Verso le elezioni europee Costruzione europea

Verso le elezioni europee Costruzione europea

Il 26 maggio 2019 si svolgeranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo. In cinque anni, il tempo trascorso dalle precedenti elezioni europee tenutesi nel maggio del 2014, il mondo della politica è profondamente cambiato.

1È cambiata l’Unione Europea. I cittadini del Regno Unito hanno deciso, a maggioranza, che il proprio Stato esca dall’Unione. Il Regno Unito aveva aderito alle Comunità Europee l’1 gennaio del 1973. Aveva preferito però mantenere una posizione distinta e, in particolare, non aveva fatto propria la politica di integrazione monetaria avviata con il Trattato di Maastricht del 1992. Così, mentre la maggioranza degli Stati Membri ha adottato l’euro, moneta circolante dal 2002, a Londra è rimasta la sterlina. Il Regno Unito è parte integrante dell’Europa, dal punto di vista storico e culturale. Molti valori della nostra civiltà hanno fondamento nell’esperienza inglese. Si pensi alle garanzie della libertà personale, già affermate dalla Magna Charta Libertatum del 1215, e più precisamente normate nell’Habeas Corpus Act del 1679. Si pensi ancora alla concezione del governo rappresentativo ed al ruolo del Parlamento. Si pensi al contributo del pensiero scozzese ed inglese alla moderna economia politica: da Adam Smith, a Thomas Robert Malthus, a David Ricardo, a John Maynard Keynes. Di conseguenza, l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea si è subito posta come una dolorosa frattura, dal punto di vista sentimentale, prima che politico. Alcuni ritenevano però che da un male potessero derivare anche effetti positivi. Nel senso che, venuta meno la propensione britannica a frenare i processi di integrazione europea per salvaguardare la propria eccezionalità, si poteva anche verificare che l’Unione Europea fosse più coesa. Nel contempo, i più convinti anglofili sopravvalutavano la capacità del Regno Unito di trovare nuovi equilibri per sé soddisfacenti; a supporto di questa previsione ottimistica si potevano richiamare almeno quattro ragioni: perché il Regno Unito è membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU; ha un tradizionale rapporto d’amicizia con gli Stati Uniti d’America; vanta forze armate tra le migliori in ambito NATO; ha consolidati rapporti di cooperazione e di interscambio commerciale con i Paesi già facenti parte del Commonwealth britannico. Tenuto conto che il referendum popolare si è tenuto nel mese di giugno del 2016, a distanza di tre anni tutte le previsioni si sono dimostrate sbagliate. Siamo in pieno psicodramma Brexit. Il Regno Unito ha difficoltà notevoli, rese in modo a tutti evidente dai profondi contrasti all’interno delle forze politiche rappresentate nel Parlamento britannico. Nel contempo, l’Unione Europea finora non si è data alcun progetto credibile per un proprio rilancio nell’immediato futuro. Una ragionevole soluzione sarebbe quella di conservare quanto più è possibile dei rapporti di interscambio commerciale e di cooperazione fra l’Unione Europea ed il Regno Unito, nel reciproco interesse. Se poi dall’amicizia nascesse qualcosa di più in futuro, tanto meglio.

2È cambiata la politica internazionale. Dal 20 gennaio 2017 Donald Trump è presidente degli Stati Uniti d’America. Da allora abbiamo iniziato ad ascoltare lo slogan “America first“. Da allora sentiamo parlare di guerra commerciale con la Cina, nel frattempo divenuta potenza economica, commerciale e militare di primaria grandezza. Da allora è sempre più chiaro che gli Stati Uniti di Trump hanno pochissima simpatia per l’Unione Europea e perseguono, invece, l’antica politica del “divide et impera” nei confronti dei singoli Paesi europei.

Al tempo delle precedenti elezioni europee non si parlava ancora del sedicente “califfato”, che sarebbe stato proclamato nel mese di giugno, ma erano già maturate le condizioni per la nascita del cosiddetto Stato islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS). Oggi i fanatici dell’ISIS sono stati sconfitti ovunque e non controllano più porzioni significative di territorio. Nel contempo, Aleppo e Damasco si sono nuovamente riunite in un’unica realtà statuale e la prospettiva di uno smembramento della Siria sembra superata; ciò è positivo. La Siria, tuttavia, non è ancora pacificata. Nella parte settentrionale del Paese c’è il rischio di un conflitto aperto tra la Turchia e le milizie curde. Più in generale, in tutto il Medio Oriente non potrà esserci vera pace finché permarrà l’antagonismo tra l’Iran e l’Arabia Saudita. Con lo Stato di Israele che soffia sul fuoco, in funzione anti-iraniana.

Anche il continente africano è inquieto. Quando a maggio voteremo, forse si sparerà ancora intorno a Tripoli, in Libia. L’Italia non ha la forza, da sola, di garantire che la Libia resti uno Stato unitario; né ha la forza, da sola, di pacificare e di stabilizzare politicamente il Paese. Come italiani, abbiamo il massimo interesse a che la Libia e l’intero Nord Africa siano pacifici ed ordinati; siamo però uno Stato troppo fragile, dal punto di vista della coesione nazionale, per lasciarci coinvolgere in un conflitto armato nel Nord Africa. Per l’Italia sarebbe un’avventura fatale e chiunque abbia buon senso dovrebbe impegnarsi per non farci commettere questo errore. Qui si vede quanto sarebbe necessaria una politica estera e della difesa autenticamente europea. Vogliamo che l’Unione Europea parli con una sola voce in questa materia. Finché non sarà così, Italia e Francia, tanto per fare un esempio, si illuderanno di poter realizzare i propri interessi, l’una a discapito dell’altra, senza accorgersi che per questa via si indeboliranno reciprocamente e non avranno altro risultato che quello di avere scatenato forze che non controllano.

3È cambiata la politica interna italiana. Le elezioni europee del 2014 determinarono il massimo successo politico ottenuto da Matteo Renzi, leader del Partito democratico. Dall’1 giugno 2018 è in carica il governo presieduto da Giuseppe Conte, basato sull’alleanza fra il Movimento 5 Stelle e la Lega. I due partiti che esprimono il governo sono, per ragioni diverse, poco adatti a rinsaldare i legami fra l’Italia e l’Unione Europea.

La Lega è l’erede della “Lega Nord” fondata da Umberto Bossi: un partito che aveva nel cuore non l’Italia, ma la “Padania”, che sminuiva in sede storica il valore del Risorgimento italiano, disprezzava gli italiani meridionali, detti “terroni”, aveva come massimo obiettivo che il gettito fiscale riscosso al Nord non fosse più gestito da “Roma ladrona”, ma fosse amministrato autonomamente dai rappresentanti politici del Nord. Oggi la proposta di concedere una speciale autonomia a Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, ai sensi dell’articolo 116 della Costituzione, tende a risultati non molto diversi, nella sostanza, dagli originari progetti della Lega Nord. Nel frattempo, però, il partito si presenta come una “destra nazionale”, capace di assorbire in sé e di riciclare tanto ceto politico meridionale. La “sovranità nazionale” è la nuova bandiera per raccogliere il consenso; peccato che la sovranità effettiva degli Stati europei sia finita in larga parte già al termine della prima guerra mondiale e, definitivamente, dopo la seconda guerra mondiale.

Nell’attuale mondo globalizzato le decisioni importanti, di ordine economico, monetario, commerciale, sono assunte da poche super-potenze. Anche tutte le politiche che, nel prossimo futuro, si renderanno necessarie per salvaguardare gli equilibri ambientali del Pianeta Terra, con particolare riferimento al clima, alla riduzione dell’inquinamento, al trattamento dei rifiuti, al contenimento degli indici di sviluppo demografico, saranno concordate da pochi centri di potere mondiale.

In questa situazione, la “sovranità” di un Paese come l’Italia si risolve nella scelta se continuare ad essere un alleato subordinato degli Stati Uniti d’America, o cambiare riferimento e diventare alleato subordinato di altra potenza. La scelta europea, la voglia di consolidare l’attuale Unione Europea ed anzi trasformarla in una realtà politica molto più forte, costruita su basi federali, ha un solo significato: operare affinché anche l’Unione Europea diventi realmente un centro di potere mondiale, in grado di interloquire alla pari con Stati Uniti, Cina e Russia.

La scelta europea significa decidere, in coerenza con la nostra storia, la nostra cultura e la nostra civiltà, che il destino dell’Italia è legato indissolubilmente a quello della Germania, della Francia, della Spagna, dell’Austria, degli altri Stati Membri dell’Unione. Legato nel bene e nel male. Al contrario, distruggere l’Unione Europea significherebbe condannarsi ad un futuro in cui tutti i singoli Stati europei non avranno alcun peso effettivo nella dimensione globale e saranno, ciascuno, vassalli di questa o quella superpotenza extraeuropea.

Il nuovo nazionalismo della Lega sembra muovere dal criterio che non ci siano nemici a destra; così flirta con ogni possibile destra: neofascisti, postfascisti, CasaPound, senza andare troppo per il sottile. Il tutto per avere più forza contro la “sinistra”. Ma dove sarà mai questa pericolosissima “sinistra” in Italia? Viene voglia di rileggere un martire antifascista, Piero Gobetti, il quale nel novembre del 1922, poco dopo la marcia su Roma, scriveva: «Amici miei, la lotta tra serietà e dannunzianesimo è antica e senza rimedio».

La Lega non ha torto quando sostiene che occorre una politica per disciplinare i flussi dell’immigrazione; è pura demagogia, infatti, sostenere che si debba accogliere tutti quelli che lo chiedano. Non si comprende però perché una posizione di per sé spiacevole (non è mai piacevole dire di no a persone bisognose di aiuto) debba essere resa ancor più spiacevole da un linguaggio razzista. Che cosa c’entra l’islamofobia, ossia l’ossessione contro gli islamici? Chi scrive sa di essere ignorante, ma quel poco che sappiamo ci dimostra che la storia degli Arabi, dei Turchi, degli Iraniani è legata strettamente a quella di tanti Stati europei, in particolare mediterranei, e che questi popoli meritano il nostro massimo rispetto. Che cosa c’entra l’ostentato disprezzo nei confronti dei Rom?

Per quanto riguarda il Movimento 5 Stelle, un vecchio proverbio diceva che «le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni». Il populismo asseconda la spesa pubblica per nobili finalità di coesione sociale, ad esempio l’idea di un reddito di cittadinanza, ma non sa prevedere cosa significhi una politica economica basata sul deficit strutturale di bilancio e, quindi, su un debito pubblico crescente. Anche qui torna l’argomento della “sovranità”. Può mai essere sovrano un Paese che, per finanziare le proprie politiche, deve chiedere in prestito risorse finanziarie via via crescenti a creditori esteri? La gente deve sapere che il debito viene poi pagato con gli interessi. Più aumenta il debito pubblico, maggiore sarà la parte del bilancio dello Stato utilizzata per il cosiddetto “servizio del debito”: pagare i titoli del debito pubblico (BOT, CCT, eccetera) alle rispettive scadenze, maggiorati dei relativi interessi. Arriva alla fine un momento in cui o non si trova più alcuno disposto a prestare, ovvero gli interessi pretesi sono economicamente insostenibili.

Tutte le altre “criticità” del Movimento 5 Stelle sono da tempo dibattute: la sottovalutazione dell’importanza delle competenze tecniche e delle professionalità, nella pretesa, fintamente democratica, che tutti possano essere chiamati ad assumere qualsiasi responsabilità amministrativa o di governo. La concezione secondo cui la democrazia rappresentativa e il parlamentarismo sarebbero superati e si potrebbero sostituire con una non meglio precisata democrazia diretta. L’ossessione per la redistribuzione della ricchezza, per finalità di giustizia sociale, trascurando l’esigenza di garantire le condizioni affinché l’economia del Paese produca nuova ricchezza. San Francesco può essere, forse, fonte di ispirazione e modello per la Chiesa Cattolica e per un Papa; sfortunato però il Paese i cui governanti volessero trasferirne il messaggio in indirizzi politici!

Insomma, la conclusione è che la situazione politica attuale è molto più difficile di quanto non fosse cinque anni fa. Le elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo sono un appuntamento realmente importante e gli elettori devono avvertire la responsabilità di dare, con il loro voto, un indirizzo che predetermini il cammino da svolgere in futuro.

L’unica via d’uscita, a giudizio di chi scrive, è votare una lista sicuramente schierata a sostegno dell’Unione Europea, anzi decisa ad impegnarsi per il suo rafforzamento politico, e mossa dalla convinzione che il destino dell’Italia e quello dell’Europa siano indissolubilmente legati.

Antonio Peragine

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