L’Italia è prima in Europa per decessi da antibiotico-resistenza

L’Italia è prima in Europa per decessi da antibiotico-resistenza

  di Paolo Giorgi

L’Istituto superiore di sanità ha voluto ricordare alcune buone norme da seguire per l’uso consapevole degli antibiotici. Ecco come difendersi

L’Italia si conferma primo Paese in Europa per numero di morti legati all’antibiotico-resistenza: in tutto, su 33 mila decessi dei Paesi Ue, 10 mila vittime ogni anno per infezioni causate da batteri resistenti agli antibiotici, si registrano in Italia. In occasione della Settimana mondiale per l’uso consapevole degli antibiotici, dal 18 al 24 novembre, l’Istituto superiore di sanità (Iss) ha voluto ricordarlo, per incentivare la lotta a questo fenomeno.

Durante il 39° Congresso nazionale della Società Italiana di Farmacologia (SIF), in corso da oggi fino a sabato, a Firenze, è stata dedicato più di un intervento al tema, in particolare “Antimicrobial Resistance: a Worldwide Emergency”. I batteri, con il passare del tempo, si sono “incattiviti”, sono cioè diventati più aggressivi e meno suscettibili agli antibiotici, perché le medicine prodotte per debellarli sono sempre meno efficaci.

Perché questa ribellione?

Semplice selezione naturale: “A forza di consumare e/o disperdere nell’ambiente antibiotici – spiega il farmacologo dell’Università di Trieste e Consigliere SIF Gianni Sava – i batteri hanno cominciato a sviluppare difese nei confronti di questo continuo bombardamento farmacologico”. I sopravvissuti, una volta acquisite nel proprio DNA le difese, le hanno, a loro volta, passate alle generazioni successive creando una generazione di super-batteri.

Ma perché tutta questa dispersione di antibiotici?

“In parte l’abbiamo spiegato: ne vengono consumati, e dunque prescritti, troppi, cioè anche quando non servono – continua Sava – inoltre, in parte ingeriamo, ogni giorno, antibiotici, a nostra insaputa con l’alimentazione”. Ma non solo. “Vengono dagli allevamenti intensivi, dove si ricorre, per l’appunto agli antibiotici, per contrastare le infezioni legate alla promiscuità degli animali. Questi farmaci vengono spesso somministrati anche a scopo preventivo, nonostante il bestiame non sia malato e nonostante esista una normativa che vieta l’abuso degli antibiotici negli allevamenti”.

Ed ecco quindi che altri antibiotici finiscono nella catena alimentare e poi nel nostro piatto. A fare due conti, in Italia, ben il 50% dell’utilizzazione globale degli antibiotici avviene nel settore veterinario, per allevare polli, tacchini e suini, e noi assumiamo quindi questi farmaci dalla carne.

Il nostro Paese si deve adeguare meglio al piano nazionale di contrasto all’antibiotico-resistenza, spiega Sava, così come l’aveva scritto nel 2017 il ministro della Salute: “L’Italia da questo punto di vista è stata meno efficiente rispetto alla maggior parte dei Paesi Ocse”.

La soluzione è nella ricerca

È necessario quindi escogitare nuove molecole, efficaci, e ci deve pensare la ricerca. “Attualmente abbiamo meno 100 farmaci in studio dedicati alle malattie infettive e ciò non ci conforta – ammette il professore –. Ma pensiamo alla biologia molecolare, che non segue la strada della farmaceutica classica e batte nuove vie: per esempio puntando a disinnescare il batterio con “proiettili” speciali chiamati anticorpi monoclonali”.

Intanto però bisogna imparare a utilizzare con criterio gli antibiotici che già esistono. È infatti facile che si ricorra al farmaco di testa propria, con dosaggi e tempistiche sommarie, quando si è influenzati, senza sapere che gli antibiotici non curano l’influenza: “Influenza raffreddori sono causati dai virus e gli antibiotici non servono quindi a nulla. Inoltre attenzione a saltate il giorno e le dosi di trattamento, perché queste interruzioni spontanee o l’assunzione di quantità farmacologiche inadeguate, oltre a compromettere l’efficacia della cura, facilitano lo sviluppo di batteri duri a morire”.

Il ciclo di terapia va quindi seguito e completato, come da prescrizione. Sospendere il farmaco non appena si avverte un miglioramento è sbagliato: i batteri potrebbero non essere stati debellati del tutto, ma ridotti in numero da non causare sintomi (da cui il miglioramento percepito) per poi tornare a mordere con maggiore violenza, grazie alla tregua che gli abbiamo concesso.

Un’ultima cosa, infine: “Affidarsi ai test diagnostici rapidi come il tampone faringeo, capace di rivelare se è davvero necessario iniziare un trattamento e con quale tipo di antibiotico”. Mai scordare, inoltre, il lavaggio delle mani: è l’”antibiotico” più potente

Antonio Peragine

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