneto quando Zaia firmò un’ordinanza nell’ambito dell’emergenza Coronavirus che determinò una serie di restrizioni e di obblighi ulteriori a quelli sanciti dal Governo per la popolazione veneta fu molto dubbio che un atto amministrativo regionale, per quanto giustificato da una situazione di straordinarietà, potesse introdurre una limitazione ultronea a quelle già in vigore, ponendosi in palese violazione della riserva di legge relativa e rinforzata di cui all’art. 16 della Costituzione per il quale è la legge (e non certamente un ordinanza) che stabilisce «in via generale» eventuali limitazioni per motivi di sanità o sicurezza.

Inoltre, è fuori dubbio che la normazione di principio limitante debba rientrare nella disponibilità del legislatore statale. Lo si ricava indirettamente dallo stesso art. 120, comma 1, del Testo fondamentale il quale vieta alle Regioni di «adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni», nonché dal fatto che tale libertà sia garantita in tutto il territorio nazionale. Ne consegue, dunque, che neppure una legge regionale avrebbe potuto prevedere una siffatta limitazione.

In conclusione.

L’indubbia complessità dell’intreccio venutosi a determinare nei rapporti Stato-Regioni avrebbe dovuto indurre l’amministrazione centrale a valutare più attentamente gli strumenti di raccordo, anche e soprattutto nell’ottica di una leale collaborazione tra i vari livelli istituzionali.

Il principio di leale collaborazione, di elaborazione giurisprudenziale, è stato positivizzato a seguito della riforma del 2001 e viene oggi espressamente richiamato a proposito dell’esercizio dei poteri sostitutivi dello Stato nei confronti delle autonomie territoriali (art. 120 Cost.).

Tuttavia, l’applicazione dello stesso, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, non si limita alle ipotesi espressamente ammesse ma trova espressione nell’esercizio di tutte quelle competenze e funzioni che interessano diversi livelli di governo, e nel quale trovano parziale sovrapposizione le rispettive sfere di autonomia.

Tale principio opera, pertanto, come garanzia reciproca per gli enti coinvolti, affinché le competenze di nessuno di questi soggetti siano prevaricate unilateralmente.

Le esigenze sistemiche cui è finalizzato il principio di leale collaborazione si attagliano perfettamente all’attuale emergenza sanitaria ed infatti, non è ipotizzabile che rimangano inascoltate le richieste di quelle Regioni afflitte con maggiore forza dall’epidemia o di quelle il cui sistema sanitario non è in grado di assicurare le cure a tutti i contagiati.

Tali diversità, benché – ad avviso di chi scrive – non legittimino l’adozione da parte dei Presidenti delle Regioni di ordinanze contingibili ed urgenti in deroga ai D.P.C.M., devono tuttavia ricevere la giusta considerazione nelle decisioni assunte a livello statale così da potere individuare le misure più appropriate per fronteggiare la specifica situazione del relativo territorio, restando al contempo rispettose delle irrinunciabili esigenze di omogeneità e unitarietà sottostanti all’azione di contenimento del contagio.

Daniela Piesco,Vice Direttore

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