Sentirsi radicati per non sradicarsi in un tempo della tradizione 

Sentirsi radicati per non sradicarsi in un tempo della tradizione 
Pierfranco Bruni*Ritualità ed etnolinguistica è un binomio in cui il “vocabolario” antropologico crea un processo con esiti simbolici.

I simboli sono l’espressione più autentica di un messaggio che trasmette identità.

La parola non è solo comunicazione. È percezione e ricerca in un attraversanto di eredità per la quale il senso di appartenenza costituisce un vero  proprio processo esistenziale.
L’antropologia è la chiave di lettura che pone al centro modelli culturali per i quali la dimensione del tempo è fondamentale.

Il tempo come rievocazione ma anche come evocazione.
La memeria nel tempo è come fermare tratti di vita che abitano nel nostro essere stati. Questo spazio ci riporta a ciò che chiamiamo tradizione.

La etnoliguistica è, in fondo, trasformare l’immaginario in linguaggio. Si attraversa il linguaggio trasformando, o mutuando, l’immateriale in materiale.

I codici della lingua sono le voci che legano il tempo al territorio. Intorno a questi temi i popoli le civiltà le società testimoniandosi sono i veri riferimenti che allontanano da ogni sradicamento.

La lingua è le etnie radicano. Una pedagogia dell’esistente oltre il senso del perduto orizzonte. Oltre solo il mito.

“Erano nella stanza parecchie persone della casa, e alcuni giudici, i quali le interrogavano, mentre che un officiale scriveva.
Prometeo. Chi sono questi sciagurati?
Un famiglio. Il mio padrone e i figliuoli.
Prometeo. Chi gli ha uccisi?
Famiglio. Il padrone tutti e tre.
Prometeo. Tu vuoi dire i figliuoli e se stesso? Famiglio. Appunto.
Prometeo. Oh che è mai cotesto! Qualche grandissima sventura gli doveva essere accaduta.
Famiglio. Nessuna, che io sappia.
Prometeo. Ma forse era povero, o disprezzato da tutti, o sfortunato in amore, o in corte?
Famiglio. Anzi ricchissimo, e credo che tutti lo stimassero; di amore non se ne curava, e in corte aveva molto favore.
Prometeo. Dunque come e caduto in questa disperazione?
Famiglio. Per tedio della vita, secondo che ha lasciato scritto.
Prometeo. E questi giudici che fanno?
Famiglio. S’informano se il padrone era impazzito o no: che in caso non fosse impazzito, la sua roba ricade al pubblico per legge: e in verità non si potrà fare che non ricada.
Prometeo. Ma, dimmi, non aveva nessun amico o parente, a cui potesse raccomandare questi fanciullini, in cambio d’ammazzarli?
Famiglio. Sì aveva; e tra gli altri, uno che gli era molto intrinseco, al quale ha raccomandato il suo cane Momo stava per congratularsi con Prometeo sopra i buoni effetti della civiltà, e sopra la contentezza che appariva ne risultasse alla nostra vita; e voleva anche rammemorargli che nessun altro animale fuori dell’uomo, si uccide volontariamente esso medesimo, né spegne per disperazione della vita i figliuoli: ma Prometeo lo prevenne; e senza curarsi di vedere le due parti del mondo che rimanevano, gli pagò la scommessa” (Giacomo Leopardi).*Responsabile Antropologia Sabap-Le

Antonio Peragine

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