Venezuela: l’ispettore salesiano denuncia l’impotenza di fronte al Covid-19

Intervista al nuovo ispettore del Venezuela, p. Rafael P. Montenegro, che si trova a Valdocco. La situazione in cui versa il suo Paese e la tragedia Covid-19.

Padre Rafael Montenegro, venezuelano, da pochi mesi è l’ispettore dei salesiani nel suo Paese.

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Allo scoppio della pandemia Covid-19 si trovava in Italia per il 28° Capitolo Generale della Congregazione. Non ha potuto rientrare a Caracas a causa del blocco dei voli intercontinentali.

Paradossalmente però in questa fase può svolgere dall’Italia la sua funzione di supervisione e di incoraggiamento dell’attività dei confratelli con una migliore visione d’insieme: in Venezuela sarebbe sottoposto a limitazioni come la scarsità di carburante e l’intermittenza dei servizi elettrici e di telecomunicazioni che rendono difficili gli incontri.

“La situazione in Venezuela è certamente molto peggiorata perché il Covid-19, che riguarda tutto il mondo, ha trovato il mio Paese in uno stato di handicap” riferisce dopo aver dialogato via Web con il consiglio ispettoriale nei giorni precedenti. “La gente viveva già una grave carenza alimentare e gli ospedali erano già da tempo senza risorse”. Missioni Don Bosco, impegnata dal 2018 ad aiutare l’attività salesiana in Venezuela, ha potuto intervistare padre Montenegro a Valdocco.

I dati ufficiali descrivono una situazione sotto controllo.

“Il governo nasconde le cose. Non c’è combustibile per trasportare gli alimenti e le altre cose necessarie. In questo momento la gente deve fare fino a tre giorni di fila per il rifornimento di 20-30 litri di benzina. Questo è molto grave per la popolazione ma anche per i produttori di cibo che dalle campagne non riescono ad arrivare alle grandi città. Nella zona delle Ande a vocazione agricola si sta perdendo la produzione perché non c’è possibilità di andare a venderla”.

La cittadinanza deve rimanere a casa: come reagisce?

“È difficile rimanere ognuno a casa perché la nostra popolazione in gran maggioranza vive del lavoro del giorno: ‘con quello che oggi guadagno compro il cibo per la giornata’. La gente che ha una possibilità maggiore può cavarsela, ma nei quartieri popolari la quarantena non può funzionare”.

Il governo ha sempre elargito aiuti ai ceti deboli, anche per mantenere il consenso.

“C’è ancora il programma per far pervenire cibo ad ogni famiglia, ma ogni volta è più difficile da attuare. Lo Stato ha visto ridursi la produzione alimentare e al contempo le risorse finanziarie con le quali acquistare prodotti all’estero. È una emergenza che non viene riconosciuta.

A questo si deve aggiungere la limitatezza di acqua potabile, che non arriva ovunque tutti i giorni poiché nel recente passato non sono state fatte le manutenzioni agli acquedotti. In molti casi l’acqua arriva una volta alla settimana. Se la prevenzione al Covid-19 si fa anche con la frequenza dei lavaggi con acqua e sapone, possiamo capire cosa stia succedendo in Venezuela”.

Qual è il clima sociale in queste settimane?

“Non si sa come possa reagire la gente in questo contesto. Potrebbe ribellarsi in qualunque momento, sia pure senza un piano. Chi studia la società teme che possano accadere episodi di violenza crescente. Lo teme anche il governo, che ha dichiarato lo stato di allarme, con la gente che non può stare nei luoghi pubblici. I militari possono così reprimere in partenza ogni tentativo di manifestare il disagio sociale. La situazione peggiora di giorno in giorno”.

Senza poter comunicare di persona o attraverso i media è difficile per la gente capire la situazione, organizzarsi.

“È difficile per chiunque capire bene cosa stia covando sotto la cappa della disinformazione. Ma la gente sta aprendo gli occhi, non è contenta. Non dice nulla perché è tutto nascosto, sottomesso, oppresso con le armi”.

Che riescono a fare i salesiani in questa situazione?

“Per prima cosa patiamo la stessa condizione che patiscono i Venezuelani. Pochi giorni fa ho avuto un incontro via Internet con i miei consiglieri: le comunità hanno problemi per l’acquisto di cibo. Per questo è indispensabile l’aiuto che viene da Missioni Don Bosco.

  1. articolo 3 di questa serie

Le chiese sono chiuse. Si cerca di tenere i legami con le comunità attraverso i social. Nella settimana santa sono state trasmesse le funzioni religiose per chi si poteva collegare con i social.

Il nostro teologato si trova ai piedi di una collina: i miei confratelli e gli studenti hanno celebrato i riti all’aperto in modo di essere visibili dalle case sovrastanti. La gente guardava attraverso le finestre e dalle porte, e ascoltava dagli altoparlanti.

Ordinariamente cerchiamo di essere vicini con i collegamenti Web in occasione di celebrazioni, preghiere, riflessioni. L’attività delle parrocchie è ferma, e non arrivano le offerte con le quali possiamo aiutare i più poveri.

Cosa succede nelle scuole?

“Anche le nostre sono chiuse: l’anno scolastico dovrebbe terminare a luglio, ma certamente gli studenti e i docenti non torneranno in aula. Si sta cercando di supplire con l’insegnamento a distanza, ma sappiamo quanto la Rete Web sia precaria.

Cerchiamo di restare vicini ai ragazzi che possono collegarsi, accompagniamo i giovani e chiunque ce lo chieda in questa situazione”.

Siete un terminale che riceve l’eco delle angosce di questo tempo.

“Una signora, che viene a messa da noi al teologato, ci ha raccontato che sua sorella non aveva soldi per andare in un ospedale privato per i problemi respiratori insorti per il Covid-19. È così andata in una struttura pubblica, dove però mancavano i dispositivi necessari. È morta senza potersi curare. Situazioni come queste ricorrono ogni giorno.

Non si sa bene cosa accada nelle famiglie, quanti siano i decessi. Il momento più difficile si presenterà a maggio, quando l’incubazione di massa del virus diventerà esplosiva”.

Redazione

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