Reportage dal Sudan. La rivoluzione gentile delle donne sudanesi

Reportage dal Sudan. La rivoluzione gentile delle donne sudanesi

La rivoluzione gentile delle donne sudanesi per liberarsi il Paese dal sanguinario Presidente/Dittatore e trasformare la più grande Nazione dell’Africa nord orientale in un paese libero e democratico che persegue obiettivi di pace e giustizia sociale e parità di genere nel rispetto dei diritti civili.

A volere con grande determinazione e coraggio questa rivoluzione gentile sono state proprio le donne del Sudan che guidate da Alaa Salah, studentessa di 22 anni che frequenta la facoltà di ingegneria ed architettura all’Università di Karthum, sono scese in piazza per cantare, ballare e declamare poesie ma anche per protestare, gridare ed urlare con tutta la rabbia in corpo che il Sudan è di tutti e che “Non permetteremo mai più a nessuno di metterci a tacere” ed ancora “Basta stupri, basta violenze”, “I proiettili non uccidono, quello che uccide è il silenzio”. Alaa è stupenda avvolta in una tunica bianca che ricorda quelle delle Kandake, le antiche regine guerriere che governarono da queste parti dell’ Africa più di tremila anni or sono.

«All’inizio – ha spiegato Salah al Guardian – si sono avvicinate solo 6 donne, ho cominciato a cantare e cantavano con me, e man mano la gente è arrivata sempre più numerosa». A quel punto la studentessa ha deciso di salire sul tetto di un’automobile e ha iniziato a guidare così i cori dei manifestanti e ad urlare “La religione dice che se gli uomini vedono che qualcosa va male, non possono restare in silenzio”, mentre la folla rispondeva: “Rivoluzione!”.

Ahmed Awad collega universitario di Alaa Salah, intervistato dalla CNN su quanto stava accadendo in Sudan ha ribadito che Alaa senza paura e mostrando un coraggio che per una donna sudanese ha dell’incredibile «Stava incoraggiando la folla a reprimere il regime oppressivo a cui ogni cittadino sudanese è sottomesso, chiedeva “Thawra – la rivoluzione. Voleva dare a tutti una speranza e un’energia positiva e c’è riuscita”.

A sua volta Lana Haroun  sottolinea che quando ho scattato la foto e visualizzata sul mio cellulare, foto poi ripresa da tutte le testate giornalistiche, ho subito pensato “Questa è la mia rivoluzione e noi siamo i il futuro”. In proposito Salah ha dichiarato che «Sono molto contenta che la mia foto abbia permesso alle persone di tutto il mondo di conoscere la rivoluzione in Sudan. E con il candore tipico dell’incoscienza sempre in una intervista al “Guardian” ricorda a tutti che “Sto manifestando dal primo giorno perché i miei genitori mi hanno insegnato che bisogna amare il proprio paese». Anche la scelta degli abiti e degli orecchini indossati dalla giovane eroina non è stata casuale e ha un valore simbolico ben preciso. Il vestito bianco – ha sottolineato su Twitter Hind Makki, educatrice anti-razzista sudanese-americana di Chicago – è il “thobe”, indossato dalle donne che lavorano negli uffici pubblici e di cotone (una delle principali esportazioni del Sudan) e, quindi, “rappresenta le donne che lavorano in città o nel settore agricolo nelle aree rurali”.

Gli orecchini sono delle lune d’oro, “gioielli tradizionali delle sposa, simbolo della femminilità”. L’intero abito “richiama le vesti indossate dalle nostre madri e dalle nostre nonne negli anni ’60, ’70 e ’80 quando manifestavano per strada contro le precedenti dittature militari. Tutto questo, ha aggiunto Makki, rende la forma di protesta scelta ancora più potente e la fotografia ancora più carica di significato. In una vignetta postata su Twitter, il vignettista sudanese in esilio a Copenaghen, Khalid Albaih, ha definito Alaa Salah “Kandaka”, il titolo dato alle regine nubiane dell’antico Sudan, in riferimento a Candace, regina di Nubia ai tempi delle conquiste di Alessandro il Grande. “I sudanesi di tutto il mondo – spiega ancora Hind Makki – chiamano “Kandaka” tutte le donne che si battono duramente per il paese e i propri diritti”.

E “Kandake” si sono fatte chiamare le studentesse che, a partire da marzo, hanno manifestato in abiti bianchi alla Ahfad University for Women (AUW), un’università privata di Omdurman in Sudan, diventando un modello anche per altre proteste.  Che la figura di Alaa Salah si sia caricata di un valore simbolico così alto in poco tempo non deve sorprendere, commenta Jason Burke sempre sul “Guardian”. A differenza degli uomini, spesso in sparuta minoranza, le donne hanno e stanno avendo un ruolo centrale sin da quando sono iniziate le manifestazioni di protesta in Sudan lo scorso dicembre, quando, con un’inflazione al 72%, il governo ha triplicato il prezzo del pane mentre i negozi erano vuoti di qualsiasi genere di derrate alimentari, di acqua , latte, frutta e verdura; le donne tornavano a casa a mani vuote con la disperazione in corpo per non poter sfamare i propri figli e familiari; i distributori erano privi di benzina; gli uffici postali chiusi e i bancomat sono sprovvisti di denaro contante.

Da allora, spiega Pierre Haski su Internazionale, i manifestanti hanno cominciato a protestare per il pane e la libertà: “Una rivolta pacifica che va oltre le differenze sociali, politiche e regionali su cui fa affidamento il potere da decenni”. Da dicembre, ci sono stati cortei quasi ogni giorno fermati con una violenta repressione da parte dei servizi di sicurezza e delle milizie del governo che ha provocato più di 60 vittime. Molte donne sono finite in carcere sin dalla prima ondata di proteste  scrive Human Rights Watch, sono state uccise 8 persone, mentre in centinaia sono stati maltrattati, percossi per strada e incarcerati senza la formulazione di un’accusa. Secondo quanto si legge in un rapporto sempre di Human Rights Watch, donne e ragazze sono state arrestate per le tipologie di abiti indossati, perché hanno mostrato i capelli o perché fermate a guidare un’auto con uomo all’interno, e condannate alla fustigazione e alla lapidazione. Ma

il miracolo c’è stato ed ha prodotto i primi importanti risultati. lnfatti due giorni dopo la manifestazione i militari hanno circondato il palazzo presidenziale di Omar al Bashire, hanno deposto ed arrestato il Presidente/Dittatore ed hanno nominato il generale Award Ibn Auf  Presidente di un Consiglio militare, annunciando nel contempo la formazione di un governo militare della durata massima di due anni per poi arrivare a indire nuove elezioni ( dopo trentanni!!!). La notizia della deposizione del Presidente/tiranno è stata accolta con un grande sospiro di sollievo in tutto il mondo soprattutto dalle tante comunità di sudanesi sparse nel mondo e che erano state costrette ad emigrare per sottrarsi alle violenze ed alle angherie d’ogni genere.

Sul piano politico la situazione rimane particolarmente difficile, grave e complessa ma il sasso è stato lanciato con forza e  ci si augura che la diplomazia internazionale ed il buon senso del governo militare porti nel giro di pochi anni alla normalizzazione trasformando il Sudan in una Paese democratico, libero e pronto ad entrare nella Comunità internazionale. Intanto il consiglio militare del governo sudanese ha annunciato di aver sventato nei giorni scorsi un tentativo di colpo di Stato «Ufficiali e soldati dell’esercito e dell’intelligence e del servizio di sicurezza nazionale, alcuni dei quali in pensione, stavano cercando di realizzare un colpo di stato».

L’annuncio è arrivato mentre i consulenti legali del consiglio militare di governo e i leader della protesta stavano esaminando i dettagli dell’accordo raggiunto la settimana scorsa dopo un’intensa mediazione da parte dell’Unione Africana e degli inviati etiopi e che prevede la nascita di un organismo transitorio congiunto civile-militare. La presidenza del nuovo organo di governo sarà detenuto dai militari per i primi 21 mesi e dai civile per i restanti 18 mesi. Secondo l’accordo, l’esercito guiderà il Consiglio per i primi 21 mesi, con il capo della giunta, Abdel Fattah al-Burhan, come presidente, per i restanti 18 mesi subentreranno i civili. Quella dei militari ancora al potere è una scelta non condivisa anche perché continuano le repressioni, gli arresti e  le violenze contro chi scende ogni giorno in piazza per protestare e chiedere libere e democratiche elezioni che porto alla nomina di un parlamento rappresentativo di tutti o cittadini sudanesi.

“L’unica soluzione è paralizzare la vita quotidiana”, hanno detto i leader della protesta: “Di fronte a questi sviluppi repressivi, chiediamo ai lavoratori del settore pubblico e privato di aderire alla [campagna] di disobbedienza civile e allo sciopero generale. Questi mezzi pacifici sono un modo per onorare il sangue dei martiri [e] proteggere la vita dei colleghi “. In Sudan, il bilancio delle vittime dell’attacco  al sit-in dei manifestanti ha superato i 100 morti, dopo che 40 corpi sono stati recuperati dal Nilo, secondo il Central Committee of Sudan Doctors (CCSD, vicino ai manifestanti), come riporta la CNN.  L’attacco militare di lunedì su civili è stato condannato a livello internazionale da parte del segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres. I manifestanti, che stanno continuando a manifestare, hanno respinto le richieste di colloquio avanzate dall’esercito: “Non c’è modo di risolvere la complessità che paralizza il paese se non continuando la rivoluzione fino a rimuovere il consiglio militare”.

Intanto, il Consiglio per la pace e la sicurezza dell’Unione Africana (che ha chiesto un’indagine immediata e trasparente per individuare i responsabili delle violenze di lunedì) ha sospeso la partecipazione del Sudan da tutte le attività dell’organismo “con effetto immediato” a causa della violenza nel paese: “La sospensione – riporta l’Ansa – resterà in vigore fino ‘all’effettivo ristabilimento’ di un’autorità civile di transizione, ‘unica via per permettere al Sudan di uscire dall’attuale crisi’”. Secondo Jason Burke, corrispondente del “Guardian”, questa decisione dell’Ua potrebbe far crescere la pressione sui nuovi governanti militari del paese, concretizzando la prospettiva di un isolamento diplomatico nel continente e di possibili sanzioni se non trasferiranno il potere a un’autorità a guida civile. Il nuovo esecutivo guidato dai militari ha, intanto, sospeso la Costituzione, chiuso temporaneamente lo spazio aereo e i confini del paese, e ha imposto un coprifuoco per un mese tra le 10 di sera e le 4 del mattino.

Fin da subito, però, gli organizzatori delle manifestazioni che hanno portato alla caduta di al-Bashir hanno invitato la popolazione a violare il coprifuoco e a continuare a manifestare dicendo di non accettare il governo militare e di volere un governo civile di transizione fino a nuove elezioni. Nei giorni scorsi Stati Uniti, Regno Unito e Norvegia hanno diffuso una dichiarazione congiunta per chiedere al governo del Sudan di fermare le violenze contro i manifestanti e consentire un dialogo politico credibile e inclusivo: “La richiesta di cambiamento politico da parte del popolo coraggioso e resiliente del Sudan sta diventando sempre più chiara e potente. È giunto il momento per le autorità sudanesi di rispondere a queste richieste popolari in modo serio e credibile”, si legge nella nota. Il governo aveva anche vietato l’uso dei social network, ma il divieto – riporta BuzzFeed – non ha impedito alle donne sudanesi di organizzarsi online e di utilizzare i gruppi su Facebook, precedentemente usati per discutere delle forme di repressione a cui erano soggette, per denunciare gli agenti di sicurezza statali scoperti a esercitare violenza contro i manifestanti.

Le donne  sudanesi che protestano sono fiduciose che la comunità internazionale riuscirà a creare le condizioni per poter siglare un accordo dignitoso che porti al più presto a libere elezioni creando le premesse affinchè il Sudan esca dalle sabbie mobili in cui ormai vive da decenni e crei le condizioni per la sua autodeterminazione, per il suo rilancio economico, sociale e civile pronto ad entrare a testa alta nel consesso delle Nazioni libere e democratiche.

La solidarietà del CorrierePl, del Networtk “Radici” e dei suoi lettori continuerà a sostenere con ogni mezzo, primo fra tutti la comunicazione e l’informazione, il popolo sudanese in lotta.

Giacomo Marcario

Comitato di Redazione di Radici

Redazione

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

CAPTCHA ImageChange Image

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.