La Crimea e l’indifferenza europea

La Crimea e l’indifferenza europea

di domenico letizia

“Nel giugno 2018, un evento svoltosi presso il Senato della Repubblica italiana, sollevò nuovamente l’attenzione sulle interferenze russe e sullo stato degli avvocati che scelgono di battersi per i diritti dei detenuti politici e che per questo sono sottoposti ad intimidazioni, pressioni e sanzioni amministrative, così come per i prigionieri politici ucraini detenuti ingiustamente sul territorio della Federazione Russa e della Crimea occupata. L’evento fu organizzato dalla Federazione Italiana Diritti Umani e dalla Fondazione “Open Dialog” e fu un palcoscenico per Igor Kotelianets, fratello di un prigioniero politico ucraino, detenuto in Crimea. Nel corso dell’iniziativa, alla quale partecipò anche Yevhen Perelygin l’ambasciatore ucraino a Roma, Kotelianets descrisse le torture subite dai prigionieri politici ucraini in Crimea”. Così Domenico Letizia su Periodico Italiano.

“Cosa accade oggi in Crimea? Un recente rapporto delle Nazioni Unite fa luce sull’attualità in termini di democrazia e diritti nella regione, oramai dimenticata dall’informazione internazionale. Il rapporto copre un periodo che va dal 13 settembre 2017 al 30 giugno 2018 e conferma la preoccupazione degli attivisti internazionali per i diritti umani. La Russia continua ad ignorare il diritto internazionale in quanto potenza occupante senza tutelare le minoranze della Crimea. La riduzione degli spazi di partecipazione democratica in Crimea ha generato un clima di paura, rendendo impossibile manifestare liberamente critica o dissenso. Preoccupante la registrazione di un caso di una donna della Crimea condannata al carcere per aver condiviso sui social messaggi di critica alle politiche della Federazione Russa e tali casi, denunciano gli esperti Onu, sono utili per penalizzare gli attivisti, un avvertimento per la comunità locale. Il rapporto descrive anche lo stato della magistratura e dei processi evidenziando anomalie gravi nei confronti di ben 94 persone. Inoltre, evidenza il rapporto, i cittadini della zona sono oggetto di repressione da parte di giudici, pubblici ministeri, investigatori e agenti di sicurezza della “FSB”. Vengono denunciate ben 42 sparizioni di cittadini, avvenimenti del 2014, e un generale clima di terrore e impunità per i mandanti della Federazione Russa. I casi più eclatanti riguardano tre cittadini della Crimea, Oleh Sentsov, Volodymyr Balukh e Emir-Usein Kuku, in sciopero della fame per richiamare l’attenzione internazionale sulla loro condizione di detenuti senza regolare processo e senza motivazioni giudiziarie.

Il rapporto descrive anche dello stato della struttura detentiva di Simferopol. Nel report vengono registrati ed evidenziati casi di detenuti privati di cibo, acqua e accesso alle cure mediche. Anche lo stato della repressione è oggetto di analisi: “gli agenti hanno utilizzato pratiche proibite, in particolare somministrazione di vere e proprie torture, attraverso elettrocuzione ed esercizio della violenza sessuale nei confronti delle persone detenute”. Inoltre, viene descritta la pratica del trasferimento dei detenuti dalla Crimea alla Federazione Russa per eseguire i processi, pratica in violazione del diritto internazionale umanitario. Nella zona viene registrata la pratica dell’arruolamento obbligatorio, per i cittadini della Crimea, nell’esercito russo. Circa 12.000 uomini della Crimea sono stati costretti all’arruolamento, raggiungendo un picco durante la primavera di quest’anno con la coscrizione obbligatoria di 2.800 persone. Per analizzare al meglio quello che sta accadendo è importante riconoscere che l’annessione della regione alla Russia non è il risultato naturale di un processo sociale e politico della popolazione della Crimea. Nel 2015, l’Organizzazione non Governativa Freedom House pubblicò un dettagliato rapporto sulle condizioni della Penisola di Crimea dall’occupazione russa. Il rapporto analizzava lo stato di deterioramento dei diritti umani in Crimea con l’avvio dell’occupazione e dell’annessione della regione, già autonoma, alla Federazione Russa. La situazione di elevata criticità iniziata nel febbraio 2014, continua ad intensificarsi a causa della legislazione russa che impone una serie di misure oppressive per la popolazione della regione. Provvedimenti legislativi che non sono conosciuti all’estero e che l’informazione occidentale ignora.

Tra le disposizioni in vigore vi è la prescrizione della cittadinanza russa, restrizioni alla libertà di parola e di associazione, acquisizione di beni privati e dello stato ucraino da parte delle autorità russe, misure repressive sui media indipendenti, persecuzione verso i critici dell’annessione, minacce e persecuzioni nei confronti di minoranze religiose e gruppi etnici percepiti come sleali e non graditi al nuovo ordine istituzionale. Non dimentichiamo che secondo un sondaggio del 2011, condotto dal Centro Razumkov, il 70% degli intervistati, nella regione di Crimea, ha dichiarato di considerare l’Ucraina la propria patria. Le cifre aumentano tra i tatari della Crimea, intorno all’ 80%. Tra gli abitati della Crimea che furono intervistati solo il 18.6% dichiarò di non guardare all’Ucraina come propria patria. Durante i mesi di preparazione all’annessione della penisola, lo stato russo lanciò una campagna mediatica estremamente populista e un’accanita repressione nei confronti dell’Ucraina definendo “fascisti” coloro che nella regione non sostenevano le ragioni dei separatisti. Questa è stata la retorica utilizzata nei confronti del movimento “EuroMaiden”. La disinformazione è viaggiata parallelamente all’annessione.

Durante i giorni dell’occupazione vi sono stati una serie di eventi significativi che hanno prodotto una degenerazione dei costumi e delle abitudini nella penisola: l’arrivo dei combattenti Cosacchi dalla regione di Krasnodar della Russia, truppe armate con attrezzature e unità aviotrasportate e il sequestro di molti edifici pubblici, porti e aeroporti della regione. I quadri politici delle amministrazioni comunali e di Sebastopoli furono sostituiti, aprendo la strada all’occupazione sancita dal referendum del 16 marzo, referendum non riconosciuto dalla comunità internazionale. Durante le votazioni le truppe “separatiste”, compresi i Cosacchi, isolarono i valichi di frontiera, i porti e gli aeroporti, controllando i seggi elettorali e le funzioni degli Uffici addetti al voto referendario. Tali condizioni continuano a persistere in Crimea per mantenere un clima di disinformazione, intimidendo chi mette in discussione la legalità dell’annessione russa. Le istituzioni ucraine nel nostro Paese continuano a fornire dati e documentazione inerenti la sistematica violazione dei diritti civili e politici, da parte dei paramilitari filorussi, nei territori ucraini sotto occupazione.

Una guerra silenziosa, alle porte dell’Europa, in Crimea contro il popolo ucraino e contro uno stato sovrano. La comunità internazionale farebbe bene a predisporre l’invio in Crimea e nella parte orientale dell’Ucraina, dove continua un conflitto che costa 10mila morti, di un contingente di osservatori e caschi blu, come richiesto dal Presidente ucraino Petro Poroshenko e, in Italia, dall’Ambasciatore Perelygin. Le denunce che arrivano dall’Ucraina meritano molta attenzione e dovrebbe essere impegno doveroso, per le istituzioni europee, agire e monitorare la situazione per il rispetto della democrazia e dei diritti civili dell’intera comunità locale. Ciò che appare certo è che attraverso una sistematica pubblicazione di notizie false, avallate e diffuse delle formazioni politiche populiste di tutta l’Europa Occidentale, la propaganda russa ha nascosto i veri motivi dell’invasione camuffandoli per un intervento contro presunti rigurgiti neo nazisti dell’esercito e delle istituzioni dell’Ucraina.

Ciò che accomuna tutti i giornalisti civili in Crimea è la volontà di raccontare e denunciare una situazione attorno alla quale è stato costruito un muro dell’informazione. Una cortina di fumo che molti cittadini della penisola non intendono accettare. I rischi dei giornalisti sono gli stessi di qualunque voce indipendente. Arresti, perquisizioni, minacce e torture sono frequenti tra i dissidenti e tra coloro che cercano di fornire un’informazione diversa da quella monolitica imposta nella penisola. La vicenda di Nariman Memedeminov, attivista del gruppo Crimean Solidarity, ne è un esempio. Dopo numerose perquisizioni e fermi negli ultimi anni, Memedeminov è stato prelevato dalla propria abitazione la mattina del 22 marzo di quest’anno e incarcerato il giorno dopo, in seguito a un processo lampo. L’accusa, è quella di incitamento al terrorismo e fa riferimento a contenuti pubblicati da Memedeminov anni prima dell’annessione della penisola. Stando alle parole dell’avvocato Emil Kurbedinov è chiaro come questo sia l’ennesimo caso falsificato dalle autorità e sia una punizione per l’attività civica di Memedeminov, membro attivo della comunità tatara e reporter.

Nel frattempo, la comunità intorno a Memedeminov è riuscita a mobilitare i più importanti media ucraini ed espresso la loro solidarietà con l’attivista. Sul suo caso, tuttavia, niente sembra essersi mosso. “Il rischio di essere incarcerati c’è sempre: sapendo come vengono “fabbricati” i casi in Crimea, è assolutamente possibile” dichiarano gli avvocati. I tatari sono l’unico popolo autoctono della penisola benché, a seguito della deportazione operata dai sovietici, oggi solo il 12% della popolazione è di origine tatara. I tatari, di origine turcica, si trovano nella penisola dai tempi della dominazione ottomana e hanno subito violenti tentativi di russificazione e una feroce discriminazione culminata con la falsa accusa di essere stati collaborazionisti dei nazisti, accusa che è valsa una deportazione che costò migliaia di vittime.

L’annessione della Crimea alla Russia putiniana è coincisa con una ripresa delle discriminazioni e della conseguente opposizione dei tatari alle autorità russe. Opposizione che si è sviluppata in un movimento di resistenza civile e che ha dato luogo anche ad episodi di sabotaggio nei confronti dell’esercito occupante. I tatari di Crimea non rappresentano in effetti una totalità omogenea, ma piuttosto un insieme di micro-etnie unite dall’appartenenza al gruppo linguistico turco e da una storia comune. Si possono distinguere almeno tre sottoinsiemi chiaramente definiti. Gli yalboyu, che vivono sulle coste meridionali della Crimea, hanno caratteristiche culturali e linguistiche tipicamente ouz, tanto da essere difficilmente distinguibili dai turchi della Turchia. Al contrario i noay, storicamente insediati nelle zone steppose del nord, sono a tutti gli effetti identificabili come kpçak. La maggioranza dei tatari di Crimea appartiene tuttavia all’etnia tat, tradizionalmente diffusa in tutta la costa settentrionale del Mar Nero e che presenta caratteristiche intermedie tra i gruppi ouz e kpçak. A questi tre gruppi principali, costituiti quasi esclusivamente da musulmani sunniti, vanno aggiunti i cristiani turcofoni chiamati urum. Particolarità caratteristica della Crimea è anche la curiosa presenza di una piccola minoranza di ebrei di lingua turco-tatara, a loro volta divisi nei due sottogruppi dei krmçak e dei karay: i primi aderiscono all’ebraismo rabbinico, mentre i secondi al caraismo. D’altronde è dall’estate 2014 che risalgono le denunce di Mark Fejgan, avvocato russo, membro dell’opposizione politica, già legale di Mustafa Dzhemilev, il Presidente del parlamento dei Tatari della Crimea.

Mark Fejgan è conosciuto all’opinione pubblica internazionale perché fu tra i difensori delle Pussy Riot, passate alla storia per il loro attivismo nella tutela dei diritti umani e nella difesa dei diritti delle donne. In un’intervista sul ruolo della Russia in Crimea e la repressione dei Tatari, Mark Fejgan dichiarò: “In Crimea, semplicemente non vi è il sostegno della popolazione con l’occupazione della penisola da parte delle forze russe. In primo luogo, si tratta dei tatari di Crimea definiti come cittadini inaffidabili. Mosca teme la ripetizione dello scenario avutosi in Cecenia all’interno del nuovo soggetto della federazione. Il Cremlino non ha l’energia per una nuova guerriglia come quella caucasica. Ecco perché l’abbandono dei tatari dal territorio della Crimea è uno degli strumenti della politica del Cremlino nei confronti dei potenziali ribelli. I tatari di Crimea non sono mai stati fedeli al vecchio impero russo, così come accadde nell’ URSS e sono considerati dal governo della Federazione russa come una fonte di potenziale minaccia.

Questo è il motivo per cui il governo russo sta imponendo tali misure”. Sono numerosi gli analisti che, nel corso di questi anni, hanno ribadito che l’informazione pubblica sbaglia nel definire “guerra civile” quella in corso in Ucraina, invece, si dovrebbe parlare di una vera e propria aggressione della Federazione Russa nei confronti dell’Ucraina. Un atto di guerra che viola le stesse convenzioni che la Russia dichiara di rispettare”.

Antonio Peragine

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