Cenni storici sul brigantaggio di Basilicata

Cenni storici sul brigantaggio di Basilicata

BARI – Quando Garibaldi sbarca in Sicilia nel 1860, le speranze della popolazione si riversano su di lui perché viene considerato portatore di una nuova costruzione sociale, capace di cambiare radicalmente le regole di vita, imposte sino allora dal Borbone. La battaglia di Calatafimi, dove i garibaldini sono nettamente inferiori di numero e di equipaggiamento rispetto al nemico, viene vinta in meno di una giornata, indubbiamente anche per le capacità tattiche del generale, ma soprattutto perché i soldati borbonici non combattono con convinzione, contro quello che faticano a considerare un nemico. Durante tutta la marcia verso Napoli, i piemontesi vengono accolti dai contadini al grido di: “Vogliamo la terra” e Garibaldi contribuisce a creare quel tragico equivoco che avrebbe portato poi al disastro, rispondendo: “Si, prendete le terre, sono vostre”. Molti soldati borbonici passano dalla parte delle camicie rosse, convinti che in quel nuovo esercito di liberatori avrebbero potuto trovare la loro futura collocazione.

Il 18 febbraio del 1861, in seguito alla seconda guerra d’indipendenza e ai plebisciti nei territori conquistati dal Regno di Sardegna, Vittorio Emanuele II inaugurò a Torino il parlamento italiano formato dai rappresentanti di tutti i territori annessi. Il successivo 17 marzo il re firmò con Cavour la legge che proclamava il Regno d’Italia. Scomparivano i ducati e i granducati in Emilia e Toscana, il dominio pontificio veniva ridotto alla sola zona del Lazio e tramontava il regno borbonico. A completare l’unità mancavano solo il Veneto e Roma. Il Regno d’Italia venne strutturato come un allargamento del Regno di Sardegna, mantenendo la forma istituzionale monarchico-costituzionale e un modello centralista. Il diritto di voto era attribuito – secondo la legge elettorale contenuta nello statuto Albertino del 1848 – in base al censo e in tal modo gli aventi diritto costituivano appena il 2% della popolazione. Le basi del nuovo sistema erano quindi estremamente ristrette.

Il 15 Aprile 1861 Carmine Crocco Donatelli, che diverrà col tempo “il generale Crocco”, esce dal bosco di Lagopesole e si dirige con la sua banda forte di oltre mille uomini verso la vicina città di Melfi, che occupa militarmente dopo una breve resistenza della guarnigione locale. Fa bruciare le bandiere sabaude ed espone sulla facciata del comune quella borbonica.

Durante una festa nel centro del paese, alla quale partecipano centinaia di cittadini, comunica che da quel giorno la città è liberata e che i contadini possono prendersi le terre dei signorotti locali che lui ha sconfitto.

I briganti, non furono “criminali comuni”, come pensò la maggioranza degli italiani, ma un esercito di ribelli che, all’infuori della violenza privata, non conoscevano altra forma di lotta. Tenuti per secoli nell’ignoranza e nella miseria, i contadini meridionali non avevano ancora maturato una conoscenza politica dei loro diritti e non riuscivano ad immaginare alcuna prospettiva di cambiamento attraverso i mezzi legali.

Questa sfiducia in ogni forma di protesta e di lotta organizzata fu il nucleo della vera “Questione meridionale”. L’esteso fenomeno del brigantaggio ne fu solo una drammatica conseguenza.

Lo Stato italiano rispose con una vera e propria guerra a questa rivolta sociale che, nelle sue manifestazioni ampie, durò oltre quattro anni: alle truppe già stanziate nel Sud al comando del generale Cialdini, il governo ne aggiunse altre, cosicché, nel 1863 ben 120.000 soldati erano impegnati nella lotta al brigantaggio: quasi la metà dell’esercito italiano.

Il grave degrado della vita amministrativa e dei sistemi di potere locali e l’indigenza in cui versavano nel Mezzogiorno le masse popolari furono portati per la prima volta all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale e delle classi dirigenti nei primi anni Settanta dell’Ottocento dagli studi di P. Villari e dalle inchieste di L. Franchetti e S. Sonnino, che denunciarono l’insufficienza dell’azione dello Stato nel Mezzogiorno, senza tuttavia alcun rimpianto filo borbonico, ma riponendo nello Stato unitario stesso qualunque speranza di soluzione dei problemi meridionali. La proposta di rimedio dei mali descritti fu, infatti, una serie di riforme promosse dal governo in materia economica, sociale e amministrativa (alleggerimento del carico fiscale, facilitazioni creditizie, riforma dei contratti agrari).

Antonio Peragine

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