“Gli anni del Riflusso, ovvero la perduta età dell’oro?”

“Gli anni del Riflusso, ovvero la perduta età dell’oro?”

In un articolo del novembre 2009, Pierluigi Battista sul Corriere della Sera scriveva una lunga ed appassionata difesa degli anni del Riflusso, quegli anni 80 che, a suo avviso, ci avevano reso moderni e che invece erano stati considerati a torto l’origine di tutti i mali. Le posizioni di Battista sono da tempo a tutti arcinote e comprendo il suo punto di vista, non escludendolo aprioristicamente dal mio orizzonte, ma non posso non chiedermi cosa sia il bene per Battista. È del tutto ovvio il fatto che abbia considerato un bene la sconfitta del totalitarismo sovietico, il trionfo del capitalismo, dell’individualismo, dell’apparire, del liberismo, del rifugio nel privato e che abbia attribuito al mercato un ruolo progressista che onestamente mi sfugge: il mercato è un animale che soddisfa sé stesso ed è da ingenui (ma molti ve ne sono!) che inneggiano al progressismo del capitale perché il suo marketing, anticipando i tempi, si è rivolto a consumatori di qualsiasi orientamento sessuale o colore della pelle. Andrebbe chiarito a tal proposito che il mercato chiede solo zelanti acquirenti e se facesse la morale sarebbe un cattivo venditore.

Non riesco peraltro a non domandarmi come mai il giornalista in questione consideri una vittoria il rifugio nel privato che ha caratterizzato quegli anni e come possa essergli sfuggito che quel rifugio, non potesse annullare una dimensione pubblica, politica, senza la quale il privato non esiste, se non a prezzo, come di fatto fu, di una ubriacatura poco prima dello schianto, che non riesco a considerare una gloriosa vittoria di cui andare fieri. Cosa c’è infatti di così glorioso nel chiudersi in casa con tutta la famiglia e passare le serate davanti alla televisione? La dimensione familiare non ne avrebbe tratto giovamento e maggior equilibrio se non si fosse messa da parte una dimensione di partecipazione alla vita politica del paese?

So bene che, ad un certo punto ed in qualsiasi momento storico talune forme possano apparire svuotate di senso e si avverta di bisogno di cercarne di nuove, spesso in antitesi con quelle precedenti; esistono tuttavia “cose” il cui valore è indiscutibile per qualsiasi uomo ed in qualsiasi tempo e che non conviene buttarsi alle spalle semplicemente come si fa con la roba vecchia. I ragazzi con l’eskimo che parlavano di filosofia solo per abbordare le fanciulle ci apparivano ormai come insopportabili caricature? Nessuno ci obbligava a plaudere a stereotipi rappresentativi di un tempo che fu e che non sembravano in grado di entrare in sintonia con una realtà mutata.

Siamo però sicuri di non aver posto stupidamente sullo stesso piano l’eskimo e le assemblee di fabbrica o quelle studentesche? Le borse di cuoio ed i dibattiti dopo la proiezione di un film? Come si è potuto confondere con una moda il fondamento di ogni società civile e cioè il confronto democratico che naturaliter dovrebbe precedere qualunque decisione in ambito privato ed ancor di più pubblico? Battista parla degli anni del Riflusso come di quelli che ci hanno traghettato verso la modernità, ma esiste una modernità che dell’uomo metta da parte le sue facoltà più nobili e peculiari come quella della parola e della creazione di sé e del mondo attraverso di essa, senza rischiare di non percepirla invece per ciò che fu davvero e cioè una malata alienazione?

Non occorre scomodare Levinas per ricordare che siamo ciò che siamo perché viviamo nella relazione, oltre la quale l’individuo non è pensabile e che persino il tanto osannato individualismo liberista nasce dalla relazione, dalla scoperta dell’altro anche e soprattutto attraverso il logos come veicolo di senso a 360° ed in tutte le dimensioni possibili. Pensare dunque che l’essere umano, per formarsi, possa prescindere dal confronto è stupido ed irrealistico.

Alla fine degli anni 80 frequentavo il liceo e mi domandavo come mai parlare durante un’assemblea studentesca fosse considerato un’inutile perdita di tempo, così come intervenire durante una lezione per chiedere un chiarimento al docente, facesse di uno studente un’intollerabile secchione, che volesse semplicemente mettersi in mostra per avere un voto più alto. Andrebbe infatti puntualizzato che qualunque cosa l’essere umano faccia, la fa sempre, consapevolmente o meno per mostrarsi, qualcuno direbbe per “prostituirsi” che è, comunque lo si chiami, un entrare in relazione con l’altro e che è dunque fatto umanissimo ed in quanto tale degno sempre di cittadinanza, se parliamo di uomini e non di burattini.

La società civile ha incominciato a sgretolarsi quando abbiamo accettato di non parlare, quando lo abbiamo trovato fatuo ed inutile e questo è accaduto proprio a partire dagli anni 80, gli anni del Riflusso o, se preferite, del “salto verso la modernità”, come appunto li chiama Pierluigi Battista.

Forse abbiamo pensato che tutte quelle parole che erano state dette negli anni 60 e 70 non erano servite a niente e non avevano cambiato in meglio la società, ma ci sbagliavamo: senza quelle parole non avremmo avuto lo Statuto dei Lavoratori, o la riforma Basaglia, che impose la chiusura dei manicomi su tutto il territorio nazionale, per non parlare del referendum sul divorzio, ma è questa solo una sbrigativa selezione delle conquiste civili e politiche di quegli anni, a meno che non le si voglia considerare discutibili nel loro valore e nella loro utilità ed in tempo di terrapiattisti tutto è possibile!

Rosamaria Fumarola

Antonio Peragine

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